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Fermare il mondo è il solo rimedio possibile

di Arturo Cavallini - 08/03/2006

Fonte: lineaquotidiano.it

 

 

L’’Istat ha certificato che il
nostro Paese durante
l’anno scorso ha avuto
una crescita pari a zero, causando la
perdita di 102 mila posti di lavoro.
Il dato del 2005 non rappresenta una
novità dato che l’economia italiana
è praticamente ferma da anni. Negli
ultimi quattro infatti, essa è cresciuta
solamente dell’1,4 per cento, vale
a dire un risultato che, se ottenuto in
un solo anno e non in quattro, solitamente
scontenterebbe tutti.
Quattro anni di stasi, che coinvolgono
tra l’altro pur con vari livelli tutta
l’Europa occidentale, sollevano
indubbiamente il problema se si è di
fine della crescita impetuosa. Il concetto
di società della crescita continua
è una parte di quel pensiero unico
che oramai ha assoggettato l’usurato
concetto di destra e sinistra.
Razionalmente si può pensare che la
crescita continua ed illimitata sia
non solo antitetica concettualmente
ad un globo che, pur se vasto, è certamente
limitato, ma anche debba
misurarsi con un rapporto uomo-
Terra che è messo sempre più a
rischio.
Solitamente i fautori di una società
della decrescita vengono inseriti tra
gli inguaribili sognatori di un ritorno
al passato. Capofila di questa scuola
Latouche,
il cui pensiero in Italia viene
diffuso da intellettuali come Tarchi,
Veneziani, Cardini, Massimo Fini e
Zarelli. Latouche ipotizza la fuoriuscita
dalla mentalità economica
dominante attraverso una posizione
antiutilitarista che ipotizza una organizzazione
sociale basata su comunità
locali autosufficienti, dotate di
un profondo senso di appartenenza
identitaria. È un pensiero composito
che trova ispirazione nella critica
heideggeriana della tecnica, in
Spengler, in Jünger, in Lasch ed in
Naess. Il filo che unisce queste ispirazioni
può essere identificato in un
antilluminismo che rifiuta la modernità,
usando le classiche categorie
destra e sinistra, nel filone culturale
di destra.
Nonostante che la sinistra generalmente
sia sempre stata produttivista
ad oltranza sta scoprendo oggi
suo interno una corrente favorevole
ad una teoria della decrescita. Se già
a suo tempo negli anni settanta
segretario del partito Comunista
Enrico Berlinguer lanciò in un
momento di crisi un appello all’austerità
qualche mese fa sulla materia
fu aperto un dibattito dal quotidiano
“Liberazione” che vide schierarsi tra
i fautori della decrescita
Segue dalla prima
(…) con le parole d’ordine
“consumare di meno” e “ottenere
un migliore tenore di vita”
Paolo Cacciari, il fratello del
noto filosofo.
In verità sia Latouche ed i suoi
referenti italiani sia le voci
provenienti dalla sinistra hanno
della decrescita una visione più
che altro ecologica. Vedono
nella necessità di bloccare sviluppo
e crescita l’unica risposta
possibile al dissennato uso
delle risorse della Terra. È una
proposta ambientalista ed esistenziale
a tutela della natura e
dell’uomo. Il problema a mio
avviso è assai più complesso.
Se la crescita continua, aumentando
la ricchezza globale, ne
incrementa i singoli segmenti
togliendo quindi spazio all’antagonismo
sociale, un lungo
periodo di stasi non può che
sollevare il problema di una
redistribuzione più giusta ed
equa della ricchezza nazionale.
Un periodo di stasi economica
non significa assolutamente
crisi sociale qualora redistribuzione
ed ammortizzatori sociali
impediscano la divaricazione
della forbice delle differenze
economiche.
In questa situazione è importantissima
la leva fiscale. Sono
curioso di vedere domani come
Prodi o Berlusconi risolveranno
il problema atteso che
ambedue predicano la diminuzione
dell’imposizione fiscale
generalizzata, imprese comprese.