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Guardarsi dentro con franchezza ed onestà per accedere alla via che riconduce all'Essere

di Francesco Lamendola - 27/08/2009


Esistono persone che vivono letteralmente sprofondate nella menzogna, e non lo sanno.
Esistono persone che non hanno mai avuto il coraggio, nemmeno una volta nella propria vita, di guardarsi dentro con un briciolo di franchezza e di onestà.
Esistono persone che hanno sempre indossato una maschera, o più maschere, non solo con gli altri, ma perfino quando sono da sole, a tu per tu con se stesse; o che, per meglio dire, a tu per tu con se stesse non ci sono state mai, perché mai hanno trovato quel minimo di coraggio e dignità, che sono indispensabili per farlo.
È una razza pericolosa: una razza d'infelici, che mai hanno conosciuto la gioia dell'autentico stare bene con se stessi, che mai hanno saputo essere all'altezza di se stessi, del rispetto dovuto a loro medesimi. Che mai sono stati capaci di insediarsi nel centro della propria anima, ma che si sono sempre aggrappati a dei ruoli posticci, a delle pietose bugie, a una inautenticità ormai così connaturata, da essere divenuta per essi come una seconda pelle.
Una razza pericolosa non solo per se stessa, ma anche per gi altri: perché nessun rapporto è possibile con costoro, se non sulla base di un fraintendimento essenziale, fonte, a sua volta, d'infinite incomprensioni, frustrazioni e sofferenze.
Una razza che semina dolore e disinganno intorno a sé; che sporca tutto quello che tocca; che avvelena anche le gioie più pure; una razza dannata, nel senso letterale della parola: dannata a condurre una vita alla rovescia, che è la radicale negazione della vera umanità.
Eppure si tratta di persone che s'incontrano molto di frequente; a volte abbiamo perfino l'angosciante sospetto che tali siano ormai divenuti la maggior parte degli esseri umani, anche per le particolari circostanze storico-culturali della nostra società.
Oseremmo dire che si fa sempre più raro il tipo umano opposto, ossia quello che ha il coraggio della propria verità interiore, di guardarsi dentro, di riconoscersi e di accettarsi, senza nascondersi dietro ipocriti paraventi e senza raccontarsi improbabili storielle, miranti unicamente a tacitare la propria coscienza inquieta e ad assolvere  la propria mancanza di rettitudine morale.
Non è moralmente retto colui che, pur rispettando le regole formali della società, vive sotto il segno del nascondimento e mira, attraverso di esso, ad esercitare una forma di potere sugli altri. Perché questa è l'altra faccia della medaglia della radicale inautenticità esistenziale e del perenne mascheramento: la possibilità di agire verso gli altri da una posizione di vantaggio e, quindi, di forza.
Fra due esseri umani, uno dei quali si mostra per quello che realmente è, l'altro che nasconde accuratamente la propria essenza e dà a credere di essere tutt'altra cosa, è chiaro che il primo verrà a trovarsi in una posizione di svantaggio e di debolezza, il secondo, invece, in una posizione di vantaggio e di forza.
E chi non è onesto con se stesso, difficilmente sarà portato ad esserlo verso gli altri: per cui i campioni del nascondimento sono anche, generalmente, coloro i quali desiderano esercitare una pressione e una costante manipolazione sul prossimo, restandosene, per parte propria, sempre al coperto, ossia facendo in modo di non esporsi mai.
Ecco perché costoro costituiscono una autentica minaccia per l'armonia e la serenità dell'ambiente sociale in cui vivono: sono, per definizione, portatori di ambiguità e discordia.
Eppure, il leale riconoscimento di sé e l'altrettanto leale offerta di sé agli altri, sono passi irrinunciabili sulla vita della maturazione spirituale: nessuno che non li abbia perseguiti e, almeno parzialmente, raggiunti, può dire di aver assolto degnamente la propria missione, il proprio ruolo su questa terra.
Noi non veniamo al mondo per caso; non vi soggiorniamo per caso; non ce ne andiamo per caso, anche se le circostanze esteriori possono, talvolta, dare questa impressione.
In realtà, è vero il contrario: noi siamo chiamati alla vita da una forza cosmica più antica del mondo stesso, e della quale l'unione dei nostri genitori e la loro disponibilità a trasmettere la vita, non è che l'ultima tappa.
Così pure, non è sotto l'insegna del caso che si svolgono le vicende della nostra vita, neppure quando noi, in preda alla confusione e al disordine spirituale più completi, apparentemente ci abbandoniamo al destino, rinunciando ad esercitare una nostra volontà propria.
Infine, non per caso veniamo chiamati altrove, fuori da questa esistenza terrena che, alle persone dalla vista corta, sembra realmente tutto ciò che abbiamo, e oltre la quale non sanno o non vogliono scorgere null'altro.
Concepimento (e nascita), vita, morte, non sono scanditi da un insensato confluire di circostanze puramente occasionali, ma la risultante di un disegno tessuto da molto, molto lontano, al quale noi stessi siamo chiamati a collaborare secondo le nostre forze, la nostra disponibilità all'impegno, al perfezionamento spirituale.
In altri termini, ci viene affidato un compito estremamente preciso ed importante, che è poi la ragione ultima e profonda del nostro stesso esistere: quello di farci carico della nostra graduale presa di coscienza, della consapevolezza cui tutte le creature tendono a loro modo, secondo tempi e modalità estremamente vari, ma, nell'insieme, attratti da un fine che è il medesimo per tutti: quello di tornare consapevolmente all'Essere, che ci ha tratti dal non essere e ci ha rivelato lo splendore ineffabile del progetto di cui siamo parte.
Colui che si nasconde a se stesso, e che si sforza di ingannare sistematicamente gli altri circa la propria consapevolezza interiore, è simile all'invitato di una festa che si riempia le tasche di cibi e dolciumi da portare via, rubandoli goffamente, senza rendersi conto che tutto è donato, che tutto è a disposizione degli ospiti.
Ancora, potremmo paragonarlo a colui che, ostinandosi a mentire e indurendosi nelle proprie menzogne, metta in opera tutta la propria scaltrezza per ingannare proprio l'unica persona dalla quale potrebbe ricevere comprensione, umana solidarietà e fattivo aiuto, nella difficile situazione nella quale si trova, ma che vuole ad ogni costo dissimulare.
Potremmo, infine, paragonarlo ad un malato, il quale si impegni con tutte le sue forze per nascondere al proprio medico la malattia che lo consuma e che certamente lo porterà a una fine dolorosa e insensata: e tutto questo non perché egli abbia deliberatamente scelto di non curarsi e di lasciarsi morire, ma solo e unicamente perché crede di essere furbo ingannando il proprio medico, quasi si trattasse di una gara di astuzia, nella quale egli intende primeggiare ad ogni costo, irragionevolmente e insensatamente.
Nelle cose dell'anima, invece, è necessario confessare la propria indigenza, la propria debolezza, la propria inadeguatezza: confessarla in primo luogo a se stessi, non per avvilirsi, compatirsi e recitare il ruolo dell'eterna vittima, ma, al contrario, per purificarsi nel fuoco della sincerità e per misurarsi con la realtà effettiva, per quanto dura essa sia.
La maggior parte delle persone non è in grado di compiere questa indispensabile operazione preliminare, se non sotto la spinta di dolorose circostanze esterne, quali malattie, insuccessi professionali, dispiaceri affettivi; solo una rarissima schiera di eletti è capace di intraprendere un simile cammino per moto proprio, ossia per una esigenza interiore che erompe irresistibile, indipendentemente dalle circostanze esteriori, più o meno fortunate.
L'importante, comunque, è aprirsi alla chiamata dell'Essere, dare il proprio assenso al progetto cosmico, essere affermativi.
Colui che intraprende il proprio cammino di consapevolezza sa di non essere solo, sulla via faticosa per la quale si è avviato; sa di poter contare su una potente forza benefica, che lo sosterrà nei passaggi più impervi e gli restituirà animo nei momenti di scoraggiamento; e, se pure non lo sa, almeno all'inizio, potrà nondimeno goderne i benefici.
È chiaro, d'altra parte, che se crediamo fermamente che tutto ciò che esiste sia frutto del caso, e che nulla vi sia all'infuori della materia e del suo perenne ciclo di trasformazione, ci mettiamo da noi stessi in una prospettiva che, falsando totalmente la retta comprensione del reale, ci allontanerà sempre di più dal necessario cammino di consapevolezza.
Infatti, la contraddizione in cui viene a cadere il materialista è questa: che, se pure egli nega la provvidenzialità del piano cui è chiamato a partecipare, tuttavia egli ne fa parte, e sia pure in maniera inconsapevole. Di conseguenza, anch'egli dovrà mettersi in cammino, presto o tardi; se non oggi, domani; se non in questa vita, in un'altra. L'unica differenza è che egli farà di tutto per rendere la propria ascesa più faticosa e tribolata, più aspra e frustrante, poiché si priverà deliberatamente di quei mezzi e di quegli accorgimenti, che potrebbero essergli d'aiuto.
Potremmo paragonarlo a un alpinista che, dovendo affrontare una ripida ascensione, a un certo punto si sbarazzi delle corde, dei moschettoni, dei chiodi, perfino degli scarponi e dello zaino con le provviste e gli indumenti di ricambio. Un simile alpinista si comporterebbe, indubbiamente, come un pazzo: ebbene, tale è il comportamento del materialista convinto, il quale si accinge ad affrontare l'impegnativa scalata della vita, in direzione della consapevolezza spirituale, spazzando via dal proprio orizzonte tutto ciò che potrebbe agevolarlo ed aiutarlo.
La legge spirituale universale è questa: che tutto ciò che vive, tutti gli enti dotati di sentimento, ragione e volontà (che non sono certamente solo gli umani) tendono al fine supremo del ricongiungimento all'Essere; ma devono arrivarci per un moto proprio, e non semplicemente trascinati dall'esterno.
Colui che si sottrae a questa legge, di solito perché impigliato nel perseguimento illusorio di piaceri che non sono realmente tali, o nelle mefitiche paludi di una filosofia nichilista e demoralizzante, esce, per così dire, dal concerto dell'armonia cosmica, e si pone da se stesso in una posizione precaria ed isolata, dalla quale sarà poi doppiamente difficile risalire.
D'altra parte, non bisogna nemmeno pensare che la via della consapevolezza spirituale sia fatta solo e unicamente di improbe fatiche e di dolorose rinunce. Al contrario: pur se faticosa all'inizio, è la via che conduce alle gioie più pure e più sublimi, perché fatte di una sostanza sulla quale - per usare un'espressione biblica - né i ladri, né i voraci insetti hanno alcuna presa.
Né questa, che la via dell'elevazione è anche la via della gioia più vera, è la sola sorpresa che si rivela a colui il quale, con retta intenzione e con disponibilità incondizionata, decide di rispondere affermativamente alla grande chiamata.
La seconda sorpresa, infatti, è questa: che noi siamo già nell'Essere; e che la strada per arrivarvi è, in definitiva, la stessa cosa che entrare in se stessi; non già perché noi SIAMO l'Essere - come, semplicisticamente, affermano in genere le varie correnti pseudo-mistiche di ispirazione New Age -, ma perché SIAMO PARTE dell'Essere, o, meglio ancora, siamo una EMANAZIONE dell'Essere, che è cosa ben diversa.
Ma allora, che cosa significa il lungo e faticoso cammino, benché rischiarato da una purissima gioia, che si rende necessario a tutti coloro che perseguono lo scopo fondamentale del proprio vivere e del proprio esistere?
Soltanto questo: che l'unità con l'Essere non può  essere assunta come un dato di partenza, e meno ancora come una acquisizione puramente intellettuale; ma che deve scaturire da un personale impegno e da una indefessa ricerca; cose, entrambe, che non si conseguono per via intellettuale, ma attraverso il confronto quotidiano e coraggioso con la vita.
Nella cultura occidentale moderna, esiste il preconcetto che solo la ragione discorsiva possa condurre alla verità; ma è un preconcetto dal quale occorre liberarsi.
Non tutto si può spiegare razionalmente; e ciò che si può spiegare razionalmente, non costituisce il livello più alto della verità.
Perché il livello più alto è, ancora e sempre, l'Amore.