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Sviluppare il divino che è nell’uomo per condurlo alla pace col mondo e con l’Essere

di Francesco Lamendola - 11/11/2009


Abbiamo più volte sostenuto che uno dei problemi più gravi della nostra società è la sua rinuncia a svolgere un qualsiasi progetto educativo; e, peggio, il fatto che in essa svolga la sua opra nefasta una pletora di intellettuali nichilisti, il cui deleterio messaggio ai giovani si somma agli effetti devastanti della tecnologia (televisione, computer, telefonino.)
Pertanto, una possibile ripresa dalla palude in cui siamo sprofondati, passa necessariamente attraverso una rifondazione del discorso pedagogico, a cominciare dal recupero della funzione educante dei genitori, oggi pressoché scomparsa e delegata ad agenzie esterne che non possono né vogliono dare al bambino quelle basi morali e spirituali, oltre che cognitive, delle quali la sua crescita ha sommamente bisogno.
Uno dei testi più straordinari del pensiero pedagogico di tutti i tempi ha visto la luce quasi due secoli or sono, nel 1826: «L’educazione dell’uomo», di Friedrich Froebel (Oberweissbach, Turingia, 1782 - Marienthal, 1852), colui che, attraverso il cosiddetto «Giardino d’infanzia» («Kindergarten») ha concepito e gettato le basi della odierna scuola primaria, riconoscendo in essa il ruolo fondamentale del gioco.
Per Froebel, infatti, il gioco è un’attività importantissima del bambino, come lo è il lavoro per l’adulto; attraverso il gioco, il fanciullo esprime il proprio valore personale, la propria natura individuale, e, al tempo stesso, agisce sul mondo e realizza una prima conoscenza di esso, che lascerà in lui una impronta indelebile negli anni a venire.
Il divino, secondo Froebel, è presente in maniera totale in tutti gli esseri: compito dell’educazione, quindi, sarà proprio quello di riportare alla luce l’impronta divina che giace al fondo di ogni creatura umana, nella prospettiva spiritualista e idealistica propria del Romanticismo tedesco e, in modo particolare, di Schelling.
Evidentemente, Froebel parte da un ottimismo antropologico: per lui, l’essere umano è fondamentalmente buono, così come, schellinghianamente, è buona la natura: perché tutto ciò che è spontaneo è, per ciò stesso, buono; «di una bontà - è stato osservato - più intensa e più piena di quella celebrata nella rousseiana esaltazione della natura, giacché la stessa natura è, per uno spiritualista-idealista romantico, intimamente spirituale» (Giulietti).
Un’altra idea notevolissima di questo pedagogista è che l’educazione non deve essere impostata in senso prescrittivo, non deve essere invasiva, non deve calare dall’alto norme e concetti; ma, al contrario, deve il più possibile assecondare la natura stessa, aiutando gli elementi di verità, innati nel bambino, ad emergere, e piuttosto limitandosi a proteggere e a conservare quei tratti della natura che attendono solo di essere aiutati a venire liberamente in luce, realizzando l’unione dell’individuo con la natura medesima e con Dio.
Riportiamo alcuni passi particolarmente significativi de «L’educazione dell’uomo», affinché il lettore possa farsi un’idea della straordinaria profondità e arditezza della concezione pedagogica di questo pensatore che, a tutt’oggi, meriterebbe di essere maggiormente rucirdato e, soprattutto, letto e meditato (in: Giovanni Giulietti, «Storia antologica della Pedagogia e della Filosofia», Treviso, Libreria Editrice Canova, 1958, vol. III, pp. 61-68):

«In tutto esiste, opera e domina una legge eterna; essa si manifestò e si manifesta sempre in modo egualmente chiaro e egualmente determinato all’esterno della natura, come all’interno, nello spirito, e nella vita che li congiunge entrambi. A fondamento necessario di questa legge, che domina dappertutto, sta una unità, operante dappertutto, chiara a se stessa, vivente, consapevole di sé e perciò eterna; questo fatto è a sua volta, come essa, l’unità medesima, riconosciuto con eguale vivezza, profondità ed estensione, o mediante la fede, o mediante la contemplazione, cosicché anche questa [unità] in tutti i tempi fu riconosciuta, e sempre quindi sarà riconosciuta [sia] dall’animo umano tranquillamente attento, [sia] dallo spirito  umano riflessivo [e] illuminato.
Questa unità è Dio. […]
L’educazione deve assolutamente guidare e condurre l’uomo alla chiarezza su di sé e dentro di sé, alla pace con la natura e all’unione con Dio. […]
Perciò l’educazione, l’istruzione e l’insegnamento debbono necessariamente, fin dal principio e fin nei loro primi elementi, lasciar fare, secondare (solo preservare, proteggere), non prescrivere, determinare, intervenire. […]
Uomini, che vi aggirate per i giardini e i campi, per i prati e i boschi, perché non aprite i vostri sensi a udire ciò che la natura vi insegna nella sua muta lingua? Guardate la pianta, che voi chiamate erbaccia, e che, calpestata e soffocata mentre cresceva, lascia appena intravedere la sua interna conformità a una legge; guardatela nello spazio libero, nel campo e nell’aiola, e osservate quale regolarità essa mostra, che vita interna pura, armonica in tutte le [sue] parti e le [sue] manifestazioni: un modello di sole, una stella raggiante germoglia dalla terra: così, o genitori, i vostri figli, a cui voi imponete la prima forma e la [prima] vocazione, contraria alla loro natura, e che perciò crescono intorno a voi nell’infermità e nell’artificio, potrebbero diventare esseri che già si dispiegano e si sviluppano in tutti i sensi. […]
Il vigoroso e pieno svolgimento [fino alla] perfezione di ogni periodo seguente della vita è fondato sullo svolgimento vigoroso, pieno e particolare di tutti i singoli periodi precedenti. […]
Così l’uomo diviene uomo non per aver raggiunto l’età dell’uomo, ma soltanto perché le esigenze della sua infanzia, della [sua] fanciullezza e della [sua] giovinezza sono state soddisfatte da lui fedelmente. […]
Anche dei bambini è il regno dei cieli; essi, infatti, seguono volentieri, ingenuamente fidenti, quando non lio disturbi la saccenteria e la stravaganza degli adulti, l’impulso che in loro opera, [e] che li spinge alla creazione di forme e all’attività. […]
Come è di grande importanza l’educare per tempo alla religione, altrettanto importante è l’educare per tempo alla schietta attività operosa, alla laboriosità. Il lavoro [esercitato] per tempo, in armonia col suo intimo significato, rafforza e innalza la religione. La religione senza l’attività operosa, senza il lavoro, corre il rischio di diventare vuota fantasticheria, vana esaltazione, fantasma privo di consistenza, così come il lavoro, l’attività operosa senza la religione rende l’uomo una bestia da soma, una macchina. […]
Gioco e parola sono l’elemento nel quale il bambino ora vive; perciò il bambino, in questo grado dello sviluppo umano, attribuisce ad ogni cosa la capacità di vivere, di sentire, di parlare, e crede che ogni cosa oda;M appunto perché il bambino comincia a rappresentare esternamente il suo interno, egli suppone un’eguale attività in tutto ciò che lo circonda, si tratti di una pietra o di un pezzo di legno, oppure di una pianta, di un fiore o di un animale. […]
Il gioco è il più alto grado, in questo periodo, dello svolgimento infantile, dello svolgimento umano: è infatti la libera rappresentazione dell’interno, la rappresentazione dell’interno per la necessità e il bisogno dell’interno stesso. […]
Le fonti di ogni bene sono in esso [nel gioco] riposte,m e da esso scaturiscono; un bambino che gioca con bravura, spontaneamente tranquillo, perseverando fino alla stanchezza fisica, diventerà certamente anche lui un uomo bravo, tranquillo, perseverante, che promuoverà [anche] con sacrifici il bene degli altri e il proprio. Non è [forse] la più bella manifestazione della vita infantile di questo periodo il bambino che gioca? Il bambino che nel suo gioco è tutto  assorbito? Il bambino addormentatosi  nel suo completo assorbimento nel gioco?
Il gioco in questo periodo non è un [semplice] trastullo; esso ha un’alta serietà e un profondo significato; tu, o madre, prendine cura, alimentalo; tu, o padre, difendilo, proteggilo! Allo sguardo sereno e penetrante dello schietto conoscitore di uomini, nel gioco liberamente scelto dal bambino, in questo periodo, appare manifesta la sua futura vita interiore. I giochi di questa età sono i germi di tutta la vita futura; poiché in essi tutto l’uomo si svolge e si mostra nelle sue disposizioni più fini, nel suo intimo sentire. Tutta la vita futura dell’uomo, fino all’ultimo istante, ha la sua origine in questo periodo.[…]
Il fanciullo vuole conoscere l'interno della cosa, tendenza che il bambino non si è data da sé; tendenza che, rettamente intesa e rettamente guidata., cerca di riconoscere Dio in tutte le sue opere e lo spinge in questa direzione. Colui, a cui Fio già dide a questo scopo intelletto, ragione e linguaggio, [quando] le persone più grandi che lo circondano non gli danno soddisfazione del suo impulso, e non sono in grado di dargliela, ,dove altro può e deve cercarla, se non nella cosa stessa?  Certo la cosa, anche ridotta in pezzi, rimane muta;  ma non mostra essa, là [per esempio] la pietra frantumata, qui il fiore lacerato, nei suoi frammenti, subito, parti omogenee od eterogenee, e non è questo già un allargamento della conoscenza? [Forseché] noi adulti aumentiamo in altro modo la nostra conoscenza?[…]
Per scuola non s'intende qui affatto né l'aula scolastica, né il tenere una scuola, bensì la partecipazione delle conoscenze, in modo consapevole, per uno scopo di cui si è consapevoli, e connesse consapevolmente e intimamente. […]
L'arrampicarsi su di un nuovo albero per il fanciullo costituisce la scoperta di un nuovo mondo; la vista di lassù fa vedere tutto in modo completamente diverso dalla nostra solita visione laterale che raggruppa e sosta [gli oggetti]; come tutto allora  è chiaro sotto [lo sguardo del] fanciullo!
Non è meno significativa, né meno contribuisce alo svolgimento del fanciullo, la tendenza a discendere nelle caverne e nei burroni, a passeggiare nell'ombroso boschetto e nell'oscura foresta; è il desiderio di cercare e trovare ciò che ancora non è stato trovato, il desiderio di vedere e di imparare a conoscere ciò che ancora non è stato visto; è il desiderio di portare alla luce e vicino a sé ciò che si trova nell'oscurità e nell'ombra, di appropriarsene. […]
Così lo spirito unificatore del fanciullo riunisce, poggiando però su se stesso, ciò che gli viene vicino [ed è] conforme al suo essere, ai suoi bisogni e al suo stato interiore, [riunisce] pietre e uomini aduno scopo comune per un'opera comune, e così ciascuno si forma presto un suo proprio mondo; poiché il sentimento della propria forza determina ed esige presto anche il possesso di uno spazio proprio, e di un materiale proprio che particolarmente gli appartenga. Sia [pure] il suo regno, il suo dominio, quasi il suo territorio un angolo del cortile, della casa o della stanza, sia lo spazio di una scatola, di una cassa o di un armadio, o sia una caverna, una capanna, un giardino: egli, l'uomo, il fanciullo in questa età deve avere un punto esterno, possibilmente da lui stesso creato, da lui stesso scelto, di riferimento e di unificazione della sua attività. […]
Lo scopo dell'istruzione è di far comprendere [allo scolaro] l'unità di tutte le cose, e che tutte le cose riposano, sussistono e vivono in Dio, perché egli possa, a suo tempo, agire e operare nella vita in conformità di questa comprensione. […]
[Il maestro] deve mostrare e fare intendere a sé e agli altri  l'interna, spirituale essenza delle cose. […]
Solo il mettere in risalto l'Uno eternamente vivo che è in tutte le cose rende la scuola scuola, non l'insegnare e il comunicare una varietà e una molteplicità come tale. Poiché pero quello viene oggi tanto spesso dimenticato e trascurato, ci sono oggi tanti insegnanti e così pochi maestri, tanti istituti d'insegnamento e così poche scuole. […]»

La chiarezza, la freschezza, la profondità dell'ispirazione pedagogica froebeliana sono così schiette, così vive, così lampanti, che non stupisce come esse abbiano portato davvero nuova linfa al campo già quasi disseccato del pensiero educativo moderno; la sua feconda lezione è ravvisabile nei cento e cento rivoli in cui si suddivide la pedagogia del XIX e XX secolo, fino all'antroposofia di Rudolf Steiner ed oltre.
La sua idea che il bambino, giocando, appartandosi in un suo spazio «magico», immergendosi nella freschezza della natura, scopra il mondo e, al tempo stesso, scopra il divino che è in lui, è un'idea grande: una di quelle idee che gettano un raggio di vivida luce nella storia del pensiero, e che contribuiscono vigorosamente allo sviluppo armonico dell'individuo, rispettandone l'intima essenza e valorizzando la sua parte migliore.
Di quanti moderni sedicenti pedagogisti e pretesi educatori, si potrebbe dire altrettanto? Già il fatto che il concetto ed il termine stesso di «pedagogia» siano stati sostanzialmente banditi dalle scuole superiori e dalle università, per essere sostituito dall'espressione, generica e pretenziosa, di «scienze dell'educazione», la dice lunga in proposito. Par di sentire le parole sagge e ammonitrici di Friedrich Froebel: nella nostra società abbondano gli insegnanti, ma - purtroppo - scarseggiano i maestri, i veri maestri!
Sono in molti a riempirsi la bocca di parolone, a cominciare dai vari ministri della Pubblica Istruzione (di destra e di sinistra, non c'è differenza), i quali, ad ogni cambio di governo, sembrano presi dalla smania di far vedere che hanno già belle e pronte chissà quali riforme da realizzare, cancellando con un colpo di spugna quanto fatto dai propri predecessori. Ma di un vero progetto educativo, non si vede traccia: e basta girare cinque minuti all'interno di una qualsiasi scuola italiana, specialmente media e superiore, per rendersene conto.
Nelle case, nelle famiglie, le cose vanno, se possibile, ancora peggio: molti genitori, tutti presi dagli impegni di lavoro (e, diciamola tutta, anche da altri impegni, di natura privata), sembrano non avere più il tempo, e soprattutto la vocazione, per occuparsi in prima persona dell'educazione dei propri figli, che delegano agli asili nido, alle baby sitter, o - peggio - alla televisione, ai videogiochi e magari ai computer (sì: ci sono bambini di quattro anni che già navigano in Internet, con l'assenso distratto dei genitori).
Si dirà che questa è una conseguenza inevitabile della vita moderna. Forse; ma è bene ricordare sempre che ciò di cui il bambino ha bisogno non è il tempo quantitativo, che molti genitori non potrebbero più dargli in alcun modo, neanche con tutta la buona volontà di questo mondo; ma il tempo qualitativo, che è suscettibile di compensare ore ed ore di assenza materiale. Ad esempio, anche il genitore più indaffarato potrebbe, e dovrebbe, trovare cinque o dieci minuti, alla sera, per sedersi sul bordo del letto del proprio figlio, e leggergli o, meglio ancora, raccontargli una storia, inventandola sul momento. Ciò fa estremamente bene al bambino, e sotto un duplice aspetto: perché ne stimola la fantasia e la creatività, e perché rinsalda potentemente il suo legame affettivo con il padre e la madre.
Tornando a Froebel, si sarà notato che la sua pedagogia è frutto e conseguenza di una concezione antropologica ottimista, basata sulla fiducia nella intrinseca bontà della natura e nella perfettibilità dell'essere umano, solo che si assecondi il suo naturale movimento spirituale verso la propria interiorità, sede del divino che è in lui.
Ottimista era Comenio, ottimista era Rousseau, ottimista anche Froebel: se non si ha fiducia nella intrinseca bontà dell'uomo e nella sua capacità di innalzarsi verso il divino, trovando, al tempo sesso, la pace con la natura, non si può costruire alcuna pedagogia efficace, alcun vero progetto educativo.
Ebbene, si faccia un confronto con la mentalità diffusa nella società odierna, e largamente condivisa dalla cultura «ufficiale» (razionalista, materialista, utilitarista, riduzionista). La pace con la natura è una chimera: abbiamo dichiarato guerra alla natura, sulla base del Vangelo di Francesco Bacone e di Cartesio. Abbiamo abolito il divino, proclamando fin dai tetti la morte di Dio e relegando la fede tra le anticaglie di un passato oscurantista e reazionario (Marx, Freud). Quanto al gioco, così importante - secondo Froebel - per l'infanzia, di fatto lo abbiamo abolito: mandando i bambini a scuola sempre più presto, e mettendo ad essi fra le mani dei giochi elettronici che giocano al posto loro, lasciandoli muti e inebetiti spettatori. Le fiabe, poi, chi le racconta più? Non vediamo l'ora di spifferare ai nostri bambini che le fate non esistono, e che Babbo Natale è solo una finzione; altro che sviluppo della fantasia e della creatività!
Quanto all'essere umano come tale, la cultura oggi dominante, sulla scorta di Darwin e di Freud, ci insegna che è un prodotto del caso, che a caso egli vive, e che a caso va incontro alla distruzione totale e irrimediabile della morte.
Come è possibile trasmettere ai bambini una visione armoniosa di se stessi, della vita e del mondo, sulla base di una tale filosofia nichilista?
Come è possibile trasmettere loro dei valori positivi, la fiducia nel domani, la speranza e l'amore verso tutti i viventi, nessuno escluso?