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Di cosa ci parla la Grecia

di Leonardo Mazzei - 23/12/2009

Fonte: campoantimperialista

  
 
Da una crisi economica che inizia a far male alla possibile esplosione sociale Una settimana fa il vento della rivolta ha ripreso a soffiare su Atene. L’occasione è stato il primo anniversario dell’uccisione di Alexandros Grigoropoulos da parte della polizia, ma sbaglieremmo a non cogliere nella rabbia dei giovani greci il segno di una crisi che si cercherà di scaricare sempre più sulle classi popolari.

«Inflazione, disoccupati, debito. Grecia a rischio infarto sociale», è stato il titolo allarmato del Corriere delle Sera che ha proposto un’analisi di Antonio Ferrari che riconosce come causa della protesta «la rabbia per una crisi economica quasi segreta, nel senso che la classe politica aveva cercato di nasconderla, cullandosi su cifre e proiezioni non corrette. Ora che la crisi morde dolorosamente la vita quotidiana dei greci, con una tempesta di licenziamenti, con l’impennata dei prezzi e l’incubo di misure draconiane, si è creato un drammatico corto circuito, quasi un infarto sociale».

Se questa è la situazione, quali saranno gli sviluppi? E, più in generale, di cosa ci parlano gli avvenimenti greci?   La mina del debito pubblico Già da tempo abbiamo rilevato (vedi L’interessato partito degli “ottimisti” <http> ) come la questione del debito pubblico tendesse a diventare esplosiva, come conseguenza dello scaricamento di una quota gigantesca del debito privato nei bilanci pubblici europei ed americani.
Un tema che governi, media ed oligarchie finanziarie hanno teso ad omettere, salvo richiamarlo di tanto in tanto per enunciare la necessità di una exit strategy da avviare però in tempi (economicamente) migliori.
In Grecia il governo di destra presieduto da Kostas Karamanlis – in carica fino alla sconfitta nelle elezioni dello scorso ottobre –  ha fatto anche di più, imbrogliando grossolanamente sui dati del deficit statale. Karamanlis dichiarava (e comunicava ufficialmente a Bruxelles) un rapporto deficit/Pil del 3,9%, mentre la realtà era di un rapporto del 12,9%.

Difficile che i custodi della stabilità monetaria europea non si fossero accorti di un falso simile, più probabile che abbiano taciuto per motivi politici e per non creare allarme nel momento in cui si vorrebbe far passare il messaggio dell’uscita dal tunnel della crisi. Sta di fatto che ora l’allarme è scoppiato, facendo salire pesantemente gli interessi sui bond greci, causando il declassamento del rating del Paese, provocando il crollo della Borsa, diffondendo la preoccupazione su un possibile default modello Argentina 2001.
Quest’ultima ipotesi viene ovviamente smentita dal nuovo governo presieduto da George Papandreou del Pasok, ma lo stesso primo ministro – vedi La Stampa del 10 dicembre – è stato costretto ad usare toni ben poco rassicuranti: «La Grecia si trova nel reparto di cure intensive» e la crisi ne minaccia «la sovranità per la prima volta dal 1974» (anno della fine del regime dei “colonnelli” – ndr).
Il perché di questo riferimento alla sovranità è chiaro. Papandreou si appresta a varare un pesantissimo piano di risanamento, da presentare all’Unione Europea entro gennaio.
La Banca centrale europea (Bce) ha già fatto sentire la sua voce per bocca del presidente Trichet che ha espresso «fiducia che il governo greco prenderà nel futuro prossimo le misure coraggiose e necessarie che si impongono». Se l’Europa parla chiaro, ancora più dura è la Germania che ha una pesantissima esposizione finanziaria verso la Grecia (giova ricordare che sui 300 miliardi di euro dei titoli di stato greci, ben 200 sono in mano straniera). Il capo della Bundesbank, Weber, ha tuonato senza mezzi termini che la Grecia ha un anno per riportare sotto controllo i conti pubblici.

Ma l’ipotesi più grave, che pare circoli in ambienti dell’UE, sarebbe quella di mettere in mano la partita al Fondo monetario internazionale (Fmi), che notoriamente fornisce prestiti solo a fronte di tagli draconiani della spesa pubblica.
Il governo Papandreou respinge questa possibilità, ma è costretto ad invocare il rischio di perdere la sovranità nazionale proprio per far passare misure altrettanto impopolari benché decise ad Atene anziché a Washington.
La partita geopolitica... In mezzo a questo bailamme di cifre, minacce, impegni ed incertezze si gioca anche un’altra partita.
A rilevarlo su La Repubblica del 10 dicembre è il direttore di Limes, Lucio Caracciolo.
Secondo Caracciolo la Grecia sarebbe una sorta di cartina di tornasole dei nuovi equilibri mondiali. Una prova per quello che viene chiamato G2 (il rapporto speciale Usa-Cina) ed in particolare per le ambizioni cinesi. Una prova per l’Unione Europea, che l’autore considera però sostanzialmente fuori dai giochi.

Di cosa si tratta in concreto? Pare che in questi giorni la linea telefonica Atene-Pechino sia caldissima, soprattutto quella tra gli uffici del governo greco e quelli di Bank of China. In ballo ci sarebbe la disponibilità cinese ad acquistare 25 miliardi di bond, sui 47 che Atene dovrà emettere nel corso del 2010. Per capire la portata di queste cifre basti dire che, in rapporto alla dimensione economica del paese, sarebbe come se l’Italia dovesse emettere titoli per circa 350 miliardi di euro!
La Cina dunque si offre, al posto di un’esangue Europa, per il salvataggio della Grecia. Ma questo, ovviamente, ha un prezzo. Secondo la ricostruzione di Caracciolo i cinesi punterebbero al controllo del porto del Pireo, oltre ad alcuni “bocconi buoni” nel settore industriale.
La cinese Cosco Pacific Ltd. gestisce già due moli del Pireo, ma un controllo più forte farebbe del porto greco il principale snodo d’accesso delle merci cinesi verso l’Europa. Per evidenti ragioni geografiche il Pireo risulterebbe infatti assai meno costoso rispetto a Le Havre, Amburgo e Rotterdam.

Il direttore di Limes ritiene anche che l’operazione cinese possa avvenire con la partecipazione di due banche americane, Goldman Sachs e JP Morgan. Come dire, tutto è possibile ma è escluso che sia l’Europa a giocare il ruolo principale.
E quella sociale... Se la partita geopolitica è tuttora incerta, più sicuro è il massacro sociale che si sta preparando. Nel mirino, tra le altre cose, pare ci sia in particolare il sistema pensionistico.
La cosiddetta “generazione 700 euro”, cuore delle proteste dell’ultimo anno, verrà colpita ancora più pesantemente. Come reagirà? Come risponderanno i giovani che vedono ormai con chiarezza un futuro sempre più incerto?

Le oligarchie europee non lo dicono, ma la preoccupazione per una possibile esplosione sociale non è certo minore a quella di nuovi crac finanziari a catena. Da questo punto di vista la Grecia sarà probabilmente un laboratorio che aiuterà a comprendere cosa potrà avvenire altrove. Un piccolo laboratorio, certo, ma sicuramente indicativo dei sommovimenti sociali che stanno maturando nel continente. 
A chi parla la Grecia? L’importanza delle vicende di questi giorni va dunque ben oltre i confini della penisola ellenica. La Grecia parla all’Europa, specialmente ai paesi che più gli somigliano per situazione economica, contesto sociale e tradizioni politiche.
Sul versante del debito pubblico due paesi in particolare sono sotto la lente d’ingrandimento: la Spagna, il cui rating è in via di declassamento; e l’Irlanda, dove il governo ha deciso nei giorni scorsi tagli per 4 miliardi di euro alla spesa pubblica (l’equivalente di 60 miliardi, rapportati all’Italia), colpendo il welfare e riducendo i salari dei dipendenti statali. Secondo la classificazione proposta dall’ultimo bollettino della Bce, tra i sedici paesi dell’eurozona ben otto sono da considerarsi a rischio elevato: Spagna, Grecia, Irlanda, Cipro, Malta, Olanda, Slovenia e Slovacchia. Altri sette sono invece classificati a rischio medio: Italia, Germania, Belgio, Francia, Lussemburgo, Austria e Portogallo. L’unico paese giudicato a rischio basso è la Finlandia.
Difficile valutare l’attendibilità di questa classifica, che ci dice comunque quanto sia delicata la situazione delle finanze europee. In quanto alla situazione dei conti pubblici italiani, basta limitarsi ad un semplice raffronto con quelli greci per capire cosa ci aspetta. Se il rapporto debito/Pil di Atene è attorno al 125%, quello del nostro paese è ormai al 116%, mentre in termini assoluti il debito pubblico è circa 6 volte superiore a quello greco.

Non passerà molto tempo prima che si ricominci a parlare di austerità e sacrifici.
Sacrifici che verranno chiesti esclusivamente alle classi popolari, così come avvenne con le finanziarie per Maastricht degli anni ’90. Ma a differenza di allora c’è rimasta ben poca spesa sociale da spremere e quasi niente da privatizzare. La conseguenza sarà inevitabilmente un massacro sociale di proporzioni ben più pesanti. E’ anche per questo che le oligarchie dominanti vanno preparando un nuovo governo che possa gestire una politica economica d’emergenza.

Questa volta, però, non si illudano troppo sulla pace sociale. Stanno tirando la corda da troppo tempo, e ad un certo punto potrebbe spezzarsi. Ce lo dicono tanti segnali. Del resto, se la credibilità della coalizione berlusconiana tende sempre più verso il basso, quella della classe politica che verrà chiamata a sostituirla non gode certo di maggior consenso.
Dopo tanti anni di letargia è probabile che il conflitto sociale riemerga in Italia ed in Europa. Anche di questo ci parla la Grecia. Anche per questo lorsignori non sono troppo tranquilli.