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Mumbai, una nuova fase della Guerra al Terrore

di Alessandro Lattanzio* - 02/12/2008

 



"L'attacco a Mumbai è una nuova terrificante pietra miliare della jihad globale".
Bruce Reidel, ex agente della Cia e attuale consigliere di Obama per il Pakistan

"Se andremo in guerra, allora ci andremo tutti, non solo qualcuno."
Barack Obama al Time Magazine Forum, 11 settembre 2008

"Farò della lotta contro Al Qaeda ed i talebani la massima priorità, come dovrebbe essere. Questa è una guerra che dobbiamo vincere."
Barack Obama

Se gli attacchi del 26/29 novembre a Mumbai, che hanno provocato finora 175 morti e 370 feriti, sono opera di militanti islamisti, come viene fatto apparire, il Governo Indiano incolperebbe il Pakistan. Da ciò scoccherà una crisi fra le due potenze nucleari che coinvolgerebbe gli Stati Uniti, pronti a schierarsi con la ‘parte lesa’.
La situazione, a Mumbai, adesso resta poco chiara dopo gli attacchi del 26 novembre. Ma per capire l'importanza geopolitica di ciò che è accaduto, è necessario partire dall’inizio. Apparentemente due commando di uomini armati, sbarcati da gommoni, hanno effettuato sette azioni d’assalto contro le infrastrutture turistiche della capitale economico-finanziaria dell'India: Mumbai. I "terroristi sconosciuti hanno aperto il fuoco indiscriminatamente con armi automatiche e in alcuni luoghi hanno usato anche granate". L'attacco è stato rivendicato dal gruppo che si autodefinisce "Mujahidin del Deccan", finora quasi sconosciuto, ma dietro cui si celerebbe, secondo fonti ufficiali indiane, il movimento indipendentista del Kashmir Lashkar-e-Toiba, gruppo ritenuto legato ad Al-Qaida e ai servizi segreti (ISI) di Islamabad.
Il dirigente dell’ATS, la forza antiterrorismo di Mumbai, Hemant Karkare, ed altri ufficiali sono stati uccisi nell’azione terroristica. Era il gruppo d’indagine che seguiva il caso degli attentati esplosivi di Malegaon, dove Praggya Singh, un ufficiale dell’esercito, Raj Kumar Purohit e parecchi altri importanti esponenti del fronte di estrema destra BJP-RSS-BajrangDal-VHP sono stati arrestati. Karkare diresse gli arresti. Karkare aveva ricevuto minacce da parecchie parti. L. K. Advani, il capo del BJP e molti altri eminenti dirigenti della cosiddetta ‘Squadrone del Terrorismo Indù’ volevano la sua testa. Ed il primo caduto dell’attacco terroristico è stato proprio Karkare! Mentre dirigeva le operazioni intorno all’Hotel Taj Mahal è stato ucciso con tre proiettili sparati “da un’auto della polizia, che era stata probabilmente sequestrata dai terroristi.”
L’operazione dei terroristi è iniziata dall’edificio Nariman, l'unica costruzione a Mumbai abitata da ebrei. Alcuni indù Gujarati che vivevano presso la zona del Nariman hanno detto apertamente, alla televisione, che l'operazione dei terroristi hanno incominciato a sparare dall’edificio Nariman. Un luogo che per due anni è stato al centro di attività sospette. Ma nessuno se ne era occupato. Il Mossad appare coinvolto nell'intera vicenda, appoggiato dalle forze comunaliste hindiu del fronte RSS-BJP-VHP-Bajrang guidato da Advani. Una fotografia pubblicata recentemente sull’Urdu Times di Mumbai, indica che agenti del Mossad sono giunti in India ed hanno incontrato Sadhus, Sadhu, Sadhvi ed altri elementi pro-Hindutva. È una cospirazione? In effetti, a seguito delle indagini di Karkare, le agenzie d’intelligence indiane si erano concentrate sui collegamenti internazionali del radicalismo Hindutva.
Secondo un’edizione speciale del National Daily del Madhya Pradesh, l’intelligence indiana ritiene che il Mossad e la CIA, nell’attuazione di operazioni contro paesi arabi e musulmani, abbiano ottenuto il supporto del movimento estremista Hindutva. Il giornale scrive che le agenzie d’intelligence nazionali sono preoccupate per l'infiltrazione del Mossad e della CIA nel paese, ed adesso le agenzie dell’intelligence indiane starebbero vagliando i dettagli completi della visita di una delegazione di capi religiosi d’Israele in India e la loro riunione con dei santoni Sadhu e altri capi indù e musulmani. Secondo il giornale, durante il governo di Atul Behari Vajpayee, leader del BJP, gli anddharam guru Sadhu dell’Hindutva del Sangh Parivar visitarono Israele. Col tempo queste visite in Israele aumentarono, e quindi anche i rapporti ed i contatti dei guru del Sangh Parivar Dharam e dei capi Hindutva con Israele.
Secondo il giornale, negli ultimi dieci anni la CIA ha studiato ed analizzato molto attentamente la crescente resistenza delle organizzazioni Hindutva del Sangh Parivar e le violenze commesse da queste organizzazioni contro i musulmani, i cristiani e le minoranze del Gujarat, Orissa, Karnataka ed altri stati. Non va escluso che anche le recenti violenze anticristiane negli stati orientali indiani rientrino in una operazione pianificata in precedenza.
Le agenzie d’intelligence hanno rilevato che le visite di cittadini e rabbini israeliani, non molto frequenti in passato, sono aumentate enormemente negli ultimi anni. La visita più importante è stata quella fatta a Delhi dalla delegazione dei capi religiosi ebrei israeliani, nel febbraio 2007. La delegazione era guidata dal rabbino capo d’Israele, Yonah Metzger. In questa delegazione, oltre ai capi religiosi ebraici d’Israele, vi erano anche dei rabbini del Belgio e della Spagna. In India, la delegazione religiosa d'Israele incontrò i maggiori dirigenti dell’Hindutva, tra cui K. S. Sudharshan, leader dell’estremista RSS, il presidente del VHP, Ashok Singhal, ed il suo leader, Vishnu Hari Dalmia. Dopo la riunione dei Sadhu e dei capi ebrei, entrambe le delegazioni pubblicarono un manifesto comune. In questa riunione i rabbini ebrei espressero gravi preoccupazioni verso i presunti attacchi terroristici effettuati da Mussulmani, come affermarono i guru indù del Dharam.
Fonti dei servizi segreti hanno rilevato che quest’anno, su invito dei capi religiosi israeliani, una delegazione dei capi Hindutva, tra cui alcuni dirigenti del Sangh Parivar, aveva visitato Israele. Secondo il National Daily, i funzionari delle agenzie dell’intelligence indiane hanno ha affermato che la CIA ed il Mossad hanno attuato parecchie operazioni segrete in Asia. Soprattutto dopo che le indagini sugli attentati di Malegaon e di Modana, hanno coinvolto Amaranand Shankaracharya (alias Dayanand Pande), e Sadhvi Pragya Thakur.
Fatto sta che gli attacchi terroristici di Mumbai fanno gravare una pesante cappa sui rapporti India-Pakistan. Difatti, benché la situazione sia ancora poco chiara, le conseguenze probabili dell'attacco sembrano essere meno oscure. Cominceremo supponendo che gli attaccanti sono un gruppo militante islamico che opera in India, possibilmente con un certo sostegno esterno, dal Pakistan magari. Possiamo vedere abbastanza chiaramente che abbiamo assistito ad un attacco eseguito con cura. Dato ciò, il Governo Indiano ha due scelte.
In primo luogo, si può dire semplicemente che gli esecutori erano di un gruppo interno. In quel caso, verrà incolpato il responsabile del fallimento di proporzioni enormi della sicurezza e dell'applicazione della legge, il responsabile del dicastero degli interni, ministro Shivraj Patil, s’è dimesso assieme al consigliere della sicurezza nazionale.
Da un altro lato, si può collegare l'attacco ad una potenza esterna: Il Pakistan. In questo caso si riterrà la nazione responsabile dell'attacco e si potrà sfruttare l'atmosfera di crisi per rafforzare la posizione del governo, anche invocando il nazionalismo. Questo è politicamente il risultato preferibile per il Governo Indiano e, probabilmente, sarà la linea di condotta adottata.
Ciò non vuol dire che non ci siano potenze straniere coinvolte, anzi, senza badare alle conseguenze, il Governo Indiano sosterrà questa tesi, che, a sua volta, trascinerà India e Pakistan in una crisi pericolosa, la più pericolosa dal 2002. Se i pakistani saranno percepiti come i responsabili dell'attentato, e gli indiani li riterranno colpevoli, ricorreranno alla rappresaglia, altrimenti, la credibilità interna del governo indiano crollerebbe.
La crisi, allora, richiederebbe l’intervento dei pakistani con azioni immediate per reprimere gli islamisti, specialmente nel Kashmir. Nuova Delhi domanderebbe una simile azione, immediata e pubblica. Tale richiesta sarebbe parallela a quelle degli Stati Uniti che, certamente, imporranno quelle azioni minacciate dal neopresidente degli Stati Uniti Barack Obama, per strappare una maggior cooperazione dal Pakistan. Se ciò accadesse, il Pakistan si troverà preso tra due fuochi. Da un lato, gli indiani minacceranno azioni, vaghe ma incombenti. Dall’altro gli statunitensi intensificheranno gli interventi armati sul territorio pakistano.
Se gli attentati porteranno al Pakistan, gli USA intensificheranno gli interventi armati nei giorni precedenti la nomina ufficiale del nuovo presidente. C’è un precedente. Nel 2002 vi fu l’attacco al Parlamento indiano, a Mumbai, da parte di militanti islamisti collegati al Pakistan. Un conflitto nucleare era sul punto di esplodere fra l'India ed il Pakistan, e gli Stati Uniti giocarono un ruolo stabilizzatore, in cambio di una maggiore pressione pakistana sugli islamisti. La crisi contribuirà a ridefinire la posizione pakistana verso i radicali islamisti nel Pakistan. In questo caso le richieste saranno maggiori. Gli indiani e gli Americani avranno il comune interesse a che il governo pakistano agisca con maggior vigore, decisione ed immediatezza. Ma il governo pakistano ha avvertito che tale pressione potrebbe destabilizzare il Paese. Gli indiani non saranno in una posizione tale da moderare le loro pretese e gli Americani approfitteranno della situazione per strappare altre concessioni importanti. Così la crisi s’intreccerà direttamente con le operazioni della NATO e degli Stati Uniti in Afghanistan.
Non è chiaro quanto il governo pakistano possa controllare la situazione, ma gli indiani probabilmente premeranno ulteriormente e gli Stati Uniti li fiancheggeranno, muovendosi sulla stessa linea. Il governo dell’India è sotto pressione e gli si chiederà di reagire. Di conseguenza, questi eventi indicano non solo una crisi seria fra il Pakistan e l'India, ma anche all’interno del Pakistan, con il governo preso in mezzo tra le potenze straniere e la realtà interna. Date le circostanze, una gravissima destabilizzazione regionale è possibile, soprattutto in presenza di armi nucleari.
Chi ha ideato l’attentato ha pensato acutamente alle implicazioni politico-diplomatiche che ne conseguono: gli indiani si baseranno su una ‘verità’, pur in presenza di un evento di cui non vi è certezza; e questa ‘verità’ è che i terroristi fossero musulmani e che i pakistani non potessero non sapere, o quanto meno, non potranno dimostrare in modo netto di esserne estranei; sulla base di questo assioma psico-diplomatico si rischia di entrare in una profonda crisi internazionale, e non vi è molto tempo per chiarire la situazione.
In un momento di crisi negli USA, non è da escludere che la leadership strategica a Washington abbia deciso di condurre ulteriori interventi facendo ricorso alla manodopera di terzi. Non potendo più coinvolgere direttamente proprie truppe, la consorteria riunita intorno al prossimo presidente statunitense può aver deciso di utilizzare un metodo già sperimentato nelle guerre coloniali (non ultima in Kosovo e in Afghanistan), cioè quella di fare combattere una guerra di conquista e di occupazione a forze di ascari. Come nel caso del Kosovo, dove la NATO impiegò le truppe dell’UCK per impegnare sul terreno le forze di sicurezza jugoslave, così potrebbe ripetersi la eventuale strategia futura degli USA, soprattutto in un area delicata e strategicamente importante quale il continente subasiatico.
Un conflitto ampio, acuto e difficilmente gestibile, destabilizzerebbe quel processo di cooperazione economico-politico che vede, in questi anni, protagoniste le principali potenze eurasiatiche (Federazione Russa, Repubblica Popolare di Cina e Unione Indiana). L’operazione terroristica, attuata in modo estremamente professionale ed accurato, sembra avere per obiettivo non solo la destabilizzazione dell’India, ma la destabilizzazione di tutto il continente eurasiatico. Un obiettivo che è sempre stato nell’agenda dei personaggi che si muovono nell’ombra di Obama.
Il Pakistan è un elemento portante di questo processo di stabilizzazione geostrategica e di normalizzazione politico-economica dell’area. Si pensi al ruolo che potrebbe avere l’oleogasdotto della Pace che collegherà i giacimenti di idrocarburi iraniani ai poli industriali indiano e cinese, passando per il Pakistan. La figura di Musharraf era propositiva al riguardo, nonostante i continui contrasti con New Delhi, ma i centri decisionali atlantismi decisero diversamente, e dopo mesi di campagna propagandistica e l’oscuro omicidio di Benazir Bhutto (pedina anglo-statunitense), queste centrali sono riuscite a imporre a Islamabad il suo vedovo, Alì al-Zardari, personaggio dalle dubbie qualità e forse anche afflitto da problemi di salute mentale, perciò manovrabile da interessi esterni ed estranei a Islamabad.
Collegando il mutamento politico effettuato ad Islamabad con il processo di destabilizzazione in India, (le rivolte comunaliste contro varie minoranze, una catena di attentati dalle origini, motivazioni e scopi oscuri, come gli attentati dell'11 luglio 2006 contro la metropolitana della stessa Mumbai, dove morirono più di duecento persone) e con i tentativi di contrastare il nuovo governo a guida Maoista in Nepal, dove compaiono all’improvviso, e del nulla, dei ‘messia’ induisti o dove la solita ONG del solito Brzezinski, la solita Human Right Watch, accusa la polizia nepalese (e quindi il governo comunista) di ‘maltrattare i bambini di strada’, si comprende l’esistenza di un piano di ampio respiro e assai sofisticato, evidentemente studiato e preparato nel corso di anni.
Ponendosi una domanda retorica: si tratta di un piano destinato a fare avverare il sogno anti-eurasiatico della cerchia neo-wilsoniana di Brzezinski/Soros, e a fare avverare le profezie belliciste dell’ex-senatore Barack Obama?



Fonti:
http://ghulammuhammed.blogspot.com/
http://it.peacereporter.net/articolo/12967/Mumbai,+il+Pakistan+nel+mirino
http://www.movisol.org/08news291.htm

* Alessandro Lattanzio, redattore di Eurasia, è esperto di questioni strategiche.