Chi era per davvero il "giovane Holden"?
di Roberto Alfatti Appetiti - 31/01/2010
Quando cinque anni fa la grande stampa si accorse che Salinger e Il giovane Holden stavano a pieno titolo dentro l'immaginario di chi legge questo nostro giornale si trattò di un piccolo evento. In qualche modo attraverso Salinger si scoperchiò quella conventio per cui i ragazzi di destra leggevan
La nostra impressione è stata che in fondo i coccodrilli era già belli che pronti. Ahmm. Non rimaneva che fargli indossare una delle tante definizioni che gli hanno cucito nel tempo. Alcune più originali, altre meno. La Greta


Affiora la nostalgia, per quel che avrebbe potuto essere e non è stato. Per quel che Salinger avrebbe potuto scrivere, se non avesse deciso – a soli 35 anni – di congedarsi dal mondo lasciando tutti lì a interrogarsi. Nell’era del sequel, degli ultimi baci che però non sono gli ultimi e in cui un Rambo ormai vicino alla pensione rischia di spezzarsi il collo per aggiungere un’altra tacca – e qualche decina di comunisti da ammazzare senza essere interrotti dalla pubblicità – alla cintura e alla saga, noi ritenevamo di avere il sacrosanto diritto di saperlo: cos’avrebbe fatto Holden a diciotto anni, a venticinque, a quaranta? Difficile rassegnarsi a conoscere tutto (troppo) di uno scrittore prima ancora di leggere il suo libro d’esordio – potere delle case editrici! – e invece non poter sapere nulla o quasi di uno scrittore che ha cambiato il modo stesso di fare letteratura. Ce lo meritiamo, Aldo Busi all’Isola dei famosi. Ma non ci siamo meritati uno stracc

La domanda, a questo punto, è un’altra: perché domandarselo ancora? Nell’epoca della curiosità globale, abituati come siamo – giornalisti culturali per primi – ad avere ogni risposta a portata di un click, non rimane che prenderne atto una volta per tutte. Ce l’ha fatta. Sì, Salinger ce l’ha fatta. A tutti coloro che, veri e propri Fabrizio Corona ante litteram dell’informazione, sono rimasti a spiarlo con una macchina fotografica e un taccuino tra le mani, confidando che prima o poi tradisse un’emozione, un ripensamento, un’opinione, una presa di posizione. Su cosa poi? Sulla riforma scolastica?
Niente. E allora non rimaneva che arruolare il giovane Holden. In fondo era ine

Già, la snobistica irrequietezza da privilegiato di Holden e la sua fuga dalle responsabilità non si prestavano a letture ideologiche e poi, a guardare bene, nel libro non c’è nessuna tracc

I personaggi “adulti” del romanzo proveranno a convincere quell’impertinente di Holden a tenere una condotta più responsabile, ma lui non vuole starli a sentire, quei matusa. Quando il professor Antolini gli porge un foglio con la celebre frase di Wilhelm Stekel – «Ciò che distingue l’uomo immaturo è che vuol morire nobilmente per una causa, mentre ciò che distingue l’uomo maturo è che vuol umilmente vivere per esse» – ringrazia ma fa spallucce. «Non avevo voglia di concentrarmi. Ragazzi – ammicca ai lettori – tutto a un tratto mi sentivo così maledettamente stanco». Ed è per questo, in fondo, che lo abbiamo amato. Per il gusto dello sberleffo, per il fastidio nei confronti di chiunque volesse mettersi in cattedra, dirgli cosa fare, tirare una linea tra bene e male o presentargli una “visione del mondo” bella e preconfezionata. Perché in Holden c’è anche il Tom Sawyer di Ma

È anche tramite loro, Tom, Holden, che autori come Salinger ci hanno fatto innamorare dell’America. Forse non di quella reale e decisamente troppo muscolare della politica estera, ma sicuramente quella ideale dell’America libertaria, individualista e cosmopolita al tempo stesso, delle diversità che si fanno ricchezza, in cui la trasgressione non si fa conformismo, che si ribella alla cultura di massa e alle convenzioni sociali. Inaccettabili, come l’essere costretto a ripetere ogni volta «piacere d’averti conosciuto a qualcuno che non ho affatto il piacere d’aver conosciuto». Beh, noi siamo stati contenti di averti conosciuto, caro vecchio Holden, e di questo saremo sempre riconoscenti a J. D. Salinger, pace all’anima sua.