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Morte alla Cina! Morte alla Russia!

di Giovanni Petrosillo - 20/07/2009

  
 
Da che parte stessero gli studenti iraniani era un segreto di pulcinella, se, ovviamente, si eccettuano i “radicalissimi” intellettuali della sinistra europea e americana, grandi manipolatori insediati tra le fila dei dominati, i radical-cannati dei centri sociali e gli ondeggianti universitari decerebrati di casa nostra, tutti concordi nel sostenere i riformisti filo-occidentali di Moussavi e nel firmare appelli a favore della democrazia in Iran, contro i presunti brogli elettorali messi in atto da Ahmadinejad.

Allorché, durante la preghiera del 17 Luglio, tenuta dall’ayatollah Rafsanjani all’Università di Theran, l’opposizione studentesca ha cominciato a scandire slogan antirussi ed anticinesi il quadro si è fatto ancora più chiaro.

Il problema per questi giovani, descritti dalla stampa occidentale come figli della modernità, non sta nell’aggressività israeliana che incombe come una minaccia su tutto il Medio Oriente, né nella strategia egemonista americana che agisce subdolamente contro i popoli per preservare il suo status di unica potenza mondiale. Per quest’orda di prezzolati progressisti, attirati nelle rete ideologica delle ONG e degli Istituti per la promozione della democrazia, tutti di matrice americana e in odor di CIA, il pericolo incombe da est, dall’Orso Russo e dal Dragone Cinese.

Tutto questo astio eterodiretto è una reazione alle scelte antimonocentriche dei governi cinese e russo, i quali, dopo aver avuto esperienza diretta delle provocazioni americane nei loro contesti nazionali, si sono immediatamente schierati dalla parte del presidente Amadinejad, impedendo che all’Iran fossero comminate sanzioni dagli screditati organismi internazionali.

La rivoluzione verde ha dimostrato così i suoi reali intenti che sono finalizzati a rompere l’intesa tra Iran-Russia-Cina e a inibire sul nascere le velleità della SCO (Shanghai Cooperation Organization) la quale, nel prossimo futuro, potrebbe esercitare una cospicua forza attrattiva per i paesi che non vogliono farsi inglobare nell’orbita di Washington o che da questa puntano a divincolarsi.

Desta preoccupazione il fatto che l’ayatollah Rafsanjani, dopo aver dichiarato, solo qualche settimana fa, di essere disposto ad accettare il verdetto elettorale, in seguito alla sua ferma convinzione che la democrazia iraniana avesse dato prova di grande maturità, sia tornato a lanciare le sue accuse pretestuose sul governo.

Evidentemente, come ha scritto Carlo Jean sul Messaggero di sabato, costui sente di poter ancora approfittare delle lotte intestine al clero, ma, più di tutto, avverte che dall’evoluzione della situazione afghana, con il cambio di strategia militare avviato da Washington, potrebbero emergere nuove opportunità per la sua fazione, qualora quest’ultima si dimostrasse in grado di fare da sponda al piano d’azione degli Usa, ottenendone in cambio una protezione molto più concreta.

Scrive Jean: “Ma a parte la lotta interna per il potere, sono importanti due fatti che possono influire sui rapporti fra gli Usa e l’Iran. Il primo è la dichiarazione del segretario della Difesa, Robert Gates, secondo cui la principale minaccia che devono affrontare gli Usa è rappresentata dal possesso di armi nucleari nelle mani dell’Iran. Washington sta chiaramente dando “un colpo al cerchio ed uno alla botte” [diciamo pure che tutta la strategia internazionale di Obama si basa su questa doppiezza, con i sorrisi da dispensare nelle occasioni ufficiali e la maggiore aggressività da insufflare nel campo materiale dei rapporti di forza, al fine di sbilanciarli a proprio vantaggio]. Le aperture di Obama [che però avevano raggiunto siffatta ampiezza in virtù della previsione, poi rivelatasi inesatta, che le elezioni potessero infine portare al potere la parte pro-statunitense] vengono compensate dalle chiusure di altri membri dell’Amministrazione… In secondo luogo, per la prima volta nelle piazze del Medio Oriente, i dimostranti gridavano ‘Morte alla Russia’, mentre solitamente le invettive sono per gli Usa e l’Occidente. Sicuramente non si è trattato di un fatto spontaneo, ma di un calcolo degli organizzatori delle proteste, per condannare l’appoggio che Mosca ha dato ad Ahmadinejad [sottolineature mie]. Di quale appoggio si tratti e quali sono gli obiettivi del Cremlino, non è dato sapere. Forse il tandem Medvedev-Putin vuole solo creare problemi agli Usa, per rafforzare la sua posizione negoziale in altri settori. Oppure si propone di screditare Obama ed il suo tentativo di rafforzare il soft-power americano. Oppure, infine, si tratta di una mossa preventiva per bloccare nuove sanzioni.”

O magari, diciamo noi, tutte queste cose contemporaneamente.