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Può accadere che «l'altra dimensione» faccia irruzione nella nostra, fino a minacciarci?

di Francesco Lamendola - 22/04/2009


Lo scrittore americano Frank Belknap Long, discepolo e amico del celebre H. P. Lovecraft, in uno dei suoi più noti e agghiaccianti racconti del terrore, «I segugi di Tindalos», del 1946, aveva immaginato che l'altra dimensione possa non solo comunicare direttamente con la nostra, in presenza di determinate circostanze; ma, addirittura, che le creature in essa esistenti possano irromperne fuori e arrivare a minacciarci fisicamente.
L'idea non è originale; lo stesso Lovecraft l'aveva già magistralmente sviluppata in uno dei suoi racconti dell'incubo più riusciti, ossia «I sogni nella casa stregata» («The Dreams on the Witch-House»), del 1932; in cui le creature mostruose che si trovano negli spazi interdimensionali riescono a  superare la fragile barriera che li separa dalla nostra dimensione, anche per opera di magia nera svolta dalla strega Keziah, nella malefica città di Arkham.
Nel racconto di Belknap Long, invece, il protagonista, lo scrittore e giornalista Halpin Chalmers, con l'ausilio di una misteriosa droga fabbricata da alcuni alchimisti cinesi, trova il modo di viaggiare liberamente, con la mente, a ritroso nella quarta dimensione, attratto dal mistero delle origini dell'umanità. Giunge così a risalire indietro fino a un'era misteriosa, in cui non solo l'uomo, ma nessun'altra creatura conosciuta esisteva ancora sulla Terra; ma, con suo sgomento, scopre l'esistenza di creature diaboliche, in forma di cani selvaggi, che fiutano la sua presenza e cominciano a minacciarlo nella sua stessa casa.
Ecco come l'Autore descrive la doppia, terrificante scoperta di Chalmers (da: F. Belknap Long, «I segugi di Tindalos»; titolo originale: «The Hounds of Tindalos», 1946; traduzione italiana di Maria Regina Perissinotto, Milano, SIAD Edizioni, 1979, pp. 80-81):

«Si nascose il viso fra le mani, e gemette. "Esistono veramente, Frank, li ho visti per un tremendo istante. Per un attimo sono stato dall'"altra parte". Sulle pallide rive grigie al di là del tempo e dello spazio. In una luce tremenda che non era luce, in un silenzio che strideva, io li ho visti!.
Tutto il male dell'universo era concentrato nei loro corpi magri e famelici. Ma avevano corpo? Li ho visti solo per un attimo; non posso esserne sicuro. Ma ho sentito il loro alito. In modo indescrivibile, ho sentito  per un attimo il loro fiato sulla mia faccia.  Si sono lanciati verso di me e io sono fuggito urlando.  In un secondo son fuggito urlando attraverso il tempo. Sono fuggito per milioni e milioni di anni.
Ma ora mi hanno fiutato. Gli uomini risvegliano in loro una insaziabilità cosmica.  Noi siamo scampati, finora, all'oscenità che li circonda.  Anelano perciò a tutto quel che c'è di puro in noi, tutto ciò che emerse senza macchia dall'atto iniziale. C'è una parte di noi che non è colpevole, ed è quella che essi hanno in odio.  Ma non penso che siano veramente, materialmente, malvagi.
Sono al di là del bene e del male, quali noi li conosciamo.  Sono quello che all'inizio si staccò dalla purezza. In seguito  a ciò essi divennero l'incarnazione della morte, ricettacolo di ogni bassezza. Ma non sono il male come lo intendiamo no, perché nelle sfere in cui si muovono non esiste il pensiero, non la morale, non il bene e il male come li concepiamo noi. Ci sono semplicemente la purezza e l'impudicizia. L'impudicizia si manifesta attraverso gli angoli; la purezza attraverso le curve. L'uomo, o almeno la sua parte pura, è derivato da una curva. Non rida. Dico sul serio."
Mi alzai e cercai il mio cappello.  "Mi dispiace immensamente per lei, Chalmers - dissi, andando verso la porta -, ma  non intendo stare ad ascoltare queste assurdità. Le manderò il mio medico a vistarla. È un buon uomo all'antica e non si offenda se la manderà al diavolo. Ma spero che vorrà ascoltare i suoi consigli. Una settimana di riposo in una casa di riposo le farebbe un gran bene."
Lo sentii ridere mentre scendevo le scale, ma era una risata così mesta che mi vennero le lacrime agli occhi.

*   *   *
Quando Chalmers mi telefonò la mattina dopo, il mio primo impulso fu quello di riagganciare immediatamente . la sua richiesta era così insolita e la sua voce così violentemente isterica che ebbi il timore che ogni ulteriore incontro con lui sarebbe andato a discapito della mia sanità mentale. Ma non potevo mettere in dubbio  la genuinità del suo dolore, e quando Chalmers  si lasciò andare completamente e lo sentii singhiozzare  dall'altra parte del filo, decisi di acconsentire alla sua richiesta.
"Bene - dissi -, arrivo subito e porto lo stucco."
Andando da Chalmers mi fermai a un ferramenta e acquistai dieci chili di stucco. Quando entrai nella stanza del mio amico, lo trovai accovacciato vicino alla finestra, che fissava la parete di fronte  con gli occhi febbricitanti e impauriti.  Quando mi vide, si alzò e mi strappò di mano il pacchetto contenente  lo stucco con un'avidità che mi lasciò allibito e sconvolto. Aveva portato fuori tutti i mobili e la stanza aveva un aspetto desolante.
"È certo che li possiamo combattere! - esclamò. - ma dobbiamo agire con rapidità. Frank, c'è una scala a pioli all'entrata. La porti qui subito. E poi vada a prendere un secchio d'acqua.
"Per far cosa?", mormorai.
Si voltò di scatto, rosso in volto. "Per impastare lo stucco, idiota!", gridò. "Per impastare lo stucco che salverà i nostri corpi e le nostre anime da una contaminazione disastrosa. Per impastare lo stucco che salverà il mondo da… Frank, dobbiamo tenerli lontani."
"Ma chi?", mormorai..
"I segugi di Tindalos", borbottò. Ci possono raggiungere solo attraverso gli angoli. Dobbiamo eliminare tutti gli angoli di questa stanza.  Stuccherò tutti gli angoli, tutte le fessure.  Dobbiamo rendere questa stanza simile all'interno di una sfera."
Sapevo che sarebbe stato inutile tentare di ragionare  con lui. Andai a prendere la scala a pioli , Chambers impastò lo stucco, e lavorammo per tre ore…»

Inutile dire che, nonostante tutte le precauzioni, i segugi di Tindalos trovano il modo di penetrare ugualmente nella stanza di Chambers, con conseguenze fatali per quest'ultimo.
Ebbene, questa è una storia di fantasia, come ne sono state scritte diverse su di un tale argomento; noi stessi, a suo tempo, ne abbiamo pubblicata una (cfr. il racconto «L'abitatore del buio», nel volume: Francesco Lamendola, «La bambina dei sogni e altri racconti», Poggibonsi, Siena, Lalli Editore, 1985).
Ma che cosa diremmo, se fatti del genere uscissero dal regno della fantasia letteraria ed entrassero, ospiti non invitati, nella sfera della vita reale?

Uno studiosi molto serio di parapsicologia, Leo Talamonti, autore di libri assai apprezzati, come «Universo sconosciuto» e «I protagonisti invisibili», riporta un fatto sbalorditivo, che ricorda da vicino il racconto di Frank Belknap Long, sebbene egli lo interpreti in chiave diversa, e cioè come una forma di autosuggestione del soggetto immerso nel sonno.
Il fatto, comunicato all'Autore da una  signora inglese o americana residente a Firenze, era stato riportato, in un primo tempo, sulla rivista da lui fondata e diretta «Scienza e ignoto», nel 1972; e, in seguito, nel volume dello stesso Talamonti «Parapsicologia della vita quotidiana» (Milano, Rizzoli, 1975, pp. 41-42). Eccolo:

«Sig. Direttore,
è un fatto vero; non è capitato a me ma a una mia amica, che me l'ha raccontato giorni fa. Mi telefonò alle dieci del mattino, ancora piena di spavento, per dirmi che aveva sognato di essere stata azzannata alla mano da un cane. Appena desta, si trovò l'impronta nettissima delle zanne sulla mano destra.  Particolarmente profonda, oltre che rossa e dolente, era l'impronta sul palmo, dov'erano visibili le tracce di cinque denti, due delle quali più pronunciate delle altre.  A poco a poco, tracce, rossore e fastidio scomparvero.
Ethel Gates, Firenze.»

Ed ecco il commento di Leo Talamonti, studioso serio e scrupoloso, ma col quale - in questo caso - ci sembra di non poter concordare interamente (Ibidem):

«Sorvolando sul probabile significato latente del sogno, che può essere, ma non è detto che sia, di natura sessuale, soffermiamoci un momento sul significato manifesto: il cane che azzanna la mano e vi lascia l'impronta dei suoi denti.  Lei sa che certi soggetti hanno un'attitudine al dermografismo passivo: basta far scorrere leggermente una punta metallica su qualche parte del loro corpo -il braccio, mettiamo - ed ecco che vi resta impresso, per qualche tempo, un solco rosso. In aggiunta ad altri sintomi, questo sta a indicare l'esistenza di una particolare sensibilità che i medici chiamano "eretismo", ed è caratterizzata da una larga componente emotiva, ansiosa, suggestionabile. Se un soggetto del genere viene ipnotizzato, gli si suggerisce mentre è in trance, che si è presa una scottatura nel tale punto, può darsi che proprio in quel punto si veda comparire un arrossamento e un versamento sieroso, vale a dire: tutti i segni di una scottatura reale.  Charcot e seguaci fecero esperienze memorabili, in questo campo. È uno dei tanti fenomeni che stanno a indicare la completa "disponibilità" del corpo nei riguardi della mente: soprattutto della mente inconscia, che sta, alla mente cosciente, nello stesso rapporto della parte immersa di un "iceberg" rispetto alla piccola parte emerso (tanto per usare una metafora ben nota). Per concludere: niente "cani dell'altra sponda", per spiegare un fenomeno interessante, senza dubbio, ma naturale, anche se collocabile in quella zona ambigua e incerta dove si incontrano il normale e il paranormale, e che ha tanta parte nella vita quotidiana di ciascuno. Il caso da Lei segnalato è il secondo del genere di cui vengo a conoscenza, , a distanza di quindici ani dal primo.»

In effetti, la spiegazione di Talamonti ci sembra troppo drastica e sbrigativa; perché, se è vero che la dermografia passiva e l'eretismo - e anche, diciamolo pure, l'isterismo vero e proprio - possono spiegare molti fatti del genere, non è detto che offrano la sola spiegazione possibile anche per una piccola percentuale di essi, che si distinguono per le loro caratteristiche particolarmente ambigue e realistiche.
Abbiamo già visto, nel precedente articolo «Gli esseri psichici, signori della menzogna, si servono di persone umane per realizzare i loro fini» (consultabile sul sito di Edicolaweb), che, secondo il grande mistico e filosofo Aurobindo, benché la Presenza divina nella materia sia naturalmente unica, vi sono tuttavia, nei mondi superiori, degli esseri che non si sono mai incarnati sulla terra e che vogliono agire su di essa, svolgere un'azione su di essa. Allora essi aspettano che certi esseri psichici abbiano raggiunto il loro pieno sviluppo e vi si uniscono per operare secondo la loro propria natura. La loro coscienza  si aggiunge alla coscienza  psichica sulla terra. Sono esseri che non si sono mai incarnati, che si sono materializzati sempre di più, a mano a mano che si compiva la creazione. Sono forse delle prime emanazioni, degli esseri inviati nell'universo per ragioni speciali - ciò che gli uomini chiamano «dei» «semidei».
La loro influenza può rivelarsi estremamente negativa e può giungere fino alla vera e propria possessione ai danni di una creatura umana, dalla quale scacciano l'essere psichico originario, sostituendovisi completamente. Ciò può accadere fin dalla nascita, allorché certi bambini, nati praticamente morti, tornano a vivere improvvisamente, se uno di quegli esseri psichici si impadronisce di loro.
Ciò può accadere anche nel corso di una malattia, di cui l'essere vitale approfitta per entrare nel corpo del malato.
Infine, secondo il filosofo indiano, può trattarsi di una penetrazione lenta e graduale, allorché l'essere vitale entra nell'atmosfera della persona, la influenza e, da ultimo, vi si installa definitivamente, sostituendosi alla personalità originaria.
Tutto questo richiama altre considerazioni, da noi svolte a proposito di un passo della «Divina Commedia» in cui Dante descrive l'ingresso di un demonio nel corpo di un frate peccatore, cosa diversa dalla possessione diabolica vera e propria. Infatti, nel racconto di Dante, l'anima del frate è già morta e precipitata all'Inferno; e quel che resta sulla terra, e sembra vivo, è soltanto il corpo di costui, nel quale il diavolo si è introdotto, allo scopo di conferirgli una apparenza di vita (cfr. F. Lamendola, «Quando muore l'anima di un uomo e un demonio s'insedia nel suo corpo: il caso di frate Alberigo», consultabile sul sito di Edicolaweb).
Ma torniamo al sogno della ragazza e ai cani feroci che, in esso, l'avevano inseguita e azzannata; e alla stupefacente scoperta, al risveglio di lei, di recare sulla mano la ferita dolorante del morso di una di quelle bestie; ferita che scomparve solo a poco a poco, nel corso dei giorni successivi, proprio come una normale ferita, prodotta da una creatura vivente.
Certo, può essersi trattato di una forma di reazione isterica prodotta sull'epidermide dalla vivida intensità del sogno; in breve, una forma di autosuggestione inconscia.
Ma siamo proprio sicuri che non esistano altre possibilità - in un caso come questo, ed in altri analoghi, che pure sono stati talvolta segnalati - e che si debba categoricamente escludere, come fa Talamonti, l'esistenza di «cani dell'altra sponda»? Ed è cosa logica e coerente negare a priori una tale eventualità, dopo avere ammesso l'esistenza di un universo multidimensionale; e, inoltre, la possibilità di stabilire un contatto, sia pure in circostanze eccezionali e in un limitato numero di casi, con le dimensioni parallele alla nostra?
Qui, a nostro avviso, viene a galla la limitatezza di un approccio esclusivamente parapsicologico ai fenomeni del supernormale o, come si dice in linguaggio teologico, del preternaturale: ossia di quei fenomeni che, pur non originandosi direttamente da una fonte soprannaturale, eccedono però, di molto o di poco, l'ambito del mondo naturale.
In altre parole: se si vuole spiegare tutti questi fenomeni con la sola parapsicologia  - ripetiamo, se li si vuole spiegare tutti -, bisogna per forza negare la soprannaturalità del miracolo, tirando un tratto di penna sul Vecchio e sul Nuovo Testamento; e ricorrere alla solita, vecchia formula dell'isterismo per «spiegare» fenomeni come le voci di Giovanna d'Arco, le visioni Bernadette Soubirous, le stimmate di Francesco d'Assisi e di padre Pio da Pietrelcina. Significa voler ridurre tutto - soprannatuale e preternaturale - alle dimensioni di un naturale, che non è stato ancora sufficientemente studiato e compreso.
Prendiamo in considerazione, appunto, il caso delle stimmate.
A meno di sposare in pieno la tesi positivista di Agostino Gemelli, che, quanto a padre Pio, le attribuiva a pura e semplice isteria (se non, addirittura, a simulazione; salvo sostenere una spiegazione totalmente diversa nel caso di San Francesco), bisogna ammettere la possibilità - non la necessità - che i fenomeni del parallelismo psicofisico possano avere anche una origine diversa da quella di una pura e semplice attività inconscia.
Per «parallelismo psicofisico» si intende il fatto che, in un determinato soggetto, dotato di spiccate facoltà medianiche, l'attività fisica e quella psichica sembrano svolgersi in parallelo e in reciproca dipendenza. Ad esempio, lesioni o malattie del sistema nervoso causano turbe corrispondenti nelle manifestazioni psichiche; mentre, viceversa, stati psichici anormali dovuti a preoccupazioni, passioni, spaventi, estasi religiose, possono provocare effetti fisici quali verruche, ulcere, paralisi, stimmate (cfr. Ugo Dèttore, «Dizionario enciclopedico di parapsicologia e spiritismo», Milano, Fabbri Editori, 1984, pp. 415-17).
I parapsicologi sono propensi, in genere, ad inquadrare questa fenomenologia nell'ambito di una visione naturalistica, rinviando la spiegazione a dei «poteri della mente» ancora ignoti, simili a quelli che provocano il fenomeno dell'ideoplastia (guarigione repentina di ferite o di stimmate; comparsa di esseri o di parti anatomiche, evocati dalla forza del pensiero del medium).
Ora, anche se tali spiegazioni sono certamente in grado di soddisfare un'ampia gamma di fenomeni, non sono tuttavia in grado di rendere adeguatamente ragione di tutti; e, soprattutto, non devono essere considerate come la sola maniera di addivenire a una ragionevole interpretazione di quei fenomeni, nei quali sembra di constatare uno spettacolare influsso reciproco della mente e della sfera materiale.
Tornando al caso dei cani che avrebbero azzannato il soggetto dormiente, imprimendogli il segno delle zanne sulla mano in maniera oggettivamente verificabile, possiamo ammettere anche, come ipotesi di lavoro, altre possibilità, più inquietanti, ma non assurde sul piano logico, una volta che si sia ammessa l'esistenza di una realtà pluridimensionale, rispetto alla quale noi siamo nella condizione di un ipotetico abitante di una singola stanza all'interno un immenso, labirintico palazzo, il quale poco o nulla conosce di quanto avviene nelle altre stanze, dalle quali - tuttavia - solo delle sottili pareti lo separano.
Una prima possibilità è che esista realmente un luogo, situato in un'altra dimensione, nel quale noi ci rechiamo quando la nostra mente sogna; e che esso, in presenza di circostanze rarissime, ma non impossibili, possa giungere ad interagire con il nostro piano di realtà. Come dire che, se si produce  una crepa nella parete divisoria fra la nostra dimensione ed una di quelle che esistono parallelamente alla nostra, può accadere che le entità di quest'ultima entrino in contatto con noi, con conseguenze imprevedibili, così nel bene, come nel male.
Questa ipotesi è vicina alla concezione sciamanica, secondo la quale lo sciamano, appunto, è capace di «volare», in estasi o in sogno, nel mondo degli spiriti, sia per recuperarvi l'anima di un soggetto gravemente malato, o vittima di un incantesimo, sia per ricacciarvi l'entità malvagia che sia penetrata nel corpo di lui.
Una seconda possibilità è che, quando la nostra mente sogna, essa produce una realtà che non è affatto illusoria ed effimera, ma concreta e capace perfino di vita autonoma: un po' come il personaggio creato da uno scrittore che poi, una volta definito, non abbia più bisogno del supporto della mete del suo autore per dispiegare la propria esistenza nell'ambito della realtà circostante. Come è noto, Luigi Pirandello sosteneva una teoria di questo genere.
Così, le creature del sogno presenterebbero affinità con le creature materializzate dalla mente conscia, secondo una tecnica ben nota agli occultisti tibetani, che chiamano «tulpa» tali creazioni; mentre, nell'esoterismo occidentale, esse sono piuttosto note con il nome di «forme-pensiero». Ne abbiamo già parlato, peraltro, nel precedente articolo «Da dove vengono le materializzazioni del pensiero?» (consultabile sul sito di Edicolaweb).
Ma, ovviamente, la differenza è che le une sono create dalla mente del dormiente, le altre no; e, secondo la teoria junghiana dell'Inconscio collettivo, bisogna ammettere che sono le prime ad avere una maggior probabilità di attingere al «deposito» simbolico degli archetipi universali, dunque di esprimere dei contenuti che travalicano la sfera dell'io individuale e, in tale senso, più «oggettivi» degli altri.
Una terza possibilità è che delle entità spirituali, tanto benevole quanto malefiche, si servano, per così dire, dei contenuti dei nostri sogni, per esercitare un influsso concreto, materiale, sulla nostra vita, agendo nella sfera della dimensione cosciente. Infatti, durante il sonno, il nostro io si libera dai condizionamenti e, fino a un certo punto, dai limiti della vita allo stato di veglia e si trova in uno stato non troppo diverso da quello della trance, sia essa indotta dall'ipnosi (o dal'autoipnosi), sia dalle forze collettive sprigionate da una seduta medianica, sia - infine - dall'estasi mistica o da un elevato stato spirituale, raggiunto con la meditazione.
Ora, è noto che tali sono, appunto, le circostanze di cui si possono servire delle entità spirituali per entrare direttamente nella coscienza del soggetto, talvolta fino a invaderla del tutto (come nel caso della possessione demoniaca o, per contro, dalla trasfigurazione divina); ed è altrettanto noto che, talvolta, tali interventi agiscono anche sul piano fisico, provocando, ad esempio - nel caso delle entità malefiche - graffi, percosse o ferite, di cui sono piene le storie di tanti mistici e santi.
Il caso dal quale eravamo partiti, riferito da Leo Talamonti, si colloca - peraltro - in una prospettiva particolare, perché è del tutto avulso da un contesto spirituale e somiglia, piuttosto, alla pura e semplice incursione delle creature del sogno nella vita del soggetto, testimoniata da una ferita comparsa sul suo corpo, come qualunque altra autentica ferita fisica.
Che dire, dunque, di un caso del genere?
Noi non abbiamo la pretesa di offrire una risposta certa ed univoca; ci basta aver mostrato come non esistano ragioni di ordine logico o di ordine pratico che autorizzino ad escludere nessuna possibilità, fra quante abbiamo ipotizzato a livello generale.
Il fatto che esse possano apparire incredibili o inaccettabili alla nostra mentalità razionalista, non dovrebbe indurci a respingerle; anche perché un concetto bene inteso di scienza deve sempre partire dai fatti per formulare delle teorie capaci di spiegarli, e non già negare o ignorare i fatti, per il timore di mettere in crisi le teorie.
Con buona pace di scientisti e positivisti di ogni tendenza e sfumatura, noi viviamo letteralmente circondati dal mistero; e le cose che ignoriamo sono assai più numerose di quelle che conosciamo o che crediamo di conoscere.
Lo studioso inglese Colin Wilson usava dire: «Solo una cosa sembra certa: che questo normale, concreto mondo intorno a noi è solo una facciata, e pensare che esso sia la realtà, la sola realtà, è ingannevole e sbagliato».