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Schiavi di un’opinione

di Andrzej Stasiuk - 20/01/2010

 

Andy Warhol (oggi le citazioni mi riescono particolarmente bene) disse che arrivano tempi in cui ognuno potrà essere celebre per un quarto d'ora. In sostanza aveva ragione. Si sbagliava solo su un punto: non si tratta di celebrità, si tratta dell'esistenza, di quell'attimo inestimabile nel quale vieni visto dagli altri e la tua vita, per qualche momento, acquista senso. E per essere visto in questo sconfinato spazio informatico (e in ogni modo perché a te sembri che gli altri ti vedono) devi assumere una qualche forma individuale, devi dare a intendere che ti differenzi in qualcosa e, in genere, che vivi. Dunque ti alzi al mattino, ti fai il caffè, accendi il computer e controlli cosa sia successo di interessante al mondo nel corso della notte. E in calce a ogni avvenimento, sotto al racconto dell'ennesima strage o carestia, sotto al riassunto dell'ultima impresa di qualche politico ritardato, sotto alla relazione di come qualcuno si è ingrandito le tette oppure il pene trovi il magico invito: "Scrivi un commento…". Sembra trattarsi di una sorta di Padre nostro contemporaneo, di invocazione mattutina: "Eccomi! Mi sentite? Ho le mie opinioni, le mie idee! Non sono un contadinotto arretrato e partecipo alla vita del mondo, ho la mia opinione al riguardo!".

Anche io la mattina mi preparo il caffè, ascolto gli uccelli, guardo la nebbia nella valle e poi comunque accendo il computer e controllo cosa ha combinato il mondo durante la notte e a cosa oggi mi invita. Oggi ad esempio mi chiede di esprimere 'un mio commento' riguardo alla sconfitta del pugile Andrzej Golota o che tradisca 'cosa penso' dell'esaurirsi delle riserve petrolifere. Domani avrò la possibilità di condividere la mia opinione riguardo alla crocifissione di Cristo. Avevano ragione i romani oppure no? Tutto sta a indicare che una persona intelligente o che desideri in ogni caso conservare tale giudizio di sé dovrebbe temere come la peste il possesso di un'opinione personale. Dovrebbe stare bene alla larga dall'avere un parere.

Siamo costretti con il terrore a prendere posizione. Si tratta ovviamente della posizione altrui e la nostra singola voce serve soltanto a elaborare statistiche di visibilità, popolarità, vendibilità, eccetera. La libertà alla quale ci obbligano, la celebrata libertà di scelta, è in sostanza solo un'ulteriore schiavitù. Devi avere un parere proprio, devi essere o progressista o reazionario, devi essere di destra o di sinistra, devi scegliere fra l'omofobia e l'omofilia, devi essere a favore oppure contro. Ma si tratta di una scelta falsa e morta. Non ha nulla a che fare con la vita.

A volte ho l'impressione che possedere un'opinione sia la trovata esistenziale di impotenti, di torbidi buoni a nulla, che debbono ininterrottamente esprimere un proprio parere perché la realtà li terrorizza e li sovrasta. Riescono a esistere solamente nel mondo delle proprie opinioni, e non nel mondo composto da colori, odori, forme ed esperienze. È ovvio che alla fine mi venga in mente ancora una citazione, forse di uno scrittore giapponese (Mishima Yukio?). Una citazione che, così come le due precedenti, sottoscrivo con piacere: "Non ho opinioni. Ho i nervi".

traduzione di Laura Mincer