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In Europa lo spettro dei Pigs fa tremare i governi

di Loretta Napoleoni - 16/02/2010

Fonte: caffe

  
 
Ma allora non siamo fuori della crisi? Viene spontaneo chiedersi osservando il tasso di cambio dell’euro perdere quota quasi giornalmente, -15% dall’apice contro il dollaro raggiunto nel luglio del 2008. Questa volta però a trascinare verso il basso tutti gli indici di borsa non sono i famigerati hedge funds o le banche d’affari, ma le difficoltà dell’Unione Europea nel gestire la prima vera grande crisi finanziaria della sua storia. Il rischio è l’insolvenza di una rosa di Paesi europei, con in testa la Grecia, che hanno accumulato un deficit di bilancio ben al di sopra dei limiti imposti dall’euro zona. Quello della Grecia, il più alto, era nel 2009 già a quota 12,7% del Pil. Le domande sono tante ed è bene organizzarle cronologicamente per capire come siamo arrivati a ridosso della bancarotta della moneta unica europea.

Il deficit dell’euro zona, e cioè dei Paesi che ne fanno parte, è de facto compensato dal surplus commerciale di una sola nazione: la Germania. Quando la Grecia, l’Irlanda, la Spagna, il Portogallo ma anche l’Italia, hanno aderito alla moneta unica, sui mercati internazionali il loro debito si è venduto a condizioni simili a quelle della Germania, un paese infinitamente più ricco. La moneta comune ha ridotto il differenziale dei prezzi tra le obbligazioni tedesche e quelle irlandesi o greche. Quando c’era il marco, la sterlina irlandese e la dracma ai tedeschi costava molto meno indebitarsi che agli irlandesi o ai greci. 

Date le condizioni vantaggiose del credito questi Paesi si sono indebitati eccessivamente. E qui è bene fare una pausa. L’Unione europea doveva intervenire anni fa e costringerli a rispettare i margini imposti dall’accordo di Maastricht sul debito pubblico. Ma se la politica monetaria comune funziona quella fiscale in realtà non esiste nell’euro zona. Bruxelles non ha muscoli per controllare quanto debito i governi vendano sui mercati internazionali, né quelli per verificare cosa ci fanno con questi soldi. La Grecia li ha in parte sperperati, la Spagna li ha gestiti meglio, ma è finita invischiata in una speculazione edilizia senza precedenti, lo stesso si può dire dell’Irlanda, e così via.

Questo è un handicap serio. La crisi attuale è a carattere fiduciario, i mercati improvvisamente hanno deciso che non si fidavano più della Grecia e le hanno girato le spalle. Sulla carta hanno ragione, ma perché allora la crisi non è scoppiata sei mesi fa? In un momento recessivo è normale che aumenti il deficit di bilancio perché scende il gettito fiscale e sale la spesa pubblica per sostenere l’economia. La Grecia, va poi detto, non ha banche con beni tossici in bilancio come il Regno Unito o l’Irlanda. Ha però un governo socialista, come la Spagna, che vuole trovare una soluzione sociale ai problemi economici.

La verità è che non si doveva arrivare al punto in cui è il mercato che punisce gli errori dei suoi giocatori piuttosto che gli arbitri, e cioè l’Unione europea. E quando la crisi scoppia questi ultimi non sanno cosa fare. Sembra un déjà vu finanziario: i paesi ricchi dell’Ue si comportano come la Fed ed il Tesoro americani durante la caduta della Lehman Brothers: sottovalutano le conseguenze della loro inazione.

Come andrà a finire questo nuovo capitolo della crisi del credito? Il pericolo vero è l’effetto domino, che dalla Grecia la sfiducia si allarghi a macchia d’olio agli altri paesi e magari coinvolga anche la Francia ed il Regno Unito, poiché in materia fiscale solo la Germania e i paesi nordici sembrano aver mantenuto una disciplina ferrea. Se ciò avvenisse la credibilità dell’euro sarebbe messa a dura prova e gli europei ne pagherebbero le conseguenze per più di una generazione. Ed è possibile che si arrivi a questo, leggendo il blando ed incolore comunicato prodotto dall’Unione Europea dove si dice che la Grecia non ha chiesto aiuto.

Meglio sarebbe stato mettere a punto un piano di salvataggio a breve per sostenere la Grecia, aiutando così i mercati a riconquistare la fiducia in questa nazione, e creare un cordone protettivo intorno al debito degli altri Paesi per evitare che gli speculatori prendano d’assalto quello loro. 

Con o senza queste manovre, comunque, per tutti i contribuenti europei la crisi vera è appena cominciata.