Soprattutto ora che c'è stata la straordinaria elezione a presidente di Barack Hussein Obama. Obama è stato eletto a furor di popolo, ma non è ancora insediato. Nell'interrregno che dura fino a metà gennaio, governerà l'America ancora lo screditato e fallimentare George W. Bush. Quindi rischiamo da oggi di avere una sorta di dualismo di poteri: quello del nuovo, legittimo presidente degli Stati uniti in pectore pronto a prendere il suo posto di comando, e dall'altra il predecessore che fa lo scatolone per andarsene ma che in realtà è ancora, a tutti gli effetti, il presidente. Attenti allora. A lui, ai suoi possibili colpi di coda che già fanno capolino dai quattro angoli del pianeta. Soprattutto al lascito più pesante: 635miliardi di dollari investiti nel bilancio del Pentagono che fanno da sentinella ai 700miliardi di dollari impegnati per salvare il disastro finanziario americano. Uno strascico bellico non è da escludere se in gioco è il primato. Del resto la giornata di ieri sembrava allestire il teatro - tra irruzione di carri armati israeliani a Gaza, raid aereo Nato in Afghanistan che ha provocato una strage di civili, dichiarazione russa sull'installazione di missili Iskander nell'enclave di Kaliningrad come ritorsione allo Scudo antimissile di Bush installato a Praga e Varsavia.
Ma è credibile che un presidente disarcionato e impresentabile trascini all'ultimo momento la più potente nazione della terra nell'ennesima sfida armata, magari all'imperituto stato canaglia rappresentato dall'Iran di Ahmadi Nejad o contro Damasco come ha dimostrato il sanguinoso recente raid in territorio siriano? Tanto da coinvolgere anche il neopresidente eletto Obama che tante speranze di pace invece suscita?
Il dato certo è questo dell'interregno. Nel quale, in modo assolutamente sotterraneo, ad essere davvero «presidente» sul campo sarà proprio il generale in capo David Petraeus. Il plenipotenziario d'Oriente è arrivato in questi giorni a Kabul, non prima d'essere passato in Pakistan ad incontrare, proprio come un capo di stato, il neopresidente Asif Ali Zardari. All'ordine del giorno le tensioni tra Washington, Kabul e Islamabad per il disastro degli attacchi missilistici e aerei che provocano stragi di civili e la rivolta delle popolazioni locali, ma soprattutto il tentativo di inscrivere quelle aree, comprese quelle turbolente delle «regioni tribali» nella logica già sperimentata in Iraq da Petraeus della «guerra speciale» di controguerriglia, capace di assoldare tribù locali le une contro le altre e tutte contro Al Qaeda. Spostando inoltre massicciamente, con l'accordo del neopresidente Obama, truppe dall'Iraq.
Chissà se ora Petraeus arriverà anche sul fronte del Caucaso, a Praga e Varsavia per lo Scudo, a CampBondsteel in Kosovo nella più grande base americana in Europa, a Vicenza o a Pratica di Mare che il governo Berlusconi promette di trasformare in una base americano-atlantica? Comunque per due mesi e mezzo è lui l'uomo più autorevole per l'uso della forza. Alla cerimonia della nuova investitura nella base dell'Air Force MacDill a Tampa Bay, il ministro delle difesa Robert Gates - che, arriva notizia, il neopresidente Obama intenderebbe confermare nella carica - ha definito Petraeus «l'uomo giusto al momento giusto».
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