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Quel che resta del futurismo

di Achille Bonito Oliva - 14/01/2009


L'avanguardia che innervosì il '900
 

Figli di quell´onda lunga sono anche Burri e Fontana Schifano e Warhol Bill Viola e Gehry
Una rivoluzione spesso appannata dai comportamenti degli stessi futuristi
Il manifesto fu pubblicato sulla "Gazzetta dell´Emilia" il 5 febbraio del 1909 e poi su "Le Figaro". Velocità e azione le parole d´ordine. Ma fra gli esiti ci fu anche il fascismo

Sicuramente tra tutte le Avanguardie il Futurismo è stato il movimento più nervoso del Novecento, un secolo nervoso per eccellenza. Si evince dal primo manifesto di Filippo Tommaso Marinetti, pubblicato il 5 febbraio 1909 sulla Gazzetta dell´Emilia, e apparso il 20 febbraio sulle pagine del quotidiano francese Le Figaro, che esplode come una violenta deflagrazione sullo sfondo di un´Italia contadina e analfabeta, ancora abbondantemente assopita tra scampoli e retaggi di una cultura tardo-romantica, ottocentesca. Velocità, dinamismo, azione, modernità, il mito della macchina e del progresso, insieme al disprezzo per la tradizione e l´accademismo, costituiscono i nuovi valori dello Sturm und drang, impeto e assalto, futurista: per il rinnovamento della società italiana e il superamento delle vecchie ideologie attraverso l´impiego massiccio e bulimico del manifesto, forma di militarizzazione della parola usata come proclama e dichiarazione di guerra contro il mondo passatista.
Accanto a Marinetti, vero e proprio deus ex machina del movimento, compaiono sulla scena Balla, Boccioni, Carrà, Severini, Russolo, che attribuiscono al movimento, concepito originariamente come letterario, una propria concreta fisionomia artistica. Tra il 1910 e il 1914 vedono la luce, solo per citare alcuni fondamentali scritti, il Manifesto dei pittori Futuristi, il Manifesto dei Musicisti Futuristi, Il Manifesto della Scultura Futurista e il Manifesto della Scultura Futurista. I proclami di Marinetti si susseguono con intensità crescente, fino a inondare, con la tipica verve linguistica e lo spirito pungente che caratterizza la formazione, ogni aspetto del vivere civile e ogni forma di espressione artistica: dal romanzo al teatro, dalla poesia alla danza, dalla fotografia all´architettura, dal cinema alla moda, dalla radio al design, dalla tipografia alla musica, dalla cucina alla politica, al concetto di donna e quello di amore, approdando, in un documento stilato a quattro mani da Balla e Depero, all´estrema ipotesi di una Ricostruzione futurista dell´Universo.
Nel tentativo di agguantare la vita e di trasformarla attraverso l´arte, il Futurismo si fa nervoso, "caffeina d´Europa", nei suoi manifesti sprizza insonnia, impazienza, irruenza, vitalismo, superomismo, conflittualità. Fino a cadere sciaguratamente nelle braccia del Regime, nell´impossibile tentativo dell´immaginazione al potere attraverso l´estetizzazione della politica e del quotidiano.
La rivoluzione linguistica del Futurismo spesso è stata appannata dagli stessi artisti per uno stile di vita e comportamenti politicamente scomodi e inaccettabili (l´adesione al Fascismo fino alla sua fine) e rimossa dalla critica fino agli anni sessanta.
I manifesti futuristi senza dubbio esprimono principalmente idealità di comportamento, indicate attraverso pubblici proclami e poi magari contraddetti nel quotidiano e nella propria vita privata.
Il superamento di ogni modica quantità, l´amore per il pericolo e l´azzardo, l´apologia della macchina e dell´industria, la pubblicazione del primo Manifesto su un quotidiano della città più cosmopolita d´Europa, ci segnalano una modernissima ansietà di comunicazione: oltrepassare il recinto del linguaggio e bucare l´immaginario collettivo di una società di massa magari disattenta.
È facile fare i conti con le Avanguardie storiche. Insonnia futurista contro sogno surrealista, vitalismo contro platonismo dell´astrazione, esplosione contro scomposizione cubista, nichilismo attivo contro anarchia dadaista, euforia contro lamento espressionista. D´altronde anche Antonio Gramsci si pose la domanda sull´onda anomala del Futurismo: «Marinetti rivoluzionario?» (Ordine Nuovo, 5 giugno 1921). Gramsci scriveva: «I futuristi hanno svolto questo compito nel campo della cultura borghese: hanno distrutto, senza preoccuparsi se le nuove creazioni, prodotte dalla loro attività, fossero nel complesso, una opera superiore a quella distrutta: hanno avuto fiducia in sé stessi, nella foga delle energie giovani, hanno avuto la concezione netta e chiara che l´epoca nostra, l´epoca della grande industria, della grande città operaia, della vita intensa e tumultuosa doveva avere nuove forme di arte, di filosofia, di costume, di linguaggio: hanno avuto questa concezione nettamente rivoluzionaria, assolutamente marxista».
Smentita tragicamente tale asserzione sul piano politico, la si può confermare invece su quello culturale e condividere la sentenza finale dell´articolo di Gramsci: «I futuristi, nel loro campo, nel campo della cultura, sono rivoluzionari».
Visto che è l´anniversario, a cento anni dalla sua nascita, chiediamoci: che cosa è rimasto del Futurismo, fino a dove è arrivato il suo tsunami? Sicuramente il Futurismo è stata un´onda lunga che ha investito sul piano della sperimentazione linguistica molte generazioni di artisti. Pensiamo al polimaterismo di Alberto Burri e di Robert Raushenberg, al continuum spazio-temporale del taglio di Fontana, alla pittura urbana di Stuart Davis, alla Pop Art americana, alla velocità pittorica di Schifano e al dandismo di massa di Warhol, all´eclatanza iconografica di Cattelan, alla multimedialità di Kentridge, ai video di Bill Viola, all´energia dei materiali nell´Arte povera con la sua discesa dalla parete e l´occupazione dello spazio quotidiano, ai linguaggi pittorici figurativi di Chia e a quelli astratti di Nicola De Maria nella Transavanguardia, alla musica concreta, elettronica e a quella di Cage, agli ologrammi di Bruce Nauman, all´happening e alle azioni di Fluxus, a Dan Flavin, a Frank Gehry. E che dire della pubblicità, dei videoclip di Michael Jackson, dei graffiti di Basquiat , ed infine della "nouvelle cousine" di Ferran Adrià che ha introdotto un´attenzione chimica nell´elaborazione di nuovi piatti?
Ma sicuramente l´ansietas della comunicazione è la grande eredità del Futurismo, interamente puntata sul mondo, al limite del fondamentalismo estetico e proclamata quasi sempre a volume alto, nell´impossibile tentativo di dare un presente immediato al nostro futuro.