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Democrazia a senso unico

di Wajih Salameh* - 15/03/2006

Fonte: Rinascita

 


*Presidente della Comunità Palestinese di Roma

La vittoria di “Hamas” nelle elezioni del parlamento palestinese dei territori occupati, del 25 gennaio 2006, ha sconvolto l’universo palestinese prima ancora di sconvolgere il mondo arabo e quello occidentale. Persino nelle stanze dei bottoni dei servizi segreti di mezzo mondo sono rimasti sorpresi dall’esito delle votazioni. Questo straordinario evento nella scena politica palestinese, naturalmente quanto ingiustificatamente ha scatenato alcuni politicanti occidentali che si sono precipitati a gridare allo scandalo, provocando furiosi accessi di “orianismo” occidentalista. Una tendenza fondamentalista questa, ancora minoritaria, per fortuna, in Occidente, che strepita contro l’Islam, incitando al non rispetto delle regole del gioco democratico, identificatore precipuo dell’attuale civiltà occidentale.
Ma a coloro che affermano di saper riconoscere e giudicare l’autenticità di una “democrazia” e l’esistenza dei “diritti umani”, misurandoli – ad libitum – con il metro dei loro interessi politici (e personali) e con l’intento di compiacere certi salotti politici, noi diciamo che i palestinesi non possono né vogliono permettersi il lusso di abbandonare ed obliare un lungo cammino di sofferenze per la libertà e per la pace e l’indipendenza nazionale, almeno finché l’Occidente e di conseguenza Israele non avranno riconosciuto esplicitamente la loro diretta responsabilità nella “Nakba” palestinese del 1948 e fintanto che i loro diritti inalienabili non saranno garantiti e soddisfatti nel rispetto della legalità internazionale, che a suo tempo legittimò lo stato di Israele.
Lo stesso ebreo Ilan Pappè a tale proposito ha scritto: “Sono i Palestinesi le vittime dell’Olocausto degli Ebrei, dai quali era possibile attendersi che essi non commettessero a loro volta crimini contro l’umanità”. Mentre Bernard Lewis, un altro autorevole studioso ebreo della storia dell’Islam, ha riconosciuto: “Vi sono ben poche tracce nel mondo islamico di una qualche ostilità emotivamente radicata contro gli Ebrei o contro ogni altro gruppo etnico o religioso, simile all’antisemitismo del mondo cristiano”. Cito queste testimonianze per ribadire che l’ostilità dei musulmani verso l’Occidente era e rimane più per ragioni politiche che non per ragioni teologiche.
Pertanto l’aspetto violento delle manifestazioni in cui si esprime l’ira dei musulmani contro le vignette sataniche è inaccettabile ed è da ripudiare, innanzitutto perché non coincide con l’autentica natura e le regole dell’Islam e, inoltre, confligge con le norme morali della convivenza civile universale.
Diciamo ciò perché nella storia dell’Islam si riscontra che vi era, pur sempre, un certo rispetto nei confronti di coloro che detenevano o tramandavano antiche culture e rivelazioni. Aminata Traorè ha scritto nel suo libro una saggia espressione riguardante la democrazia e la convivenza civile: “il mio desiderio è la realizzazione delle speranze e delle aspirazioni di tutti, siano essi amici o nemici”; una frase che si pronuncia ogniqualvolta una persona compie una visita ai parenti o ai vicini di casa, nei giorni di festività. Una bellissima abitudine delle tribù Barbara che vivono sulle sponde del fiume Niger nel Mali in Africa.
Infatti, ogni uomo nel suo intimo sa perfettamente ciò che desidera per sé, per la sua gente e per gli altri: La democrazia non può realizzarsi ovunque, senza la concessione della libertà di espressione individuale e collettiva a tutti i componenti della società, garantendo il diritto all’autodeterminazione di ognuno, ma sempre nel quadro della solidarietà e convivenza pacifica, con la convinzione che la nostra libertà finisce dove e quando inizia la libertà degli altri. Perciò la democrazia rispecchia l’incarnazione emotiva e razionale dell’esistenza degli individui e della collettività, che sfocia poi in istituzioni e regole di diritto moralmente condivise.
Adottando questo filo logico, l’Occidente dovrebbe prendere atto della terribile pericolosità della situazione attuale ed assumersi le sue responsabilità, iniziando un processo di riconoscimento e sconfessione del suo passato e cessando la pratica “struzzesca” della tergiversazione e dell’ipocrita travisamento della realtà e delle sue cause, sia nei confronti della Palestina che del mondo islamico. Bisognerebbe aprire le porte alla mediazione, alla conciliazione ed al dialogo, che rappresentano i cardini della risoluzione non violenta dei conflitti attuali nel mondo.
Riguardo al conflitto israelo-palestinese, l’Occidente da sempre ha ben potuto osservare il continuo ampliamento di Israele ai danni della Palestina. Solo il 7,5% di tutto il territorio che costituiva lo stato arabo assegnato dall’ONU ai Palestinesi nel 1947, è ciò che Israele continua a proporre ai Palestinesi, con la benedizione degli USA e dell’Occidente. Questo modo fraudolento di travisare la storia recente, intendendo di risolvere così il conflitto arabo-israeliano, è francamente inaccettabile e danneggerebbe, se così avvenisse, la sicurezza ed i legittimi diritti del popolo palestinese e, allo stesso tempo, l’esistenza di Israele e la sicurezza nel mondo.
L’onestà intellettuale dovrebbe invece portare l’Occidente a rileggere correttamente la storia del negoziato israelo-palestinese, per riuscire a capire i motivi della vittoria di “Hamas” nei territori occupati. L’Occidente deve ammettere che la sicurezza e l’esistenza di Israele non può continuare a dipendere dalla sua forza militare e neppure da quella dell’Occidente. Israele per raggiungere la sua sicurezza e garantire la sua esistenza, dovrebbe invece essere credibile e capace di stabilire buone relazioni con la Palestina ed il mondo arabo. Come? Innanzitutto riconoscendo le sue responsabilità. “Mea culpa”, assieme alla Gran Bretagna e all’Occidente, della catastrofe palestinese. D’altra parte le risapute, continue umiliazioni inflitte dagli Occidentali ai Palestinesi ed agli Arabi nel secolo scorso, continuano purtroppo ancora oggi e generano lutti e sofferenze che stanno alla base delle vendette violente che sono sotto gli occhi di tutti. Inoltre, l’Occidente non dovrebbe mai dimenticare che le vittime della catastrofica “Nakba” palestinese hanno - come quasi tutte le vittime - una memoria da elefante, al contrario dei carnefici. Bisognerebbe ammettere che nessuno ha il diritto di monopolizzare la verità ed i valori democratici. E che per consentirci di fare giustizia in base a criteri civili, siamo, nell’Occidente, obbligati ad ascoltare le ragioni di tutti, comprese quelle dei Palestinesi.
Innanzitutto dobbiamo domandarci, per qual genere di considerazioni il sistematico rifiuto di sottomettersi alle 74 risoluzioni dell’ONU da parte di Israele sarebbe comprensibile ed accettabile, e in tutti i casi non è ritenuto tanto grave da provocare scandali internazionali o bellicose mobilitazioni nelle sempre vigili ed attente nazioni “democratiche” dell’Occidente. Mentre le levate di scudi occidentali, per esempio, vengono innescate puntualmente dalla vittoria di “Hamas” nelle elezioni in Palestina, da parte dei soliti predicatori della cultura dell’odio, che per schierarsi contro i popoli occupati e soggiogati, non esitano ad abbandonare la logica dei principi giuridici della civiltà occidentale.
Per quanto riguarda la “vexata quaestio” sull’Islam e la democrazia, molti studiosi islamici ritengono che la democrazia potrebbe benissimo diventare uno strumento della vita politica nell’universo islamico, per cui non sussiste una pregiudiziale incompatibilità fra l’Islam e la democrazia.
Quando i movimenti radicali di ispirazione religiosa islamica accettano di partecipare alla consultazione elettorale in seno ad un sistema democratico non è assolutamente detto che poi abbiano la recondita intenzione di abolire quel sistema che li ha portati al potere e le libertà che ne conseguono.
Ancora, va sottolineato che seppure l’ostilità politica dei musulmani verso l’Occidente nasca dal tempo dei crociati e dai crimini da essi compiuti ai loro danni, quest’avversione non è mai stata di natura religiosa o culturale. Questa ostilità, dunque, non figlia di un’inesistente scontro di civiltà, bensì è provocata dalla ferocia e dalla perfidia con le quali si intende realizzare a tutti i costi la globalizzazione americana nel mondo.
Oliver Roy, studioso francese dell’Islam, ha detto: “L’Islam può stare benissimo alla democrazia, così come il cristianesimo. I movimenti islamici sono nati nei paesi islamici da spinte nazionaliste. Quando costoro parlano di Islam, come fa “Hamas”, intendono valori sociali e della famiglia, esattamente come i partiti laici democristiani europei”.
Questa analisi risponde in modo semplice a certi fanatici occidentali affetti da miopia politica, coloro che continuano a credere nella teoria inaccettabile della sottomissione di una civiltà ad un’altra.
Questi irriducibili predicatori dell’odio ci saranno sempre, convinti assertori di un inesistente scontro fra la civiltà e le religioni.
Ma la stragrande maggioranza dei cittadini, credendo giustamente in una superiore saggezza, desidera un dialogo civile ed una pacifica convivenza. Sta dunque ad essi lottare affinché si affermino questi ideali.