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L’animale degli umili: l’asino, il suo palio, ma anche divinità Mediterranea

di Luigi Pellini - 16/06/2009

Questi percorsi che andremo a scoprire sulle colline alle spalle della città, collegamenti antichi
da rivivere fra Avesa, le Toresele e Borgo Venezia, sono luoghi da catturare con i sensi, da
sentire con il corpo.  Luoghi non contaminati che mantengono un fascino unico, salvati
dal degrado fisico e spirituale, oggi poco frequentati e poco conosciuti, forse per questo
intensamente vivi e coinvolgenti. Vie di fuga della mente dove il tempo scorre con altra velocità
ed intensità,che risvegliano le nostre energie assopite, i ricordi profondissimi
di profumi, suoni, sapori e visioni arcaiche che toccano inevitabilmente il sacro.


Castel San Pietro, è a pieno titolo parte fondamentale di questo riappropriarsi della natura e della storia di Verona. Mantiene ed emana ancora un fascino unico, salvatosi dalla totale distruzione fisica, conserva intatta l’anima del luogo, intensamente
vivo e coinvolgente.
Luogo-altro e alto- da vivere nella quiete e nel silenzio che ci rappacifica nella sua armonia.
Contiene immagini e paesaggi che ci permettono di entrare nelle nostre profondità cogliendo gli aspetti più nascosti, profondi e misteriosi del nostro essere ed esistere, alimentando più piani, innescando sottili e nuove emozioni inattese,trasportandoci nella storia.
Tentiamo di immaginare il complesso del sacrario con i suoi edifici eretti con maestria
inspiegabile dove nella collina di  tufo convivono la parte visibile e la parte nascosta ipogea,
il sopra e il sotto intimamente legati, radici del cielo e chiome nella terra, che  conducono a
liturgie e a riti che trovavano nelle acque, nei pozzi e  nelle favisse i veicoli per operare, un grandioso altare di marmo affinché l’umano possa interagire con il divino .
Il colle di San Pietro  era un luogo destinato a funzioni religiose e di dominio a cui tutta la città insiste e volge lo sguardo con rispetto. La sua storia si confonde con il mito. Anche se frequentato da un tiepido turismo di massa, mantiene inalterato tutto il suo fascino. Luogo di potere dove troveranno dimora Dei, re barbari, signori cristiani, chiese e caserme.
Un anno fa su questo poggio vennero iniziati degli scavi promossi dalla sovrintendenza.
Indagini mirate con ogni probabilità alla ricerca di tracce sulla scia degli studi di Umberto Grancelli, lo studioso che già intorno al 1930 aveva formulato delle osservazioni impareggiabili
con cognizione di causa, indagandolo con tutti i mezzi possibili e condensando poi i risultati delle sue scoperte e delle sue riflessioni nel famoso testo, storico e al tempo stesso esoterico,
“Il Piano di Fondazione di Verona Romana”.
Scritti, i suoi, che ci istruiscono dettagliatamente sulla funzione del colle e arrivano  ad ipotizzare
un tempio sulla sua sommità dedicato a quella divinità italica dei primordi che era Giano Bifronte,
Dio doppio a presidio delle porte, legato alle acque, alla dualità, all’orientamento, all’inizio e alla fine di ogni ciclo, incontro del tempo passato e del tempo futuro, complemento dello Zenit e del Nadir.
Divinità dalle mille sfaccettature che ha lasciato poche tracce del suo culto, probabilmente perché i suoi edifici templari furono riconvertiti alle nuove divinità greco-romane.
Dio Italico delle origini e Padre degli Dei, che porta nella mano le due chiavi delle porte del cielo e delle porte degli inferi, così come  Aion Zevian, divinità persiana legata al culto di Mitra, e come  San Pietro che ha dato il nome al poggio, un sottile filo di Arianna ci conduce nel labirinto delle analogie che attraverso i secoli mantengono inalterati i simboli .
Un’idea ce la siamo fatta di come era il colle nel primo secolo dell’era volgare, una sacra
“macchina “scenica che doveva colpire il viaggiatore del periodo romano che già da Villafranca poteva coglierne la visione con  emotivo stupore , turbato dalla maestosità che svettava nel luccichio dovuto al sole riflesso sui bianchi marmi levigati che vestivano tutto il colle.
Una maestosità che esaltava l’organizzazione  e la religiosa praticità del Mondo Romano
che aveva federato Verona con tutta la Decima Legio.
Di ufficiale sugli scavi non si è saputo nulla e affinché possa trapelare il meno possibile si è recintato attorno ai luoghi di scavo, ma qualcosa è passato da quelle strette maglie: sembra che finalmente
sia stata trovata la base rettangolare del tempio che sovrastava il colle. Ora sappiamo che la ricostruzione del Caroto, per secoli accettata come attendibile, che  poneva un tempio circolare al vertice del sacrario era lontana dal vero. A riprova di questa tesi, errata ma accettata per parecchio tempo, fu messo a bella mostra in una sala del museo Archeologico del Teatro Romano un plastico che riproduceva il complesso dell’acropoli con al vertice un edificio rotondo.
Finalmente qualche anno fa il plastico fu giustamente rimosso .
Sapevamo inoltre che c’è tutta una parte ipogea complessa che era stata indagata e divulgata solo dagli studi e dalle ricerche di Umberto Grancelli.
Oltre alle varie cisterne dislocate nel colle esiste anche un pozzo profondo che poteva essere posizionato sotto al possibile tempio dedicato a Giano a mo’ di cripta, come era in uso al mondo etrusco, cartaginese e greco.
Pozzo che tuttora esiste, ma non è stato cercato né indagato, e credo si trovi ancora negli scantinati della caserma austriaca, coperto o nascosto.
Sappiamo che i pozzi erano parte determinante del complesso templare, pozzi che  troviamo numerosissimi sotto le città etrusche come sotto ai templi romani.
I pozzi sacri erano infatti parte integrante dei templi, veri e propri luoghi di culto, ipogei che sorgevano quasi sempre in corrispondenza di una fonte, e su Castel San Pietro sono presenti tutt’ora molte fonti e rogge sotterranee.
Erano  luoghi in cui si praticava il culto delle acque e della terra.

Il colle stesso è tutto un intreccio di cavità e di cunicoli e molte “entrate”(o uscite) sono poste alle sue pendici come si può vedere dal giardino di Villa Francescati, l’attuale Ostello della Gioventù.
Queste cavità rappresentavano poi il  principio femminile della terra, come negli ipogei di Malta, nella religione etrusca, antiche forme di culto della Terra o della Madre Terra. Il culto comprendeva un tipo di approccio al territorio del tutto speciale, basato su quella che possiamo chiamare una vera “scienza”, da alcuni autori definita anche “geografia sacra” o “geomanzia”. Il territorio, corpo fisico e materiale della madre terra, veniva studiato nelle sue diverse caratteristiche e qualità, nelle sue peculiarità, arrivando a determinare dove e come si manifestava il “sacro”, quella speciale energia o influsso di natura divina, ritenuto al tempo stesso creativo e distruttivo. In certi luoghi, per esempio nelle grotte e nelle sorgenti ubicate soprattutto sulle alture, si riteneva che un potere sacro avesse dimora e che gli esseri umani, con appropriati riti, vi potessero entrare in contatto traendone conoscenze e benefici.  Così da riscoprire le regole di questa antica scienza sacra che può essere anche oggi di estremo interesse e utilità, se consideriamo, per esempio, che in molti paesi orientali ancora sopravvive una tradizionale scienza del territorio: il Feng Shui (“scienza del vento e dell’acqua”), utilizzata per orientare sia i templi che gli edifici civili e, soprattutto, per favorire nei modi migliori la fluidità e lo scorrere dell’energia creatrice e primordiale (il ‘chi’ o ‘ki’ o Tao).
A questo punto si apre un scenario affascinante e sarebbe necessaria un’indagine archeologica
totale, organica e a tutto colle, sopra e sotto, per capire e comprendere a pieno questa
collina-altare così elaborata dai romani.
Con i mezzi che la odierna tecnica ci può fornire potremo indagare sufficientemente con una spesa minima e senza ferire il complesso della collina.
Indagare sul Colle di San Pietro significa riscoprire la storia e la nascita della nostra amata città.
Quel poggio è stato infatti la culla di Verona, quelle pietre sono frammenti di un mosaico da ricostruire, libri da ricomporre e finalmente leggere, per l’amore della conoscenza verso una città di incomparabile bellezza.

L’animale degli umili: l’asino, il suo palio, ma anche divinità Mediterranea
Da Colle San Pietro passano strade che si dipanano per le dolci colline delle Toresele . Già nell’epoca romana erano  normalmente percorse dalle genti, piccole strade in proporzione ai bisogni odierni, ma al tempo quelli che ora sono viottoli rappresentavano proprio arterie importanti che da Verona portavano in varie direzioni preferendo la via della collina a quella della pianura. 

Queste strade, che furono sopratutto vie di trasporto condivise fra animali e uomini, oggi rivivono come  percorsi didattici e naturalistici che hanno mantenuto nei secoli il loro fascino inalterato.
Alla simbiosi animale-uomo dal dopoguerra si è passati brutalmente al binomio macchina-uomo e tutto si è adeguato alle esigenze della meccanizzazione, soprattutto il sistema viario, che ha completamente stravolto le antiche strade e abbandonando sopratutto le piccole strade di collina. L’animale cardine della civiltà contadina mediterranea ed europea fu senza dubbio  l’asino. Questo  animale, usato per il trasporto nel piccolo commercio e per svolgere i pesanti lavori agricoli, era nella sua umiltà il parente povero del nobile cavallo, prerogativa di principi e cavalieri, costoso da mantenere di fronte alla frugalità asinina. Il ciuco per secoli sollevò dal durissimo lavoro i poveri contadini che si tenevano caro l’animale dalle lunghe orecchie e che era considerato parte della famiglia. I suoi servigi erano molteplici: faceva girare le mole per l’estrazione dell’olio, la macina per la molitura dei cereali, la macchina per sollevare l’acqua ed irrigare le terre, animale da soma per trainare piccoli carretti, seguire gli armenti, arare i campi.
A Verona è risaputo che l’asino era l’animale impiegato a trainare i carretti per portare i panni lavati da Avesa ai signori che abitavano in città, come anche i piccoli coltivatori per trasportare dalle prime colline negli sparuti e piccoli mercati cittadini la frutta e la verdura primizia, anticipata dal microclima del sobborgo veronese dei lavandai e orticoltori.
    
Così scrive Marino Zampieri nel“Il palio, il porco e il gallo” Cierre edizioni 2008:

 <<A Verona non v’era certo penuria di asini: sia la parte montuosa che quella pianeggiante del territorio ne offriva un gran numero di varietà. E molti erano i borghi e le contrade che da tempo immemorabile venivano insigniti, loro malgrado, del titolo di – paese degli asini- o –dei mussi- : Avesa, Villafranca, Soave, Monteforte, San Gregorio di Veronella (Cuca)…Il poeta macaronico Giuseppe Peruffi, uno dei più assidui cantori del Carnevale veronese, nel celebrare l’asino “Saltamartin Rampino”,  scelto dagli avesani come cavalcatura del Papà del Gnocco, giurava che un esemplare simile non lo si sarebbe potuto trovare neanche a cercarlo in tutta Villafranca o Soave, paesi che dovevano vantare pregiate razze asinine.>>
 Questo animale è intimamente legato alla storia dei piccoli e poveri contadini, che erano l’ossatura dell’economia medioevale, ma la diffusione di questo animale si protrasse fin dopo la seconda guerra mondiale. Con l’avvento della modernità furono definitivamente tolti dalla scena agricola, per le nuove generazioni erano solo motivo di vergogna. A Verona all’asino fu riservato addirittura un Palio inaugurato ufficialmente da Cansignorio della Scala nel 1336 quando, per festeggiare le nozze con Agnese d’Angiò Durazzo, allestì tra gli altri spettacoli sei diverse corse dove si sfidavano uomini, prostitute, mule, ronzini, cavalli berberi e asini. Il palio degli asini rimase come tradizione e si perpetuò.  Sappiamo inoltre
che a Verona fu viva la scandalosa “festa della muletta” :“dies festus de mulula”,
un rituale che aveva come riferimento la famosa Muletta, oggi posta nel transetto di sinistra della stupenda chiesa di Santa Maria In Organo.

La famosa Muletta posta nella chiesa benedettino ulivetana di Santa Maria in Organo

Una leggenda vuole che questa statua lignea, arenatasi davanti alla porta della chiesa quando esisteva ancora il ramo dell’Adige ora interrato, dopo varie vicissitudini fosse raccolta e portata finalmente in chiesa.
Secondo una tradizione popolare parallela, la statua conserva al suo interno la pelle dell’asino che portò Cristo a Gerusalemme attraverso la porta d’oriente.
L’asino della domenica delle palme ebbe a capitare a Verona e fu ospitato proprio con tutti gli onori. Alla sua morte l’animale emise un raglio di grande intensità che fu udito da tutta la città.
E alla morte dell’animale furono resi grandi onori e le reliquie raccolte con devozione vennero deposte nel ventre della Musseta lignea.
La statua della Musseta veniva portata i processione, o meglio trascinata dato che era munita un tempo di ruote, non solo nei riti della domenica delle palme, ma anche il giorno del Corpus Domini.
Queste processioni hanno conservato a lungo le caratteristiche di festa pagana dove il popolo si immergeva fra canti e colori in una grande carnevalesca mascherata, e la muletta era venerata alla stregua del Cristo che la cavalcava.
Storie che si incrociano ma che sostanzialmente sottolineano che qui a Verona, come in altri paese dell’Europa, alcune feste cristiane erano la continuità dei riti e delle credenze pagane, mai completamente sradicate, che nel nostro caso fanno dell’asino l’animale totemico già sacro nell’antico Egitto dove rappresentava Set fratello di Iside ed Osiride o come  Marduk dio Mesopotamico dalle lunghe orecchie.
Ancora Marino Zampieri nel“Il palio, il porco e il gallo” Cierre edizioni 2008:
<<Nelle processioni veronesi della Domenica delle Palme e del Corpus Domini l’atmosfera carnevalesca era accentuata dalla presenza della “Musseta”, dalla pur  elementare azione scenica che essa comportava, dalle espressioni di giubilo extraliturgico che ispirava. Gli immancabili eccessi, gli atti irriverenti, i tripudi carnevaleschi non sempre agiti al di fuori o al termine del sacro rito, le manifestazioni di religiosità popolare verso la “santa asinella”in cui affioravano chiare
tracce di antichi culti pagani, la voce diffusa oltralpe da viaggiatori stranieri che a Verona si venerava un asino, finirono per preoccupare le autorità ecclesiastiche, che decisero di intervenire . Si cominciò con il togliere pathos e teatrale spettacolarità all’evento non trascinando più la mulula  con una
 -sogheta- ma, come in un’ordinata processione, trasportandola su uno -scabello grezzo - appositamente costruito. E si finì per proibire del tutto la processione. La “santa musseta” pietra dello scandalo, segregata nel buio di una sacrestia, più non uscì con il festoso carnevalesco corteo ad abbracciare in cerchio la città, rinnovando i giri rituali che la comunità veronese attualmente celebrava con la spirale del Bogon in piazza dei Signori o la sfilata del palio circum circa  piazza delle Erbe. In quei luoghi deputati la folla raccolta ad anello riviveva con teatrale empatia l’emozione che provava ogni volta che si trovava riunita nell’anfiteatro areniano: la percezione di se stessa come un “gigantesco corpo unitario, vivo, tangibile, animato da un medesimo spirito identificato da un comune sentire>.

La storia strana e controversa è ripresa anche da Giampaolo Marchi nel  “Luoghi Letterari” Edizioni Fiorini Verona 2001, riferendosi ad una lettera che Ezra Pound, il grande poeta che amò particolarmente Verona citandola nella sua monumentale opera poetica “I cantos”, invia al suo amico lucchese Enrico Pea, scritta dal manicomio di St. Elizabeths Hospital Washington D.C. U.S.A, dove il poeta era stato  rinchiuso per collaborazionismo con l’Italia di Mussolini.
In questa lettera ad un certo punto  Pound scrive<<…ma forse racconto barzellette o qualche storia locale, come quell’asino a Verona che tanto eccitava il Rev. Cav. Dott. Alessandro RRRRobertson, della Chiesa Scozzese a Venezia…>>
Scrive il Marchi che si tratta dell’allusione della famosa “Muletta” e così continua <<..Una splendida statua lignea del XIII secolo, conservata nella chiesa di Santa Maria in Organo a Verona, oggetto (un tempo) di larga venerazione popolare e di conseguenti polemiche ispirate alla contestazione del culto cattolico per le immagini. La solennità delle Palme veniva celebrata dai monaci olivetani di S. Maria in Organo portando in processione la statua (ciò si usa fare ancora oggi in alcune zone di lingua tedesca, come Hall in Tirolo). L’entusiasmo popolare dava luogo a qualche intemperanza, forse non sufficientemente contrastata dai religiosi: certo, l’immagine lignea entrò ben presto a far parte dell’immaginario collettivo e del folclore religioso, come risulta da una memoria del celebre musicista Adriano Banchieri, che soggiornò a Verona nei primi anni del seicento….Primo a muovere lo scandalo a proposito della venerazione di cui era oggetto la” Muletta” fu Maximilien Misson nella XIV lettera del I tomo del suo Voyage d’Italie>>.
Questi fatti non ci devono meravigliare dato che il paganesimo ha convissuto per moltissimo tempo con la religione cristiana.
Sappiamo che durante tutto il Medioevo in Francia si officiavano cerimonie religiose strane, ma  assai gradite  al popolo come la festa dei pazzi con una processione che partiva dalla chiesa e lì ritornava con i suoi dignitari, i suoi fedeli, il suo popolo. Il popolo rumoroso, malizioso, scherzoso, pieno di traboccante vitalità, di entusiasmo e di foga si riversava nella città dai sobborghi e dalle popolate colline scendeva per ritrovare la gioia e unirsi, fra il sacro e il profano, in  processioni  come
nella “festa dei Pazzi” o la “Processione della volpe” o la “Festa dell’asino”. Liturgie colme di entusiasmo e di grandissima partecipazione dove giovani vecchi donne e bambini erano coinvolti e liberi di esprimere e sfogare la loro gioia di vivere e la loro sessualità.
Sappiamo anche del “riso pasquale”: lo si è praticato per secoli nelle chiese. Infatti, in certi paesi di lingua tedesca, durante la messa di Pasqua, i predicatori solevano incitare il popolo concelebrante a ridere (per la resurrezione di Cristo) sonoramente, anche ricorrendo a pantomime oscene e a storielle ambigue.” Risus pascalis”, riso pasquale, veniva chiamata questa usanza.
Ancora secondo un rituale pagano come la  “Festa degli innocenti” del XIV secolo, il Vescovo stesso era solito giocare a palla con i chierici e ricordo anche lo strano Gioco della Pelota  giocato nella navata di Saint-Etienne, cattedrale d’Auxerre, e che scomparve poi, verso il 1538. Giorni inversi dove non esistevano più le gerarchie: la festa del Papà del Gnoco a Verona è colma di queste inversioni di ruoli affinché il popolo si sentisse libero e senza condizionamenti, in una sorta paese della cuccagna dove la penuria alimentare e il peccato fossero dimenticati per un giorno  .
Le feste di tipo carnascialesco come quelle dei folli si svolgevano spesso in chiesa finché non vennero soppresse nel XVII secolo, l’asinade era legata alla festa dei folli, la trasgressione delle regole fra tragico e grottesco. Il tragicomico liberava l’individuo dalle sue paure verso l’incerto futuro: la fame, le malattie, la precarietà della vita, l’insicurezza continua, l’oppressione e la paura della morte superata con l’eros.
Ordine e disordine, ma il caos è la sorgente segreta della vita; il sesso genera anarchia, ma anche liberazione . I pagani lo capivano assai meglio di noi. Lasciavano uno spazio all’anarchia nelle loro ben ordinate vite.

Nel medioevo il folle porta sempre una cuffia da cui spuntano le orecchie d’asino e stringe in mano una clava. Il nesso fra asino e sacro è sottolineato da una delle tradizioni più discusse: il “Festum Asinarum”solennizzato soprattutto in Francia dove addirittura un arcivescovo, Pierre de Corbeil, scrive i versi che si cantano durante il rito.
E’ chiamata anche messa dell’asino o festa “ragliata”. La domanda che poniamo dopo tutte queste storie è: nelle due processioni veronesi si portava alla venerazione della città Cristo o l’asino?

Con Dario Fo ebbi modo di andare in visita alla chiesa di Santa Maria in Organo, sempre sulla scia di queste memorie. Quando arrivammo alla “muletta” il premio Nobel si fermò e fece delle considerazioni su quella scultura che tante polemiche ebbe a muovere. Fo ha una grossa cultura artistica: si è diplomato difatti all’Accademia di Brera e ha sempre coltivato la passione per la pittura e per l’indagine artistica. Le sue parole sottolinearono la molto probabile possibilità che il Cristo benedicente che cavalca l’asino sia stato in origine una statua di un Dioniso o un grasso Sileno che rimodellata divenne il magro Cristo che ora ammiriamo. La mano dell’artista che scolpì l’asino è sicuramente diversa da quella di colui che intagliò il Cristo che è meno rozzo, più ricco di particolari e molto più raffinato, tempi diversi e mano diverse hanno dato forma all’asino e al Cristo, dove gli artisti usano tecniche scultoree  e sfumature palesemente dissimili  .
Certo bisognerebbe fare delle indagini per svelare i segreti di quella composita statua così famosa e ora rimossa e dimenticata dalla cronaca e dall’interesse popolare.

Sappiamo  che l’asino era un animale totemico che rappresentava una divinità venerata e che è ripreso sia nell”Asino d’oro” di Apuleio di Mandaura come nello straordinario  “Pinocchio” scritto da Collodi. E’ l’allegoria dell’uomo che deve passare dalle condizioni d’asino per superare la sua caduta nel punto più basso della materia: una possibile lettura, ma altresì la stessa figura asinina  con valenza divina, sacra e sapienziale. Anche le fiabe raccontano il sacrificio di questo animale. In “Pelle d’asino” la bestia è uccisa e la sua pelle, quando indossata, difende e preserva una giovane fanciulla dai pericoli. Calvino nelle sua raccolta “Fiabe italiane” riporta la famosa fiaba del somarello caca-denari che
non compreso sarà sostituito dall’oste disonesto, ma alla fine il giovane proprietario ritroverà il suo somarello e con lui ritroverà la serena ricchezza data dall’oro defecato dal magico asinello.
Il suo raglio rappresenta il mantra di un acuto immediatamente seguito da un suono bassissimo, è l’alto e il basso che si incontrano e nel mezzo sta la condizione umana.
Questi percorsi, intesi anche a riprendere una certa sacralità attraverso concentrazione e disposizione, sono una via di ricerca interna in noi .Forse per alcuni esagero, ma è una questione introspettiva, personale ed interiore. Cammini brevi, locali, svolti con raccoglimento e consapevolezza di ciò che stiamo facendo, innanzitutto spegnendo il dialogo interiore, mettendoci in ascolto nella posizione di chi, aprendo il proprio cuore, non giudica e osserva. Svuotandoci della nostra piccola personalità per riempirci dell'energia del luogo, potremo entrare in risonanza con l’energia del posto e ottenere un ampliamento della coscienza. Soltanto in questo modo il nostro “pellegrinaggio” potrà divenire un’indimenticabile “avventura dello spirito”. Per entrare in unità con il Tutto, per camminare in questo modo non si può spiegare a parole né apprendere dai libri, è necessario farne esperienza. I nostri compagni di viaggio saranno il silenzio, il rispetto, la meraviglia, la gratitudine.
Dobbiamo, non a caso, imparare dagli asini.

La bibliografia
Mario Zampieri, Il palio, il porco e il gallo, Cierre edizioni 2008
Gian Paolo Marchi, luoghi letterari, Edizioni Fiorini Verona 2001
Emanuela Chiavarelli, il dio asino. Il mistero di un’antica divinità, Tiellemedia editore 2006
Umberto Grancelli , il piano di fondazione di Verona romana, Vita Nova  Verona 2006
Adriano Gaspani ,VERONA  origini storiche e archeoastronomiche, Vita Nova Verona 2009
Luigi Pellini, Il cappello dei Magi, Edizioni Aurora 2