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L'ornitologo e la baronessa. Il caso D'Alema e la vittoria del "partito americano"

di Leonardo Mazzei - 24/11/2009

Fonte: campoantimperialista

   
 
 

Una Unione sempre meno credibile, un continente sempre più in declino

Dalle nomine di Bruxelles – l’UE sceglie così i suoi vertici, alla faccia di quella democrazia di cui ama farsi gran vanto – esce un’Europa piccola piccola, ed anche un po’ ridicola. Con trucchi, promesse e ricatti di ogni tipo (vedi Colpirne uno per educarne cento) le oligarchie europee hanno sì incassato l’approvazione del Trattato di Lisbona, dimostrandosi però incapaci di darsi una leadership adeguata.
«L’ornitologo poeta e la baronessa elogiata dai gay», sono questi i punti di merito evidenziati da un titolo del Corriere della Sera dedicato al primo presidente del consiglio della UE, il belga Van Rompuy, ed alla lady Pesc, l’inglese Ashton.


La scelta del basso profilo

Il «basso profilo» di questa scelta è stato messo in evidenza da tutta la grande stampa europea, con un misto di delusione, ironia e rassegnazione. Evidentemente le classi dominanti del continente conoscono bene i limiti e le contraddizioni dell’Unione; uno strumento del tutto funzionale ai loro interessi, ma fortunatamente incapace di strutturarsi politicamente in maniera credibile.
Tra i tanti commenti rilasciati in questi giorni, particolarmente significativo ci pare quello del direttore di Limes Lucio Caracciolo, apparso sul Sole 24 Ore del 20 novembre:
«Le nomine del premier belga Van Rompuy e dell’inglese Ashton fotografano in maniera plastica l’inconsistenza attuale dell’Europa come attore sulla scena internazionale. Se avessimo lasciato le sedie vuote sarebbe stato meglio. Le scelte sono emblematiche: dopo una discussione estenuante si è arrivati a un risultato minimale. In questo mercato delle vacche è stata evidente la mancanza di spirito comune. I paesi che contano davvero considerano l’Europa un fatto meramente tecnico. Una resa proprio nel momento in cui il viaggio di Obama sposta l’asse geopolitico sulla rotta Cina-Usa. Del resto, nessun leader mondiale parlando con il signor Van Rompuy o con la signora Ashton penserebbe di trattare con l’Europa».


Il sacro diritto inglese e la sudditanza a Washington

Questo giudizio, netto e tagliente, inquadra quasi alla perfezione l’attuale condizione dell’UE. Il «quasi» non è dovuto però ad un particolare secondario. Caracciolo infatti tocca l’aspetto geopolitico, di fatto incentrato sul rapporto con gli Usa, ma ravvede nelle scelte di Bruxelles solo l’elemento della debolezza, omettendo invece quello della sudditanza.
Se il direttore di Limes non poteva essere più esplicito, è da rilevare la solita miseria dei commenti della stampa di “sinistra”, incentrati sulle beghe nel Partito Socialista Europeo (PSE), o sulla presunta mancanza di sostegno di Berlusconi alla candidatura di D’Alema. Per costoro tutto si è svolto nel cortile europeo, se non addirittura nei vari pollai nazionali. Ovviamente le cose sono andate anche così, ma ridurre questa partita ad una sola questione di poltrone è un atteggiamento provinciale nella migliore delle ipotesi, furfantesco in quella più probabile. Si dà infatti il caso che la questione del rapporto con la superpotenza americana sia diventata, con la presidenza Obama, una sorta di impronunciabile tabù.

Chi ha seguito con un minimo di attenzione la vicenda che ha portato alle nomine di giovedì scorso sa che c’è sempre stato fin dall’inizio una sorta di dogma: uno dei due posti al vertice doveva andare in ogni caso ad un inglese. Prima si è provato ad imporre Blair alla presidenza del consiglio, ma questo sarebbe stato un po’ troppo per le potenze continentali, poi si è ripiegato sulla subordinata di un britannico all’incarico di mister Pesc, proponendo allo scopo ben due candidati, l’attuale ministro degli esteri Miliband e la baronessa Ashton, che alla fine l’ha spuntata.

E’ da notare che l’incarico di mister, ora lady Pesc, non è necessariamente meno importante di quello di presidente del consiglio. Dietro l’astrusa qualifica di Mister Pesc c’è infatti l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza (dunque una sorta di superministro degli esteri e della difesa), al tempo stesso vicepresidente della Commissione europea.
Che un simile incarico sia toccato all’Inghilterra – oltretutto nella persona di una figura di secondo piano, e dunque ancor più manovrabile – può essere considerato un caso frutto delle contorte procedure europee? Detto in altri termini, vogliamo pensare che su questa scelta non abbiano pesato le pressioni e le preferenze dell’altra sponda dell’Atlantico?
Quel che sappiamo è che sulle grandi questioni della politica internazionale (inclusi gli aspetti militari) Gran Bretagna e Stati Uniti si muovono come un sol uomo. Londra segue sempre Washington, il Foreign Office segue sempre il Dipartimento di Stato, i soldati di Sua Maestà britannica seguono sempre i marines in ogni aggressione ad ogni latitudine.
Questo è quel che conta, e non sarà di certo un caso se una semisconosciuta signora, voluta dal meno europeo dei paesi della UE, guiderà la politica estera e della difesa dell’Unione.


Quei millimetri che hanno fregato D’Alema

Come noto, abbiamo una pessima opinione del mancato mister Pesc, al secolo Massimo D’Alema.
Non solo per la sua storia politica (del resto comune a tutto il gruppo dirigente del Pci degli anni ‘80) che lo ha portato al servizio delle peggiori oligarchie nazionali, ma soprattutto per le scelte concrete operate dal governo da lui presieduto dall’ottobre 1998 all’aprile 2000. E’ in quel ruolo che D’Alema si guadagnò per l’eternità i titoli di bombardatore della Jugoslavia, esaltatore del ruolo globale della Nato, privatizzatore di tutto il privatizzabile.
Ma non è certo per questi titoli che gli è stata preferita una baronessa inglese. 
In ultima istanza tutta la classe politica europea è subalterna agli Usa. Ma all’interno di questa subalternità esistono delle differenze, generalmente delle piccole sfumature, spesso questione di millimetri nel grado di allineamento agli Stati Uniti.
Millimetri che però a Washington non sfuggono. E’ per questo banale motivo che chi scrive non ha mai creduto alle chance di Massimo D’Alema quale mister Pesc.
Millimetri che hanno riguardato in particolare il Medio Oriente, area sensibile dove oltre agli americani non manca mai di far sentire la sua voce il sionismo internazionale.
Sono gli stessi millimetri che quasi 20 anni fa costarono l’esilio esterno a Craxi e quello interno ad Andreotti, che pure (al pari di D’Alema) non si erano certo iscritti a qualche club antiamericano.


La necessaria lotta contro l’Unione Europea

Anche la bocciatura di D’Alema, più precisamente le ragioni che l’hanno determinata, ci dicono qual è lo stato dell’Unione Europea. In particolare ci indicano la linea delle oligarchie del continente che, ancor di più oggi, spaventate dalla crisi, vedono come unica possibilità di resistere al declino quella di mettersi completamente sotto l’ala protettrice di Washington.
Il Trattato di Lisbona servirà dunque alla costruzione di un’Unione ancor più antidemocratica, ancor più liberista e privatizzatrice, ancor più sprezzante verso i popoli ed i loro diritti; ma non porterà di certo (come invece pensano alcuni, magari su sponde politiche contrapposte) all’edificazione di una potenza politica in grado di parlare alla pari con gli Stati Uniti.

Contro questa Europa antisociale e filo-americana è necessario riprendere la lotta. E’ necessario per difendere le conquiste sociali e le condizioni di vita di vasti settori popolari che stanno progressivamente slittando verso la povertà. Ma è necessario anche per riconquistare la sovranità nazionale, che oltretutto è stata sottratta ai singoli stati solo per essere riconsegnata sotto la veste europea ai padroni d’oltreoceano.