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L'esito del voto iraniano. Dove nasce il consenso di Ahmadinejad

di Farian Sabahi - 16/06/2009



Farian Sabahi, iraniana, insegna storia dei Paesi islamici all’università di Torino. Le chiediamo di aiutarci a capire cosa stia accadendo a Teheran.
La situazione pare in continua evoluzione. Che sbocchi può avere il movimento di protesta secondo lei?
«Essendo una storica di professione, preferisco non ipotizzare scenari futuri. Una cosa mi pare evidente. L’esito del voto non si spiega solo con i brogli. Mentre la campagna elettorale di Mousavi è durata tre settimane, quella di Ahmadinejad è andata avanti per più di tre anni, durante i quali ha elargito a destra e a manca, incrementando del 50% le pensione e del 30% gli stipendi degli insegnanti. Inoltre 22 milioni di cittadini in più hanno ottenuto l’assistenza sanitaria gratuita. Tutto ciò gli ha guadagnato consensi, anche se ha provocato la crescita di inflazione e disoccupazione. Le proteste sono sincere, ma esiste anche un altro Iran, al di fuori della capitale, che spesso non viene considerato. Ci sono 4 milioni di nomadi la cui scelta elettorale non è un fatto individuale. E quando tu vedi il presidente che si sporca le scarpe di polvere per andare nei villaggi a stringere le mani dei tuoi capi, questo basta a orientare il tuo voto».
Lasciamo stare il futuro allora. Cosa sta accadendo oggi ai vertici del potere in Iran?
«Un fenomeno interessante è la frattura avvenuta all’interno del sistema istituzionale della Repubblica islamica. La propaganda di Ahmadinejad ha preso di mira figure di spicco dell’élite politico-religiosa. Le accuse di corruzione hanno messo in serio imbarazzo il candidato riformatore Karroubi, la terza carica dello Stato Rafsanjani, grande sponsor di Mousavi, e altri ancora, senza escludere personaggi vicini alla Guida suprema Khamenei. Si è frantumata la coesione e l’omertà interna all’establishment. Il blocco di forze che fa capo ai Pasdaran è emerso sempre più distinto ed autonomo rispetto agli altri centri di potere».
Si può allora ipotizzare che Mousavi, nel chiedere l’annullamento delle elezioni, punti soprattutto a stabilire un legame fra il movimento di cui è in questo momento leader e settori importanti dell’élite religiosa? Pur sapendo che il voto non sarà invalidato, cerca di rafforzare le basi dell’opposizione che si candida a guidare nei prossimi anni?
«Si forse sta appunto pensando alle presidenziali del 2013 e non all’irrealistica ipotesi di ripetere quelle appena svolte. È possibile che, come lei dice, tenti di approfittare della divisioni fra clero e Pasdaran. Ma Mousavi per 20 anni è stato ai margini della politica. Non vediamo in lui un raffinato stratega, un Andreotti iraniano. Lo stesso Khatami, che sta dalla sua parte, viene spesso sopravvalutato. La sua natura di riformatore è discutibile. Lo è forse per gli standard iraniani, così come un conservatore del calibro di Rafsanjani, in contrapposizione ad Ahmadinejad, è stato etichettato come moderato pragmatico».

di GA.B.