La globalizzazione non è finita, ma la crisi economica mondiale l’ha fortemente rallentata. Ciò cambierà probabilmente le nostre vite individuali. In tempi «globali» infatti, proiettati sul mondo, si tende a guardare sempre più all’esterno, al lontano; al diverso e distante. Nelle epoche in cui lo sguardo si limita, l’uomo riscopre invece con stupore l’interesse di ciò che ha più vicino: il proprio territorio, la propria città, ma soprattutto la famiglia e quelli che sono gli affetti di sempre.
Non accade oggi per la prima volta: espirazione e inspirazione sono i due movimenti fondamentali della vita dell’uomo, e della sua storia. All’impero romano, epoca di espirazione «globale», successe l’inspirazione introspettiva del Medioevo; e ciò si ripete periodicamente, in modo più o meno evidente.

Persino durante una singola vita umana, momenti di inspirazione, di ritorno all’orizzonte più vicino succedono a quelli di espirazione globale. Nel biennio successivo all’11 settembre, per esempio, i commerci internazionali si contrassero drammaticamente, così come i viaggi intercontinentali. Poi gli uomini ritornarono a guardare lontano.
L’avvicendarsi di questi tempi ed orientamenti diversi però, non va vissuto solo come l’effetto di una crisi, ma anche come un’opportunità, una risorsa. Come i mesi invernali, durante i quali la terra trattiene il suo calore, per preparare il risveglio primaverile. Per vivere appieno e con equilibrio infatti, occorre padroneggiare bene entrambi questi saperi. Quello solare, estivo, quando le forze della terra si sollevano nel cosmo, e quello chiaroscuro, invernale, quando si trattengono nei luoghi abituali. Fermarsi ad uno solo di essi, infatti, limita, e predispone a precise patologie.
Il manager della multinazionale, con i suoi continui viaggi intercontinentali, perde il contatto col territorio, con gli affetti stabili, e quindi anche con la terra, con la realtà, come ha ben dimostrato il disastro provocato dal tipo di finanza astratta, e «derivata» (non rappresentativa di dati reali), da lui inventata. Problemi simili affliggevano anche il marinaio protagonista dell’imperialismo commerciale dell’occidente nel sette - ottocento; aveva una donna in ogni porto, ma perdeva la relazione con la casa ed i figli.
Gli attori globali rischiano di smarrire la strada di casa. La crisi, cui sempre porta il carattere astratto delle utopie mondialiste, ci ripresenta invece uno sguardo diverso, capace di correggere le storture precedenti. L’obbligatoria rinuncia all’appartamento nel grattacielo di Dubai ci aprirà gli occhi sulla bellezza del giardino di casa, la dispendiosità della frutta esotica ci insegnerà a coltivare quella domestica. La mancanza di denaro aiuterà anche i più confusionari a separare la sessualità dal turismo. Ed a vedere che la prima si arricchisce degli affetti più intimi, personali, dell’approfondimento introspettivo, mentre il secondo riguarda l’estroversione, la scoperta del mondo, e non impegna né il nostro corpo, né il nostro cuore.
Così, lentamente, i due tempi che si alternano, quello dell’abbondanza globale e quello della parsimonia domestica, curano ognuno i difetti e le patologie dell’altro. Il respirare col mondo distoglie la nostra visione dalla chiusura locale, coi suoi rischi di avarizia e ipertradizionalismo. Il successivo «ritorno a casa», dopo i grandi falò di ricchezze e di energie delle utopie globalizzate, consente poi di ricentrarci sulla nostra storia e le nostre capacità. In francese: «reculer pour mieux sauter», un passo indietro per saltare meglio al prossimo giro.