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Il punto debole del web (che pochi vedono)

di Riccardo Notte - 23/12/2009

Fonte: secoloditalia

 
 


Sì, ma che fine ha fatto la famigerata influenza A, terrore delle famiglie italiane per mesi e mesi? Neanche un mese fa non si parlava d'altro. Telegiornali e quotidiani stilavano avvilenti bollettini dei decessi sospetti, inseguivano a un di presso gli scienziati di mezzo mondo impegnati in frenetiche ricerche, aggiornavano ogni due minuti le risposte del governo. E poi armate di Topi Gigi arruolati nelle pubblicità-progresso prodigavano geniali consigli sulla migliore profilassi. Roba tipo: soffiarsi il naso quando si ha il moccio, starnutire nel fazzoletto di carta usa e getta, lavarsi spesso le mani e consultare il medico in caso di tosse e di febbre.
Infine, plotoni di esperti affollavano le trasmissioni televisive e le pagine dei quotidiani nazionali, da Unomattina allo speciale sulla salute del Corriere della Sera, in un crescendo da vera e propria psicosi collettiva che ricordava Il grande contagio, il noto romanzo fantasy sulla pandemia universale di Charles Eric Maine. Naturalmente il web non era da meno, anzi, rincarava la dose almanaccando perfino su oscuri complotti internazionali e anche su ipotetici virus sperimentali fuggiti da segretissimi laboratori; tutto questo e altro ancora democraticamente affiancato ai forum di mamme preoccupate o ai blog su come procurarsi il miglior kit di protezione delle vie respiratorie. Poi più nulla. Di botto, o quasi.
In realtà nulla di strano. È accaduto quello che accade da sempre nel media system, dove le notizie sono ferramente incatenate all'agenda e in cui (sulle lunghe distanze temporali) l'escalation informativa è possibile sono a patto che vi corrisponda una reale escalation dei fatti. Altrimenti, dopo un periodo più o meno ampio, la notizia purtroppo non fa più notizia, e si deve giocoforza passare ad altro, anche perché nel vasto mondo le novità incalzano. Tutto questo offre materia per una riflessione legata alla cronaca. I noti fatti recenti hanno infatti posto al centro della discussione la "necessità", l'"opportunità" o la "convenienza" di porre un freno all'invadenza mediatica del web e in particolare dei social network. Fluviali pareri "pro" e "contro" hanno di volta in volta elevato Facebook, Twitter, MySpace o Netlog a istigatori della violenza collettiva, oppure a paladini delle libertà. Si è straparlato di rete di "destra" o di "sinistra" (come se la rete potesse avere una sua intrinseca specularità politica!), e sono volate parole grosse da ambo le parti. Troppo grosse.
Solo alcuni hanno opportunamente commentato che chi pensa di intervenire sulla rete semplicemente non conosce la rete. Benissimo. Perfetto. Ma in che senso?
Ebbene, il laboratorio mediatico che sperimentiamo giorno dopo giorno mostra da tempo alcune peculiarità. Innanzitutto bisogna sfatare l'idea che il web, e in particolare al suo interno la galassia dei social network, sia un propulsore di sentimenti collettivi, se non addirittura di impetuosi marosi ideologici capaci di sovvertire equilibri politici o perfino interi governi. Il web può essere senz'altro sbalorditivo e fulmineo veicolo di notizie o di situazioni, e può essere anche un potente medium politico in occasione delle elezioni, a patto che si conoscano e si adoperino correttamente i segreti del viral marketing, ma in quanto a tenuta emotiva esso vagola affannosamente dietro alla televisione, e perfino ai giornali. Possibile? Possibile!
E infatti il web non ha una sua estetica. Questo il punto. Esso ne ha forse diecimila, quindi nessuna. Esattamente l'opposto della tv, che per sua intrinseca natura non può fare a meno di rivestire un personaggio, o un evento, anche se improvviso, inaspettato, di una sua precisa connotazione sensoriale universalmente riconoscibile.
Ma allora il web cosa fa? Esso corregge la tv, e in certa misura anche i giornali quotidiani. Se certi personaggi, determinati avvenimenti o specifici riti riescono a far vibrare nel bene o nel male le corde del pubblico televisivo, essi provocheranno l'immediata e ancorché affannosa risposta del web. Più le risposte sono varie e accese, più la tv (ma in misura diversa anche la stampa) sa di avere colpito nel segno. Così anche i social network, i quali confermano o smentiscono ciò che è all'ordine del giorno, ma più spesso fanno entrambe le cose, e insieme, in ogni caso correggendo il tiro della televisione e della stampa.
Tuttavia, sono sempre gli ultimi due campi che danno il ritmo al terzo campo, quello virtuale. Come un tempo l'esercizio quotidiano e popolare dell'oralità correggeva i vincoli inflessibili della scrittura, così oggi il web, lasciando trapelare le innumerevoli e varie reazioni dei più, corregge la comunicazione esteticamente univoca della tv, o quella ideologicamente inquadrata della stampa. Ed ecco perché, una volta spenta la breve luce dei riflettori, anche all'argomento all'ordine del giorno nelle community online tocca dormire un fatale sonno eterno.