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La trappola del libero mercato

di Enea Baldi - 03/02/2010

     
 
In Italia ormai è emergenza occupazionale. Benché la fase acuta della “malattia” abbia raggiunto il suo acme, i vertici istituzionali non sono ancora ricorsi a misure drastiche (ma nemmeno cautelative) per far fronte al pericolo di un’ulteriore recessione. Le famiglie dei lavoratori a rischio di licenziamento, dei cassaintegrati e dei disoccupati sono al collasso. E se nella grande industria le cose vanno male, la situazione per la piccola e media impresa è disperata. L’ostinata stipsi degli istituti di credito nei confronti di questi soggetti, la continua vessazione della pressione fiscale, che costringe molti ad adottare misure cautelative nei confronti dei “ricatti” di mercato, come la delocalizzazione e il precariato, la mancanza di misure governative per “tamponare”, almeno, un’urgenza che si sta trasformando in “calamità sociale”, sembrano sempre più i sintomi di una vera pandemia.
Un mercato, il nostro, ormai senza regole precise, con aspetti che divengono paradossali se si analizzano i casi Fiat e Alcoa. Mentre la multinazionale italiana ha già deciso la data della chiusura della fabbrica di Termini Imerese, dopo aver già licenziato 18 operai dell’indotto, i vertici dell’azienda torinese, attualizzano l’investimento di centosettantanove milioni di dollari per organizzare le linee produttive dello stabilimento per la costruzione del “Multiair”, negli Stati Uniti. L’operazione prevede, tra l’altro, l’assunzione di 150 nuovi impiegati. L’impianto di Dundee, nel Michigan, nasce nel 2004, ed è adibito per la costruzione di propulsori molto più grandi del 1.400 Fiat da 100 CV: si tratta dei 2.000 e 2.400 a benzina, chiamati “world engine”, nati ai tempi di DaimlerChrysler nell’ambito di un accordo con Mitsubishi e Hyundai. Questa produzione, infine, come è ormai prassi della grande industria, andrà gradualmente in esaurimento dal prossimo anno al 2011. Così, mentre con una mano la nostra industria toglie ai lavoratori italiani la sicurezza di un lavoro, mettendo sul lastrico centinaia di migliaia di famiglie - e ormai non solo al sud -, con l’altra promuove un investimento estero, nel Paese più “conveniente” ormai, dopo la Cina. Tutto questo mentre l’Alcoa, la multinazionale statunitense dell’alluminio, decide di chiudere definitivamente i battenti dei capannoni della produzione sarda.
E per un Marchionne (foto) che plaude magniloquente alla “grande innovazione sul mercato estero della Fiat”, sempre più italiani si affacciano alla soglia della povertà.
Quanto potrà durare ancora, ci si chiede - se non altro dal punto di vista economico, se non si vogliono prendere in considerazione gli aspetti sociali di questa catastrofe -, il sacrificio degli italiani al fine (non certo di colmare) di contenere la voragine del debito pubblico (112% per un valore di quasi 1.800 miliardi di euro) creata dalla Banca centrale europea che, insieme alle svendite dei beni pubblici che si sta perpetrando da ormai quindici anni, ha prosciugato le casse dello Stato?