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Ormai è impossibile distinguere tra guerra e terrorismo

di Michele Orsini - 26/01/2009

Fonte: oppostadirezione

 

In questi anni nel nome della “lotta al terrorismo” gli Usa e i loro alleati hanno giustificato ogni tipo di nefandezza. Lo slogan è indubbiamente efficace, resta più difficile definire chi si possa definire terrorista e, per far ciò,  cosa significhi questa parola. Il Ministro Franco Frattini non perde occasione per ripetere che Hamas è una formazione terrorista. Piero Fassino concorda anche se considera, bontà sua, sproporzionata la “reazione israeliana”. Per Paolo Ferrero e Roberto Fiore, invece, “terrorista è Israele”. Chi avrà ragione? Per dare una risposta servirebbe una definizione condivisa di terrorismo, ma non esiste. Quello che si può fare è isolare due grosse categorie di definizioni. Quando Tzipi Livni afferma che “non si può mettere sullo stesso piano Israele ed Hamas” sembra alludere a una definizione di tipo formale, legalistico: Israele ha un’organizzazione di tipo statuale, quindi deterrebbe il “monopolio legale della violenza” entro i suoi confini. Da un punto di vista formale, quindi, parlare di “stato terrorista” è un ossimoro. Più difficile è capire se si può parlare dei militanti di Hamas come di terroristi, soprattutto perché è impossibile dare una definizione che sia legale e non politica: non possiamo dimenticare il caso di Clementina Forleo, magistrato che nel 2005 aveva definito i guerriglieri irakeni resistenti anziché terroristi ed era stata accusata d’aver preso una posizione politica, il ché è vero, ma lo è anche per la decisione della Corte di Cassazione che l’ha, un anno e mezzo dopo, sconfessata. Del resto in Italia ricordiamo Guglielmo Oberdan come un eroe, ma gli austriaci lo chiamarono terrorista. I fascisti chiamavano terroristi i partigiani. In tempi più recenti i militanti dell’IRA venivano chiamati terroristi dagli inglesi ma già nel loro nome, di certo non scelto a caso, si definivano come Army, esercito. L’altra famiglia di definizioni, più oggettiva, si riferisce a un metodo di lotta che consiste in azioni clamorose e violente, atte a seminare il terrore nella popolazione. Le definizioni di questo tipo sono operative ma hanno in genere (ma non per tutti) una connotazione negativa. In quest’ottica erano certamente terroristiche le azioni delle BR, gli attentati della mafia e lo sono anche i lanci di razzi da parte di Hamas. Attenzione però, questo tipo di criterio che si riferisce solamente alla qualità degli atti si può applicare, a differenza di quella precedente, anche agli Stati. La guerra combattuta cavallerescamente, nella quale il nemico è lo justis hostis e i civili non vengono colpiti, appartiene un po’ alla storia e molto al mito. La guerra moderna è scorretta e lo è fin dall’inizio: la si fa senza dichiararla. L’evoluzione tecnica degli armamenti e l’involuzione morale dei militari e, ancor di più, dei politici che danno loro gli ordini, contribuiscono a far sì che le vittime civili siano più numerose dei soldati caduti. Il fatto di parlare dei civili uccisi come di effetti collaterali è un atto di propaganda (e d’ipocrisia) che certo non diminuisce la paura delle popolazioni. Distinguere tra guerra e terrorismo insomma non ha più senso. Massimo Fini nel suo “Elogio della guerra” sostiene che la grande diffusione del pacifismo nel dopoguerra è dovuta alla percezione della minaccia atomica, poiché anche molti non contrari alla guerra in sé sono orripilati dalla prospettiva di un conflitto nucleare. In realtà però è difficile fare distinzioni, la guerra moderna è sempre terroristica, anche se condotta con armi convenzionali. La storia mostra come si può andare anche oltre: terroristici si possono considerare il bombardamento nazista di Coventry o lo sganciamento delle atomiche statunitensi sul Giappone, ma Dresda, dove gli Alleati hanno massacrato una popolazione indifesa al termine di una guerra dall’esito già segnato, è stato un episodio che rappresenta qualcosa di ancor più grave. Se da un punto di vista formale non si può dire che “Israele è terrorista” (ma criminale di guerra sì), da quello sostanziale l’affermazione è vera. Gli israeliani non sono in condizione di far la predica. E gli Usa neppure. Non potendo distinguere tra guerra e terrorismo conta solo distinguere tra l’aggressore, cui imputare le responsabilità,  e l’aggredito, la cui difesa deve essere considerata legittima. Anche i non violenti, che hanno ogni diritto di rinunciare a mettere in atto ogni forma di violenza, dovrebbero rispettare la scelta diversa di chi, per difendersi, opta per la via del combattimento: questo è il caso di Hamas. Chi ha a cuore le sorti della Palestina oggi non può non stare dalla parte di Hamas, chi tenta ulteriori distinguo o è disonesto o non ha compreso la gravità della situazione.