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Viaggiatori di serie B

di Sergio Rizzo - 16/06/2009

 

«Mi fa male al cuore offrire un servi­zio non adeguato ai pendo­lari », ha confessato l’attua­le presidente delle Ferro­vie Innocenzo Cipolletta. Certamente non il primo a cospargersi il capo di cene­re per i disagi inflitti a chi tutte le mattine prende il treno per andare al lavoro. «Sappiamo che abbiamo un debito con loro», aveva ammesso quattro anni fa il suo predecessore Elio Cata­nia. Ma già nel 1997 Gian­carlo Cimoli chiedeva pub­blicamente «scusa ai pas­seggeri ». Promettendo al­meno «l’aria condizionata in tutti i vagoni dei pendo­lari ». Anche se poi l’aria condizionata in «tutti» i va­goni non è mai arrivata.

E i politici? Perfino inuti­le elencare le promesse, tante sono state. Ma «viag­giare su treni confortevoli, senza sovraffollamento e con il rispetto degli orari», per usare le parole dell’ex ministro Alessandro Bian­chi, è sempre stata un’illu­sione. Nel 1993 l’allora tito­lare del dicastero dei Tra­sporti, Raffaele Costa, al­meno ci mise la faccia. Salì su un treno di pendolari a Santhià e ne scese a Nova­ra con i capelli dritti: «Su questo problema dovremo intervenire». Ma non ne ebbe l’occasione. Dodici anni dopo ci provò anche il governatore della Lom­bardia, Roberto Formigo­ni. Appena messo il piede nel vagone alla stazione di Legnano fu accolto da una salva di commenti ironici: «Oggi c’è Formigoni e il treno ha soltanto cinque minuti di ritardo...».

Ma neanche le iniziative più temerarie hanno smos­so le acque. I pendolari bloccavano i binari per pro­testa a metà degli anni Set­tanta e i loro figli oggi fan­no lo stesso. Soltanto, più organizzati. Ora hanno un Coordinamento che con la Federconsumatori ha sfor­nato una specie di «Libro nero» sulle magagne ferro­viarie. A cominciare dai ri­tardi. Ogni viaggiatore «abituale» ne accumule­rebbe mediamente 100 ore l’anno. E se nel 1980 si an­dava da Torino a Milano in un’ora e mezzo, il Coordi­namento dice che oggi ci vuole almeno un quarto d’ora in più.

Va detto che non si può caricare la croce tutta sulle spalle delle Fs e delle azien­de di trasporto. L’Italia sconta ritardi storici della politica, accumulati per to­tale assenza di strategia. In­tendiamoci: non che in questi ultimi due decenni i governi di turno abbiano lesinato i quattrini. Il fatto è che tutte le energie sono state assorbite dal proget­to, anche mediaticamente molto redditizio, dell’alta velocità. Con il risultato che oggi l’Italia, finalmen­te, ha un treno in grado di fare concorrenza all’aereo fra Milano e Roma. Ma con­tinua ad avere le Regioni del Nord intrappolate tutti i giorni nella morsa del traffico automobilistico an­che perché i collegamenti ferroviari sono quello che sono. Inefficienti, disage­voli e anelastici: con carroz­ze a turno deserte o strapie­ne senza che si sia trovato il modo di far viaggiare tre­ni più lunghi o più corti quando serve. E non parlia­mo di una zona depressa, ma dell’area più ricca e svi­luppata d’Europa.

Viene quasi l’idea che i nostri politici non abbiano mai preso un treno. Oppu­re non siano mai stati in Francia o Germania. Ma è netta anche la sensazione che la cultura ferroviaria non abbia ancora accettato del tutto il principio che i binari servono per traspor­tare persone o merci. E non per far comunque cir­colare i treni.