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Prosegue l'offensiva

di Gianfranco La Grassa - 24/05/2009

 

Prosegue l’offensiva di Libero contro certe mene americane (diciamo di Obama, ma in realtà si va ben oltre). Oggi, gli articoli hanno minore evidenza nei titoli di testa, ma quello di Besana (“La sfida all’America proprio come Mattei”), appena riportato nel blog da G.P., ha toni almeno clamo-rosi quanto quelli di ieri. Qui accenno solo ad alcune frasi. Proprio come oggi la UE tenta di ridi-mensionare il ruolo dei russi e degli italiani (Gazprom-Eni), così pure accadeva oltre quarant’anni fa, poiché “Mattei si era mosso in una simile prospettiva. Nel 1960, nonostante le resistenze di Fan-fani, timoroso delle reazioni americane, strinse un’intesa con l’Urss di Krusciov…ecc.”. Si continua con l’elencazione di alcuni rilevanti passi compiuti da Mattei verso est e verso il mondo arabo (in particolare con l’Algeria). Si ricorda anche come l’Eni si accordasse con De Gaulle (così come oggi con l’Edf).
Interessantissima la citazione di un rapporto del luglio 1962 (anno dell’uccisione di Mattei) da parte del Foreign Office inglese che parla di “distruzione del libero sistema petrolifero di tutto il mondo” per cui “le compagnie petrolifere internazionali hanno tutto il diritto di difendersi” (c’è for-se da aggiungere commenti, sapendo che dopo pochi mesi l’aereo di Mattei si schiantò a Bescapè?). Il Besana così commenta questo rapporto: “Per libero sistema, gl’inglesi intendevano ovviamente il loro predominio; gli americani non erano certo più teneri”. Qui pretenderei dei “diritti di autore” perché da non so quanto tempo insisto sulla falsa scienza (ideologia al 100%) della ricardiana “teo-ria dei costi comparati”, fulcro di tutte le menzogne propalate da economisti asserviti al predominio inglese nella prima metà dell’ottocento; e contro cui si levò la voce di List, favorevole alla prote-zione della “industria nascente”, ecc. ecc.; ne ho parlato mille volte in libri, sito e blog. Sappiamo bene come tali tesi siano state riprese dopo il crollo del “socialismo” con le panzane sulla globaliz-zazione e il “libero mercato”, tutte funzionali – anche quelle formulate da “ultrasinistri” in apparen-te contrasto polarmente antitetico – al tentativo (fallito) di dominio “imperiale” statunitense.
Il Besana continua poi ricordando il grande Indro, giornalista “indipendente”, che tuonò contro Mattei e poi contro Berlusconi non appena si mise in politica (probabilmente lo fece, e questo di-mostra la sua intelligenza e le sue buone informazioni, perché aveva capito che si sarebbe infine schierato su posizioni simili a quelle di Craxi e Andreotti). Questo è il finale dell’articolo: “Gli a-mericani, l’hanno dimostrato con Andreotti e Craxi, non esitano a porre in condizioni di non nuoce-re chi ostacola i loro interessi. La magistratura, braccio secolare dei poteri forti, è sempre pronta; finora, però, non è bastata. A questo punto, se Berlusconi vi proponesse un passaggio sul suo aereo privato – come Mattei fece con il giornalista americano William McHale – sarebbe prudente decli-nare l’invito”.
Qui è dichiarato senza mezzi termini che quello di Mattei non fu un incidente, e non fu certo un ammazzamento ordinato dalla mafia. Inoltre, si fa intendere con altrettanta chiarezza che cosa fu “mani pulite” e chi furono i mandanti (anche qui ci sarebbero da reclamare diritti d’autore; perché certe “cose” le dicemmo papale papale Preve ed io ne Il teatro dell’assurdo, scritto alla fine del ’94 e uscito nel gennaio ’95 con le edizioni Punto Rosso). Leggete comunque, rigo per rigo, il Besana qui sotto riportato da G.P. Mi permetto un’ipotesi: queste “sparate” di ieri e oggi (già con minor ri-lievo, ma sempre micidiali) andranno probabilmente scemando i prossimi giorni. Si tratterebbe allo-ra di un avvertimento: guardate che se accade un qualsiasi incidente a Berlusconi, sappiamo chi so-no i mandanti e preavvertiamo fin d’ora gli italiani – quelli rigorosamente non di sinistra, poiché quest’ultima è la cloaca del paese: rinnegati nel 92-93 d’accordo con Usa e Confindustria, oggi tra-ditori a tutto campo per conto dei medesimi padroni – di quello che si sta giocando.

Interessante è però pure l’articolo di Porro su Il Giornale. Evidentemente, sapendo di chi è la proprietà di questo quotidiano, è facile intuire che “certi ambienti” (del premier) non vogliono sca-gliarsi apertamente contro gli Usa (si veda anche la ritirata di Frattini dal viaggio in Iran). Tuttavia, sparano – veramente spara Porro, mentre altri articolisti (subito piazzati nella stessa pagina quasi a “sterilizzarlo”) sembrano su posizioni differenti e del tutto compromissorie – sulla Confindustria, tuttora in mano a infidi “amici”, assai più vicini invece alla Fiat e al suo essere una delle quinte co-lonne obamiane nella UE. Porro pone in luce l’inconsistenza della riunione di tale inutile organismo e della sua “Presidentessa”. Gustose le frasi riportate tra virgolette, di pretta marca montezemoliana, tutte dedite alla “scoperta dell’acqua calda”. Il disprezzo dell’articolista è palese e sprizza da tutti i “pori” (parole) del suo pezzo. Alla fine Porro si rivolge agli “imprenditori di Modena che arrivano con il torpedone; sono le giacchette blu che portano per mano il trolley della notte”. A loro chiede: “Ma questa corazzata romana quanto può durare ancora? Quando tornate agli affari vostri, alle vo-stre aziende che con fatica e sudore tenete in piedi, come giudicate questa imbarazzante kermesse del nulla? Per quanto tempo sopporterete la ventesima fila dell’auditorium per ascoltare ciò che ave-te letto e sentito cento volte?”.
Anche in tal caso, ricordo che si sta parlando fondamentalmente della GFeID, di cui ho ripetu-tamente posto in luce il completo parassitismo, il fatto di (soprav)vivere dilapidando le risorse del nostro paese e sempre al servizio degli americani. Ricavo da un articolo di Griseri su Repubblica questa “bella” notizia: <<ieri sera è stato annunciato il nome delle tre banche incaricate di curare lo “spin off” [in definitiva, la separazione] del settore auto dalla Fiat e la creazione della newco [in pratica, una “nuova azienda”; com’è utile dire in inglese tutti i trucchi e imbrogli da magliari che si tramano alle spalle dei fessi] che dovrebbe nascere dal matrimonio tra Torino e Opel. Il compito verrà affidato a Unicredit, Intesa-San Paolo e Goldman Sachs. I tre istituti dovranno anche collocare le azioni del nuovo gruppo “sulle principali borse europee”>>. Proprio un bel trio di….(censura). La Goldman ha piazzato negli anni scorsi tutti i suoi uomini ai vertici del potere nelle varie ammini-strazioni (repubblicane e democratiche) Usa e nei vari Istituti (anche italiani) sottoposti alla subor-dinazione del paese centrale. Poi è andata in “sostanziale” fallimento con tutti gli “asset tossici” messi in giro. L’ha salvata Obama (con l’amico delle banche, Geithner) e adesso è di nuovo in a-zione con i nostri due “migliori” rappresentanti della finanza (“weimariana”), succube dei disegni statunitensi. Estremamente significativo, nevvero?

Non so se la “due giorni” (finora) di attacco agli Usa e alla nostrana “grande industria decotta (Fiat in testa) e finanza da sanguisughe” preluda finalmente ad una resa dei conti; non certo finale, ma comunque almeno un inizio. Un commentatore del blog (l’ultimo mi pare) ci segnala che l’opposizione preparerebbe un’interpellanza parlamentare sulla vita personale del premier e sul suo stato di salute. Se ciò avvenisse, sarebbe di una bassezza che in tutta la mia vita (e nemmeno leg-gendo libri di storia) ho mai riscontrato nella pur “sporca” politica. A quel punto chi non si dissocia dalla sinistra, chi non la considera un letamaio da asportare con la forza, chi continua nella sua squallida professione di ottuso antiberlusconismo, non è più soltanto da compatire per la sua “malattia”: va considerato uno scarafaggio e una cimice da disinfestare.
Detto questo, non sarei però d’accordo, dato il livello così infame raggiunto dalla politica (non solo italiana, ma in particolare quest’ultima), di prendere posizione e schierarsi, come qualcuno ci propone. Secondo me, ci si deve schierare a favore di un’analisi che sempre più contrasti gli apolo-geti, ma ancor più smascheri i falsi critici, di questa società. Bisogna che si formi una magari mini-ma schiera di personaggi in grado di andare oltre il “buon senso comune”, oltre la mediocrità del già visto e ripetuto mille volte. In particolare, ribadisco che sta scadendo il tempo della necessaria auto-critica da parte dei fan del “Quarto Stato”, del conflitto capitale-lavoro, dell’economicismo catastro-fista e dell’umanesimo fantasticante, dell’ambientalismo e dell’antiscientismo, del “com’era bello il tempo che fu” (personalmente ho anch’io forti rimpianti; ma sono quelli di tutti i vecchi, e queste lagne non devono perciò sostituire l’analisi). Basta con i perfetti idioti. O sono invece mascalzoni consapevoli del servizio reso ai parassiti?
Un’ultima notazione, e poi vi lascio all’articolo di Porro. Noi non siamo nemmeno nostalgici della Patria, del nazionalismo più becero e pericoloso. Sosteniamo solo che chi adesso finge di vole-re tutto e subito – il comunismo o una società giusta e “a misura d’uomo” o la “piena democrazia” (che c… significa!) o la “rivolta dei diseredati”, ecc. – è da prendere a calci nelle palle; perché non è più possibile ammettere ancora a lungo, in specie dopo gli ultimi avvenimenti, che sia in buona fede. Siamo invece in presenza di quelli che “innalzano questa o quella bandiera per meglio affos-sarla”, che gridano al ladro mentre sono loro stessi il ladro. Sono gli assassini di ogni sia pur piccola speranza di un cambiamento possibile (non di un “altro mondo”, come gridano i fessi dei social fo-rum, gli ottusi violenti dei no global, ecc.) Il primo compito davanti a noi è la lotta al monocentri-smo Usa e a favore del multipolarismo. Chi vi si oppone non merita più alcuna considerazione da parte nostra. Tracciamo una netta linea di demarcazione tra “loro” e noi. In questo senso, ci schie-riamo; ma per il resto procediamo ad una piccola accumulazione di nuove analisi, di nuove modalità di smascheramento degli imbroglioni. Forse si approssima una qualche resa dei conti. E sia chiaro che anche la Teoria avrà un compito da svolgere.
“Le dolci banalità di signora Confindustria”; di Nicola Porro
Ci prendiamo la libertà di parlare chiaramente. Ci attribuiamo il gusto di non avere alcun obbligo istituzionale. Siamo stufi dei bla bla. Delle cerimonie. Dei posti a sedere assegnati con il bilancino. Insomma non riusciamo a trovare nulla di entusiasmante nell’assemblea di Confindustria, se non la sua dimensione di kermesse dei potenti. La fiera delle banalità. Un immenso e costoso edificio per gratificare il ruolo di una pattuglia di industriali, che evidentemente non hanno molto di meglio da fare. Parole dure? Ma per carità. Non riguardano la sola Emma Marcegaglia, leader degli imprendi-tori italiani. E spiace rivolgerci solo a Lei, ultima di una lunga lista. La nostra è una provocazione dettata dalla stanchezza. Avete presente il film di Verdone, in cui la moglie stressata e torinese, si chiude nel bagno, e dice «Non ce la faccio più». Ecco siamo finiti in quel disperato girone. Ma per quale dannato motivo dobbiamo andare a Roma, prenotarci un volo Alitalia, spesso in ritardo o can-cellato (a proposito di chi è Alitalia? E’ stata forse citata nel discorso di SuperEmma, sua veloce azionista?), prendere un taxi e fiondarci in un palazzo ad hoc (l’auditorium di Confindustria da anni non bastava più a contenere l’ego dei presidenti) e ascoltare quello che abbiamo letto su tutti i gior-nali per mesi. Non pretendiamo che il presidente di Confindustria dica qualcosa di rivoluzionario, ma che almeno dica qualcosa. Ma insomma. Veramente dobbiamo sorbirci: «Oggi è nostro dovere uscire dalla crisi»; «Per tornare a crescere bisogna già oggi rivolgere lo sguardo oltre la crisi»: «La spinta dovrà venire dall’innovazione tecnologica»; «L’economia italiana deve tornare a crescere»; «Per tornare a crescere servono le riforme»; «Le imprese italiane devono crescere dimensionalmen-te». E trallallera e trallalà. Così per un’ora. Il punto è che ciò che dice il presidente di Confindustria interessa poco o niente. Anche quando dice bene, anzi benissimo: sull’innalzamento dell’età pen-sionabile, sulla follia elitaria della Cgil o sullo scandalo dei pagamenti della pubblica amministra-zione. L’assemblea della Confindustria è come una grande bolla in cui siamo tutti compresi. E non si riesce proprio a trovare uno spilletto per sgonfiarla. Ci teniamo tutti per mano per dirci quanto siamo interessanti e bravi. I giornalisti che notano, i politici che ci sono, i confindustriali che hanno fatto di viale dell’astronomia la filiale del proprio partito. È un chiacchiericcio continuo, che ha il solo, fondante e forte scopo di affermare ogni istante: io ci sono. Per alcuni è genuinamente l’occasione per appiccicarsi un’appartenenza e per giustificare al proprio contabile in azienda il pa-gamento della quota annuale di iscrizione. Sono gli imprenditori di Modena che arrivano con il tor-pedone; sono le giacchette blu che portano per mano il trolley della notte. Ebbene a loro ci rivol-giamo. Ma questa corazzata romana quanto può durare ancora? Quando tornate agli affari vostri, alle vostre aziende che con fatica e sudore tenete in piedi, come giudicate questa imbarazzata ker-messe del nulla? Per quanto tempo sopporterete la ventesima fila dell’auditorium per ascoltare ciò che avete letto e sentito cento volte? Se alcuni sindacati soffrono dell’aria impiegatizia dei propri leader che hanno dimenticato la fabbrica, gli imprenditori si debbono sentire a disagio di questo brontosauro romano che li riunisce una volta l’anno. Certo la Confindustria è molto cambiata. La sua associazione più importante, l’Assolombarda, non trova tra i suoi seimila iscritti nessuno per la presidenza se non un ottimo manager pubblico. E così il parterre di ieri più che de roi sembra un parterre d’état, visto il numero di manager pubblici che ormai fanno parte dell’organizzazione. E così andremo avanti. Un nuovo anno, una nuova assemblea, lo stesso chiacchiericcio, la medesima liturgia. Che palle.

Appena più sotto il pezzo di G.P. con l’articolo di Besana, più clamoroso ancora.