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Carne e consumi, la rivoluzione si fa nel piatto

di Giovanna Di Stefano - 15/02/2010

Secondo studi recenti il consumo di carne è responsabile del 40% delle emissioni totali di co2 del pianeta. Ciononostante nessuno di coloro che dicono di battersi per il clima ha mai fatto niente per ridurre un commercio che, solo negli Stati Uniti, è di 125 kg per persona ogni anno.


 

Carni esposte
Secondo recenti studi il consumo di carne è responsabile del 40-50% delle emissioni di co2 globali.
Sono passati più di dieci anni dal lontano 1997 quando il protocollo di Kyoto sanciva a livello mondiale un impegno da parte dei paesi aderenti a ridurre le emissioni di gas climalteranti attraverso programmi che avrebbero incentivato una serie di azioni di contenimento della propria impronta ambientale.

 

Il dibattito sul problema del surriscaldamento globale e sulla necessità di contrastarlo in maniera efficace si è intensificato sempre più negli ultimi anni parallelamente a campagne di sensibilizzazione, leggi e incentivi economici rivolti a privati e amministrazioni affinché attuassero una serie di misure efficaci in questa direzione. Parliamo di implementazione delle fonti rinnovabili - principalmente fotovoltaico, solare termico, eolico, biomasse - riduzione degli sprechi, riciclo e tecnologie efficienti.

Ma il cambiamento non può reggersi solamente su incentivi e investimenti, prescrizioni di legge e relative sanzioni (tra l’altro spesso inesistenti o inapplicate) dovendo passare necessariamente anche attraverso la reale presa di coscienza da parte del singolo dell’importanza di agire in questa direzione.

Sempre più da ogni parte piovono consigli per dare il nostro piccolo quotidiano contributo al pianeta: usare solo lampadine efficienti, limitare viaggi in auto a favore dei mezzi pubblici e di salutari passeggiate, chiudere i rubinetti, risparmiare l’acqua calda, il gas in cucina, non installare l’aria condizionata, ecc..

Dunque in sintesi si può dire che tutti, o quasi, ad oggi abbiano capito che occorre fare attenzione ai consumi legati alle utenze domestiche (elettricità e calore) e ai mezzi che utilizziamo per spostarci.

Tuttavia in tutto ciò l’anomalia sta nel fatto che a ben vedere nella graduatoria dei settori maggiormente responsabili del surriscaldamento del pianeta, dopo l’edilizia, al primo posto con il 40% delle emissioni totali, e prima dei trasporti, che occupano il terzo con il 14%, c’è una voce che sembra essere ancor oggi un tabù: il mercato della carne.

 

Ortaggi e frutta
Si calcola che l'impatto ambientale di un onnivoro sia equivalente a quello di 7 vegetariani e di 20 vegani
Questo settore dell’industria rappresenta nientemeno che la seconda voce in graduatoria incidendo con il 18% delle emissioni totali di CO2 (rapporto FAO “Livestock’s long shadow” 2007).

 

In realtà secondo un recente studio del World Watch Institute*, che conteggia variabili aggiuntive (attribuite invece dal rapporto FAO ad altri settori produttivi), che prende in considerazione l’intera filiera della produzione, e si basa su database aggiornati al 2009, la quota potrebbe arrivare addirittura al 40 - 50%!

Allevamenti, mattatoi, colture e quindi terreni dedicati esclusivamente a nutrire il bestiame sono responsabili del consumo di un enorme, spaventoso quantitativo di energia, e dei relativi gas serra associati (oltre alla CO2, il metano, con un potenziale inquinante 21 volte maggiore della CO2).

Jeremy Rifkin, economista di fama mondiale e presidente del Foundation on Economic Trends nel suo libro "Ecocidio" denunciava questo stato di cose ancora nel 2001. Nonostante l’eco mondiale che ebbe questo suo lavoro e gli studi pubblicati da autorevoli riviste e istituti di ricerca che avvalorano, con nuovi dati e statistiche sull’impatto degli allevamenti, le posizioni di Rifkin, ad oggi ancora vi è un’inspiegabile ostinazione a non voler denunciare, da parte delle autorità preposte, i danni provocati al nostro pianeta dal consumo – diciamolo pure: smodato! - di carne.

Possibile che dopo tanti summit e strategie di intervento ci si fermi di fronte alla necessità di rinunciare alla bistecca, o per lo meno di ridurne il consumo? Come a dire: dobbiamo fare il possibile per salvare il nostro ecosistema, l’unico che abbiamo, minacciato e saccheggiato da un mercato senza scrupoli e da politiche miopi che mirano solo al profitto, ma se per farlo dobbiamo anche rinunciare alla bistecca... allora no, lasciamo perdere, meglio autodistruggersi!

 

Campagna Humanesociety
Campagna di HumaneSociety. Lo slogan recita "quale delle due contribuisce di più al riscaldamento globale?"
Questo colpevole e assordante silenzio sul fronte dell’opportunità e dell’urgenza di mutare le nostre abitudini alimentari a favore di una scelta – sempre più - vegetariana ed ecosostenibile non si può dire che non faccia perdere autorevolezza a chi predica i principi dell’ambientalismo.

 

Un ambientalismo che applica per così dire uno ‘sconto’ immotivato e chiude gli occhi su un tema cruciale arrivando al paradosso di raccomandare i più minuziosi accorgimenti quotidiani come per esempio mettere la tv in stand by che porta ad un risparmio di appena 5-7 Kg di CO2 annui e di tacere invece sul consumo di carne di ognuno.

L’eliminazione della carne dal nostro piatto infatti risparmierebbe l’immissione in atmosfera di circa 2000 kg di CO2** (sempre valori procapite) in un anno, un valore uguale se non addirittura superiore a quello ottenibile rinunciando completamente all’uso dell’automobile!!***

E’ evidente che per una buona parte della popolazione i cui percorsi quotidiani sono, per lo meno allo stato attuale dei servizi pubblici (o si dovrebbe dire dei ‘disservizi’!), assolutamente dipendenti dall’automobile, orientarsi verso una graduale riduzione delle proteine animali è senz’altro più percorribile, semplice e immediato: non comporta il rallentamento dei ritmi quotidiani o i disagi dovuti al doversi affidare a mezzi pubblici ‘fantasma’, e presenta anche indiscutibili vantaggi per la salute e... per il portafoglio.

Ma soprattutto può essere applicato da ognuno nel momento stesso in cui si decide, non dipendendo da nient’altro se non dalla nostra volontà di mettere in atto una scelta. Infatti il riassetto del servizio trasportistico delle grandi città, senz’altro vitale per l’abbattimento della CO2 derivante dai gas di scarico, richiede dei tempi molto lunghi, pertanto abbandonare l’automobile è ad oggi impensabile per molti.

Da una recente intervista a Jeremy Rikfin: “Ciò di cui nessuno si rende conto è che l'agricoltura e in particolare il settore delle carni bovine incide sul riscaldamento globale più di tutti i mezzi di trasporto del mondo messi insieme. Infatti la prima causa dei cambiamenti climatici è l'edilizia abitativa, la seconda è la produzione e il consumo di carne e la terza i trasporti su scala mondiale.

 

Barack Obama e Al Gore
Nemmeno uno dei 175 leader di altrettanti paesi ha mai anche solo accennato al consumo di carne come causa dei cambiamenti climatici, compresi il presidente Obama e Al Gore.
E' interessante notare che nemmeno uno dei 175 leader di altrettanti paesi ha mai anche solo accennato alla seconda causa dei cambiamenti climatici, compresi il presidente Obama e Al Gore. Al Gore non ha mai parlato una sola volta della seconda causa dei cambiamenti climatici.

 

Io trovo che al punto in cui siamo sia, direi, da incoscienti: se siamo tanto restii ad apportare qualche cambiamento nelle nostre abitudini alimentari da essere disposti a rischiare l'estinzione della nostra specie, vuol dire che non prendiamo assolutamente sul serio il problema.”

Ma quanta carne mangiamo esattamente? Le quantità variano da paese a paese (fonte earthtrends.wri.org) e vedono al primo posto gli Stati Uniti con ben 125 kg di carne procapite annua seguiti dall’Europa che registra una media di 76 kg/procapite, dove i più carnivori sono i danesi (145 kg!) seguiti da irlandesi e francesi.

In Italia c’è stato un preoccupante aumento, dai 57 kg di carne/procapite del 1972, ai 90 kg attuali: un incremento del 50%! Ma non è tutto, in quanto tali valori sono computati sull’intera popolazione italiana, tuttavia se escludiamo i 6 milioni di vegetariani ed i vegani (10%) e i circa 2,5 milioni di bambini con meno di 5 anni (che mangiano carne in quantità ridottissime) il consumo degli adulti carnivori italiani si assesta intorno ai 105 kg all'anno a testa, praticamente 3 etti di carne ogni giorno!

Un kg di carne corrisponde all’immissione in atmosfera di circa 20 kg di CO2 (media tra diversi studi che prendono in considerazioni scenari differenti), calcolata in base agli apporti di tutta la filiera produttiva dell’industria: dalla produzione, al trasporto, alla somministrazione del cibo agli animali, dall’energia necessaria per il funzionamento degli allevamenti e dei mattatoi, dalla refrigerazione al trasporto delle carni, infine, non da ultimi, gli apporti di gas serra prodotti dall’apparato digerente degli animali.

Dunque un carnivoro ‘riversa’ in atmosfera, solamente con la scelta di mettere a tavola pietanze e base di carne, ben 2000 kg di CO2 in un anno, pari al 25% delle emissioni procapite, queste ultime valutate in 8400 kg di CO2 (rapporto ENEA , p 262).

 


Incidenza del tumore al colon retto in funzione del consumo di carne pro capite (WRI) per i paesi dell'Europa occidentale (casi per 100.000 persone 1998 – IARC).
Per non parlare poi della quantità d’acqua risparmiata: con ogni kg di carne mangiato ne buttiamo dai 15.000 litri ai 50.000 litri! Sapere che invece la produzione di un kg di frumento richiede appena 200 litri di acqua e altri tipi di vegetali arrivano al massimo a 1000 litri/kg deve far riflettere…

 

E’ interessante notare infine alcuni dati connessi ai risvolti salutistici che ha la limitazione dei grassi animali. Il grafico qui accanto riporta l'incidenza (casi per 100.000 persone 1998 – IARC) del tumore al colon retto in funzione del consumo di carne pro capite (WRI) per i paesi dell'Europa occidentale.

Nonostante vi siano evidentemente anche altre cause che concorrono all’insorgere della malattia appare più che evidente a colpo d’occhio la stretta correlazione tra la quantità di carne assunta e lo svilupparsi del tumore: dai 39-46 casi su centomila dei finlandesi e svedesi che consumano circa 70 kg all'anno ai 60-65 casi su centomila di austriaci, irlandesi, olandesi e danesi, che ne consumano oltre 110 kg all'anno. Il consumo di 40 kg di carne in più fa aumentare del 50% la probabilità di ammalarsi.

Il Prof. Veronesi afferma: “ridurre il rischio di ammalarsi di cancro, vivere più sani e più a lungo, evitare la tortura e il massacro degli animali, rispettare l´ambiente, ridurre gli squilibri alimentari nel mondo: sono almeno cinque i buoni motivi per essere vegetariani: un´alimentazione sana, mai eccessiva, ricca di verdura e frutta e con pochissima (o meglio senza) carne, non solo diminuisce il rischio di ammalarci, ma ci protegge da molti tipi di tumore. Il 30% dei tumori sono dovuti a un dieta troppo ricca di grassi insaturi; alcuni, come il cancro del colon, sono direttamente correlati al consumo eccessivo di carne.

Fonti:

www.earthtrends.wri.org
www.worldwatch.org
ecoalfabeta.blogosfere.it
www.defra.gov.uk
www.progettogaia.it
www.ilconsapevole.it
www.ilsentierodellanatura.blogspot.com
www.humanesociety.org

[FAO2006] FAO, Livestock’s long shadow, novembre 2006
[Foodwatch2008] Istituto tedesco per la Ricerca sull’Economia Ecologica (IOeW); Foodwatch, Klimaretter Bio?, 25 agosto 2008
[McMichael2007] Anthony J McMichael, John W Powles, Colin D Butler, Ricardo Uauy, Food, livestock production, energy, climate change, and health, The Lancet, September 13, 2007
[NewScientist2007] New Scientist, Meat is murder on the environment, 18 luglio 2007
L’American Dietetic Association “aumentare il consumo di proteine da fonti vegetali”.
[ADA2007]

Note:

* Rapporto di Robert Goodland e Jeff Anhang (consigliere della Banca Mondiale per i problemi ambientali) per il WorldWatch Institute, dicembre 2009

** Il dato è ottenuto come media tra i valori emersi da vari studi ognuno dei quali si basa su dati e variabili differenti legate soprattutto a connotazioni del mercato locale o alle specie animali allevate; tra questi: l’Università di Manchester (Defra, UK) che calcola 15 Kg di CO2 per ogni kg di carne e uno studio giapponese (Japanese Society of Animal Science) che valuta invece 36 kg di CO2 per ogni kg di carne.

*** Per ogni km percorso in auto si emettono 160 grammi di CO2. Ipotizzando una media di 30 km al giorno: 0,16x30x365 = 1752 Kg di CO2. Tanta è la CO2 evita se si decidesse rinunciare all’auto, per nulla inferiore a quella che si risparmierebbe evitando di cibarsi di carne

**** Valore indicativo ottenuto considerando il dato italiano di 105 kg di carne pro capite.