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OGM e agricoltore

di Claudio Malagoli - 27/05/2009

 

Come per le altre innovazioni, tra le motivazioni che potrebbero

spingere l'agricoltore ad adottare questa tecnologia si ricordano soprattutto la

possibilità di ottenere un reddito superiore, in relazione ai seguenti elementi:

1) alla possibilità di ottenere maggiori produzioni, associate o meno ad una

contrazione dei costi di coltivazione;

2) alla diminuzione dei rischi connessi al collocamento sul mercato della

merce prodotta;

3) alla diminuzione dei rischi tecnici relativi all'ottenimento della

produzione.

Solo se saranno in grado di rispondere ad almeno una di queste esigenze

le colture transgeniche potranno essere adottate dall'agricoltore, con indubbi

vantaggi sia per il settore agricolo, che vedrebbe incrementate le sue

possibilità produttive e reddituali, sia per l'intera società, in relazione alle

esternalità positive che essa potrà continuare a ricevere dal settore agricolo

(presidio e manutenzione del territorio, conservazione del paesaggio, tutela

della flora e della fauna, conservazione della biodiversità, creazione di spazi

ad uso ricreazionale, conservazione degli aspetti culturali tradizionali del

territorio rurale, mitigazione degli effetti ambientali negativi prodotti da altre

attività produttive o di consumo, ecc.) .

1. Effetti su produzioni e costi

I sostenitori degli OT affermano che l'agricoltore nazionale dovrebbe

adottare piante transgeniche, poiché esse sarebbero in grado di produrre di più

a minori costi.

Purtroppo, però, le coltivazioni transgeniche di prima generazione, così

come sono state concepite, non sono in grado di garantire un maggior reddito

al produttore. E' risaputo, infatti, che in agricoltura ad una contrazione dei

costi di produzione corrisponde nel lungo periodo una diminuzione dei prezzi

dei prodotti offerti. Come ci fa notare Galizzi "
da un lato l'agricoltura ………

non ha alcuna facoltà di controllo del prezzo dei suoi prodotti, e………

dall'altro lato il progresso tecnico determina una riduzione dei costi unitari di

produzione………. A causa di ciò i prezzi dei prodotti agricoli seguono i costi

nella loro diminuzione……… cosicché viene meno il profitto che poteva essere

atteso; talvolta anzi, per la lenta trasferibilità di taluni fattori produttivi

impiegati dall'agricoltore, la discesa dei prezzi può continuare al di sotto del

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livello capace di assicurare la precedente remunerazione agli stessi fattori"

[Galizzi, 1960].

Realisticamente, può accadere che ad una riduzione dei costi

corrisponda, nel lungo periodo, un'analoga diminuzione del prezzo di vendita,

ristabilendo così la situazione di partenza dei margini per il produttore. A

questo proposito occorre rilevare che, anche nel caso in cui per il produttore il

margine per unità di prodotto venduto rimanesse costante, inserendo nel

riparto colturale processi produttivi in grado di abbassare i prezzi di vendita

dei prodotti agricoli, egli favorisce, quasi inconsapevolmente, una

diminuzione del suo reddito reale, in quanto i prezzi dei prodotti non agricoli

rimangono, nella migliore delle ipotesi, costanti. Addirittura, per la legge di

Engel, vi è la possibilità che, in relazione ad un aumento del reddito reale del

consumatore favorito dalla diminuzione del prezzo dei prodotti agricoloalimentari,

si verifichi un aumento della domanda di beni non agricoli, con

conseguente aumento del loro prezzo e conseguente ulteriore diminuzione del

reddito reale dell'agricoltore.

L'agricoltore nazionale potrebbe ottenere un incremento del suo reddito

netto anche attraverso l'adozione di un processo produttivo che consenta o una

maggior utilizzazione dei fattori della produzione di cui dispone in

abbondanza (manodopera, terra, ecc.) o, al contrario, una minor utilizzazione

dei fattori della produzione che è costretto ad acquistare sul mercato. Anche in

questo caso le coltivazioni transgeniche di prima generazione si comportano in

modo contrario, poiché sono sostanzialmente disattivanti nei confronti di

taluni fattori della produzione apportati direttamente dall'imprenditore e

richiedono, nello stesso tempo, un maggior apporto di fattori esterni che egli è

costretto ad acquistare sul mercato. Esse, infatti, in relazione all'automazione

del processo produttivo agricolo che mettono in atto, richiedono, in genere,

una minor quantità di manodopera, che è sostituita dalla tecnologia di origine

industriale. A questo riguardo Vellante ci fa notare che
"….cambiano a

seconda delle tecnologie utilizzate anche i rapporti di scambio tra settore

primario e resto dell'economia accelerando o attenuando i rapporti di

subordinazione dell'agricoltura. In generale lo sviluppo di un progresso

tecnico labour-saving tende a redistribuire l'incremento del reddito

conseguito con l'aumento della produttività del lavoro, in favore dei detentori

del capitale fisso di esercizio. Rispetto ai rapporti di scambio con il settore

industriale l'adozione di queste innovazioni rende dipendente e subordinata

l'agricoltura non solo per la necessità di ottenere i mezzi tecnici

indispensabili per l'attivazione del processo produttivo, ma anche per il fatto

che l'industria manifatturiera commercializza i propri beni in condizioni di

oligopolio realizzando dei superprofitti a spese del settore primario
."

[Vellante S., 1983] In particolare, soprattutto per le coltivazioni erbacee

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annuali, la semente biotecnologica potrebbe rappresentare il primo passo per

consentire la completa automazione del processo produttivo agricolo (piante

autosufficienti, resistenti a tutti i tipi di malattie, che crescono ovunque), un

processo produttivo controllato dai satelliti ("precision farming") che non avrà

più bisogno dell'agricoltore o, per lo meno, ne avrà bisogno in modo

decisamente limitato. E' in questo contesto, ovvero in un contesto in cui il

reddito da capitale prevarrà sul reddito fornito dagli altri fattori produttivi

(terra e lavoro), che si creano i presupposti per il passaggio del controllo del

territorio rurale dall'agricoltore, che non riesce più a ricavare un reddito

adeguato dalla sua attività, poiché i fattori della produzione di cui dispone non

sono più necessari e quindi non sono più remunerati, ad individui estranei

all'attività agricola che con i propri capitali, o con i capitali di terzi, saranno in

grado di subentrare non soltanto nella coltivazione ma anche nella proprietà

delle aziende agricole.

Anche nel caso di aumento della produttività di queste piante, ed in

presenza di prezzo stabile dei prodotti offerti, l'agricoltore non otterrà rilevanti

benefici dall'adozione degli attuali OT. Infatti, queste produzioni sono

brevettate, per cui il costitutore, con ogni probabilità, sarà portato a spingere il

prezzo di vendita della semente ad un livello prossimo al maggior margine che

essa sarà in grado di determinare al produttore agricolo, con annullamento dei

potenziali vantaggi economici per il settore primario.

Secondo i sostenitori degli OT l'aumento del reddito dell'agricoltore

potrebbe derivare anche da una differenziazione della produzione verso

produzioni caratterizzate da un maggior valore aggiunto (più proteine, più

vitamine, meno calorie, partenocarpia, meno residui di antiparassitari, ecc.).

Da un punto di vista mercantile possiamo affermare di trovarci di fronte ad un

altro prodotto, completamente diverso da quello originale, con un proprio

segmento di mercato e, quindi, con una propria clientela che predilige quel

prodotto del quale apprezza le caratteristiche intrinseche. Tale clientela potrà

essere disposta a pagare di più pur di avere quel prodotto e, pertanto, vi

potranno essere maggiori opportunità di guadagno per l'imprenditore agricolo.

Tali opportunità di guadagno si verificheranno solo se il mercato del prodotto

sarà "libero", poiché nel caso, molto più realistico, in cui la produzione fosse

attuata "su contratto" (per conto del costitutore della pianta transgenica, che

fornirà all'agricoltore il seme e curerà poi la commercializzazione del prodotto

ottenuto) i maggiori guadagni sarebbero quasi esclusivamente a favore

dell'impresa integrante e, quindi, del costitutore.

Strettamente connesso al precedente è poi il problema della

brevettabilità degli organismi prodotti, se non, addirittura, quello dei singoli

geni che li vanno a comporre. Trattasi di un argomento di estrema importanza,

poichè non si può permettere che l'approvvigionamento alimentare sia

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condizionato dal comportamento di imprese che posseggono un diritto

esclusivo sull’utilizzazione della biodiversità esistente. A questo riguardo

occorre rilevare che l’idea della brevettabilità dei geni di piante ed animali,

nonché dei prodotti ottenuti mediante la loro utilizzazione (piante ed animali

che contengono quel gene), è uscita rafforzata dalle ultime dichiarazioni sul

"genoma umano" di alcuni capi di governo di Paesi che detengono importanti

scoperte in questo settore. In particolare, le loro dichiarazioni hanno

riguardato solo i geni umani che devono essere considerati patrimonio

dell’umanità e che, pertanto, è eticamente inaccettabile ogni forma di brevetto

e di sfruttamento economico degli stessi, mentre nessun accenno è stato fatto

in merito ai geni di piante ed animali, rafforzando così il presupposto di una

loro brevettabilità e sfruttabilità economica.

In pratica, che cosa potrebbe accadere nella realtà? Il costitutore di

quella determinata cultivar di pomodoro o di melanzana potrebbe registrare

con il medesimo nome (che assume a tutti gli effetti la funzione di marchio)

sia la nuova pianta, sia il marchio commerciale con il quale il “frutto” della

pianta potrà o dovrà essere commercializzato. Pertanto l’organismo che ha

brevettato quella nuova cultivar, oltre alla royalty sulla semente, potrebbe

imporre anche il pagamento di una royalty per ogni chilogrammo di prodotto

venduto. Per attuare questa strategia è sufficiente che l’organismo che detiene

il brevetto di quella cultivar crei a livello mondiale una rete di esclusivisti,

siano essi moltiplicatori della semente e/o commercianti per la vendita del

prodotto, in grado di controllare l’intera filiera produttiva, che parte dalla

moltiplicazione del materiale genetico e arriva alla vendita a dettaglianti del

prodotto ottenut
o. Trattasi di un processo di “integrazione circolare

contrattuale” nel quale interviene una singola ditta industriale o commerciale,

che produce autonomamente o acquista da un costitutore i diritti di

moltiplicazione della nuova pianta, registra il marchio commerciale del

prodotto ottenibile dalla coltivazione di quella nuova pianta e gestisce l’intera

filiera. Tale opportunità è resa possibile oggigiorno dal forte processo di

concentrazione della domanda di prodotti alimentari. Le catene della Grande

Distribuzione sono in grado di acquistare grandi masse di prodotto, che deve

essere di qualità costante, con un prezzo sostanzialmente stabile, consegnato

nei tempi stabiliti. In un contesto di questo tipo le grandi imprese commerciali

sono in grado di attuare forti concentrazioni dell’offerta, che nell’esempio

riportato sono facilitate dalla presenza di un prodotto legalmente tutelato, per

il quale è possibile controllare abbastanza semplicemente sia l’immissione sul

mercato del materiale di propagazione (e, quindi, l’apparato produttivo), sia la

produzione avviata al consumo, nonché le prevedibili ed inevitabili frodi

commerciali. Trattasi, come si può osservare, di una filiera produttiva

decisamente efficiente, nella quale, però, l’agricoltore rappresenta sempre

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l’anello più debole dell’intera catena, in quanto è molto spesso costretto ad

accettare particolari condizioni contrattuali che ne possono limitare

l’autonomia imprenditoriale. Infatti, il detentore del marchio commerciale, che

attua una specifica attività di marketing sulla marca, potrebbe indicare alle

ditte che effettuano la vendita del prodotto le caratteristiche qualitative che lo

stesso deve avere, la confezione da adottare, nonché le modalità di

confezionamento e di vendita. E’ ovvio che in una situazione di questo tipo

l’agricoltore non può certo pretendere di ottenere una remunerazione

“completa” dell’attività imprenditoriale, in quanto molte operazioni che

caratterizzano la filiera sono svolte da colui che detiene il brevetto, che si

“approprierà” dei relativi compensi.

L’esempio precedente potrà trasformarsi in realtà? Sarà attuato solo per

le coltivazioni orticole e/o frutticole o potrà riguardare ogni nuova cultivar

vegetale potenzialmente oggetto di brevetto. Vi potranno essere vantaggi per il

produttore o questa strada rappresenta uno sviluppo pericoloso per

l’agricoltura del nostro Paese? Sono queste le domande a cui occorre dare una

precisa risposta prima di intraprendere una strada che potrebbe avere grandi

risvolti negativi. In questo contesto si inseriscono le perplessità da qualcuno

ipotizzate in merito al rapporto tra “agricoltura e i signori dei geni”, ovvero tra

coloro che producono materialmente, in campo, il prodotto oggetto di scambio

sul mercato ed i “proprietari” del patrimonio genetico in grado di originare

quel prodotto. Come potrà essere sfruttato questo brevetto? Esistono dei limiti

allo sfruttamento economico della pianta, oppure tutto è concesso a colui che

detiene il brevetto? Indubbiamente queste domande esigono risposte precise

sulle eventuali conseguenze che lo sfruttamento del brevetto potrebbe avere

sul settore agricolo italiano. Al limite si potrebbe ipotizzare una situazione in

cui l’agricoltore non dovrà nemmeno acquistare le sementi, ma le riceverà per

la coltivazione dalla stessa impresa che ne detiene il brevetto e che diventerà

anche proprietaria del prodotto finale ottenuto. Il processo produttivo sarà

portato avanti dall’agricoltore sulla base di un “disciplinare di produzione” nel

quale saranno elencati la data di semina i prodotti antiparassitari da utilizzare,

le operazioni colturali da effettuare e quant’altro necessario per portare a

maturazione il prodotto (al limite l’impresa integrante, al fine di sfruttare il

suo potere contrattuale anche nei confronti delle ditte produttrici di concimi

e/o antiparassitari, potrebbe fornire all’agricoltore anche i mezzi tecnici

necessari per completare il ciclo produttivo). Per le sue prestazioni

l’agricoltore riceverà un compenso forfettario che tiene conto dell’impegno

richiesto in termini di manodopera e di macchinari specifici. In una situazione

di questo tipo l’agricoltore è sgravato da gran parte dei rischi di impresa, ma

nello stesso tempo diviene esclusivamente un prestatore di manodopera e di

capitale, a favore dell’impresa integrante che rimane proprietaria del prodotto

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ottenuto. Ovviamente, per una produzione effettuata su commissione, il

compenso per l’agricoltore, in una economia di mercato, sarà soggetto alla

legge della domanda e dell’offerta, per cui cosa accadrà quando l’impresa che

detiene il brevetto su quella pianta troverà un altro agricoltore in grado di

fornirgli le stesse prestazioni ad un prezzo inferiore? O quando troverà un

altro Paese, con condizioni di costo dei fattori produttivi più favorevoli? E’

ovvio che, a parità di altre condizioni, con ogni probabilità, sposterà le sue

produzioni laddove costerà meno ottenerle.

L’aspetto relativo alla brevettabilità degli OGM pone poi altri

importanti interrogativi per il nostro Paese, in quanto l’operazione di

“ingegneria genetica”, oltre al transgene, necessita anche di una serie di altre

sequenze di DNA (promotori, terminatori, ecc.) e di un certo numero di

processi tecnologici che sono già brevettati. “Questo significa che anche

l’inventore più geniale dovrà “comprarsi” tutti i materiali e tutte le tecniche

necessarie per far “vivere” la sua invenzione e quindi, se non ha le capacità

necessarie, dovrà vendere il suo brevetto ai più forti sul mercato. E’

abbastanza ovvio quindi che anche un Paese sviluppato come il nostro, carente

in brevetti pregressi e con scarse capacità di investimento nel settore, rischia

di restare tagliato fuori per sempre se non viene mitigata la rigidità della

protezione brevettuale attuale, ad esempio riducendo il periodo di validità o

escludendo una parte di prodotti di utilizzazione generalizzata. I risvolti

sociali di tutto questo rischiano di essere pesanti soprattutto se, come è

possibile, le biotecnologie diventeranno veramente quello che promettevano di

essere e cioè un mezzo potente per la lotta contro la fame e le malattie della

nostra era.” ( BUIATTI M., 1999).

2.2. Effetti sul collocamento della merce prodotta

I sostenitori degli OGM danno per scontato che non vi saranno problemi

di collocamento e che i consumatori considereranno le produzioni

transgeniche sostanzialmente equivalenti a quelle convenzionali. Purtroppo,

anche in questo caso, la realtà è diversa. Lo sanno gli agricoltori americani,

che si sono visti respingere le esportazioni di prodotti transgenici da alcuni

Paesi che, prima di utilizzarli, vogliono indagare a fondo sulle conseguenze

per i consumatori e per l'ambiente.

Nel nostro Paese i sostenitori degli OT affermano che senza di essi

l'agricoltura italiana non sarà competitiva sul mercato mondiale, in quanto i

costi di produzione delle coltivazioni convenzionali sono superiori a quelli che

si sosterrebbero per produrre piante transgeniche. Tale esigenza nasce dal fatto

che in futuro la nostra agricoltura dovrà confrontarsi con quella Americana,

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Canadese, Argentina, ecc. In questi Paesi essa è attuata in aziende aventi una

superficie media di centinaia di ettari, in cui si è alla continua ricerca

dell'automazione dei processi produttivi e nei quali l'unica funzione di questo

settore economico è quella di ottenere materie prime in grandi quantità.

Sostanzialmente diversa è la situazione presente nel nostro Paese, dove da

sempre l'agricoltura è orientata verso l'ottenimento di produzioni di elevata

qualità e dove essa svolge anche altre importanti funzioni che non sono

esclusivamente legate all'attività produttiva (multifunzionalità

dell’agricoltura). Un'agricoltura caratterizzata dalla presenza di aziende di

modeste dimensioni, che non si possono certo permettere l'acquisto di

macchinari specifici per una determinata coltura, che non sarebbero mai in

grado di ammortizzare, da un costo dei fattori produttivi molto elevato (terra e

manodopera soprattutto, ma anche energetici), da limitazioni di carattere

ambientale in merito all'utilizzazione di determinati fattori della produzione

(concimi, antiparassitari, ecc.).
Come potrà competere la nostra

agricoltura, anche se saranno introdotte le attuali piante transgeniche,

con quella americana o argentina, dove aziende agricole di migliaia di

ettari sono alla continua ricerca dell'automazione del processo

produttivo? Un processo produttivo che sarà controllato dai satelliti e

dove l'intervento dell'uomo sarà quasi nullo?

Sempre a proposito di competitività dell'agricoltura nazionale, occorre

rilevare che la possibilità di ottenere "nuovi individui" appositamente

progettati e realizzati per poter resistere a condizioni pedoclimatiche avverse

pone poi il problema dell'eventuale spostamento della produzione da quelle

che attualmente sono le tradizionali aree di coltivazione. Tale nuova

localizzazione potrebbe avvenire sia allo scopo, più che legittimo, di

aumentare il grado di autoapprovvigionamento di una determinata regione,

sia, meno legittimamente, per incentivare la produzione in aree dove è

possibile reperire a più basso costo i fattori produttivi necessari ad ottenerla,

per poi vendere sui tradizionali mercati i beni ottenuti. In quest'ultimo caso, si

determinerebbero problemi legati alla disoccupazione e all'esodo rurale che si

verificherebbe nei territori in cui quella particolare coltivazione è

abbandonata.

Queste ultime affermazioni pongono problematiche certamente rilevanti

per il nostro Paese:

- cosa ne sarà degli agricoltori che attualmente ricavano un reddito da queste

coltivazioni, una volta che sarà possibile ottenerle, sicuramente a minori costi,

anche in altre aree del pianeta?;

- cosa ne sarà del paesaggio rurale, allorché‚ la diminuita possibilità di

coltivazione di questi prodotti determinerà il loro abbandono da determinati

territori?;

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- quali interventi occorrerà mettere in atto per contrastare l'abbandono di

queste coltivazioni, in relazione alla funzione di contenimento del dissesto

idrogeologico che molto spesso esse svolgono?

Come si può osservare la problematica è decisamente vasta e dovrebbe

essere affrontata nella sua globalità e non settorialmente com'è stato fatto sino

ad ora.

3. Effetti sui rischi tecnici produttivi

Trattasi di un elemento estremamente importante per l'agricoltore,

poiché a volte il suo reddito è compromesso da un cattivo andamento

stagionale. Non v'è alcun dubbio sul fatto che le attuali coltivazioni

transgeniche, così come sono state progettate ed attuate, consentiranno di

offrire maggior tranquillità all'agricoltore. Piante resistenti ad ogni forma di

stress ambientale, piante autoresistenti agli attacchi di insetti, piante che

possono essere diserbate in ogni fase del ciclo vegetativo, piante

autosufficienti in termini di nutrienti chimici, ecc. A questo punto però ci si

può chiedere quale sarà il ruolo dell'imprenditore agricolo in una situazione

produttiva di questo tipo, nella quale, spingendo il ragionamento al limite, le

uniche operazioni colturali che dovrà effettuare (più realisticamente

controllare) saranno quelle di seminare e di raccogliere il prodotto.

Con l'introduzione degli attuali OT l'agricoltore potrebbe perdere parte

delle funzioni imprenditoriali, poiché in questo contesto verrà ad assumere

sempre più importanza il settore industriale, quale fornitore del materiale di

propagazione e dei mezzi tecnici necessari per portare a termine il processo

produttivo, nonché quale utilizzatore del prodotto agricolo ottenuto.

L'introduzione di OGM potrebbe comportare anche una diminuzione

dell'importanza dell'agricoltura in relazione alle strategie di "sostituzionismo"

messe in atto dal settore industriale legato alla trasformazione dei prodotti

agricoli. Tale opportunità è resa possibile dallo sviluppo di organismi

fortemente specializzati nella produzione di materie prime di base (vitamine,

carboidrati, grassi, ecc.). Tali sostanze potranno poi essere utilizzate

dall'industria per produrre beni alimentari e non. "
Ciò implica la fine

dell'organizzazione lineare della produzione alimentare, da uno specifico

prodotto agricolo ad uno specifico alimento, e la riorganizzazione dell'intera

catena alimentare, nonché dei rapporti tra agricoltori e industriali
." [C.

Salvioni, 1991]. In particolare, sempre più importanza avranno le coltivazioni

su contratto, per le quali il prezzo di vendita all'industria non sarà più stabilito

sulla base del quantitativo di mais, di soia o di patata ottenuto, ma sulla base

del quantitativo di vitamine, di proteine o quant'altro in esse contenuto.

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Dopo queste brevi argomentazioni sull’adozione degli OT in agricoltura

sorge spontanea una domanda: come mai nei Paesi in cui la coltivazione di

queste piante è consentita si è avuta un’esplosione delle superfici investite,

segno dell’apprezzamento di queste piante da parte degli agricoltori?

L’aumento delle superfici investite trova
una giustificazione che non è legata

alla loro redditività, ma alla situazione di mercato in cui gli agricoltori di

questi Paesi si trovano ad operare. Infatti, in questi Paesi esiste un’unica filiera

produttiva di quel determinato prodotto (per esempio mais). Pertanto, nel

lungo periodo, il prezzo di mercato del mais è condizionato dai minori costi di

produzione del “mais transgenico” (determinano un abbassamento del prezzo

del mais) rispetto ai costi di produzione del “mais convenzionale”. E’ ovvio

che in questa situazione, in cui al “mais convenzionale” è riconosciuto lo

stesso prezzo (inferiore) del “mais transgenico”, anche il produttore che in un

primo momento non era intenzionato a coltivare “mais transgenico” sarà

“obbligato” a farlo dal mercato se
vorrà mantenere un certo grado di

redditività dalla sua attività imprenditoriale. In definitiva egli sarà costretto a

coltivare il mais caratterizzato dal minor costo di produzione.

A conclusione di queste brevi considerazioni sui potenziali e probabili

e
ffetti dell’introduzione di OT nell’agricoltura nazionale, non occorre

sottovalutare il potenziale “danno di immagine” che potrebbe subire il nostro

Paese, da sempre caratterizzato da produzioni di eccellenza, che da sempre

costituiscono un vanto per il nostro settore agro-alimentare.