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Contadini, tocca a voi fare la rivoluzione

di Tonino Bucci - 17/02/2010

  
 
"Le guerre del cibo", un saggio dell'economista filippino. Un pamphlet noglobal. La profezia di Walden Bello

Il Novecento ha fatto fuori i contadini. «La morte della classe contadina è il cambiamento più eclatante e su larga scala della seconda metà di questo secolo», un cambiamento che «ci separa nettamente e per sempre dal mondo del passato». Forse eccessivo, forse troppo lapidario, fatto sta che questo giudizio di Eric Hobsbawm nella sua opera più nota, Il secolo breve , corrisponde abbastanza al senso comune. Nei paesi industriali avanzati, Italia compresa, il numero delle persone addette al lavoro della terra si è ridotto a una percentuale esigua della popolazione (chissà però se nelle statistiche sono compresi anche gli immigrati braccianti occupati nelle raccolte stagionali di pomodori e fragole). Da maggioranza della società che erano un tempo, i contadini sono oggi percepiti dal senso comune come superstiti residuali di un gruppo in via d'estinzione. Ben che vada gli capita d'essere identificati con un'accozzaglia di piccoli coltivatori e allevatori che di tanto in tanto calano nelle città con i loro trattori, infuriati con l'Europa per le quote latte, abbandonati alle braccia della Lega,neanche fossero truppe d'occupazione straniere. Di riaggiornare la "questione contadina" - antico cavallo di battaglia dei comunisti - non se ne parla proprio.

Walden Bello, economista e sociologo, filippino di nascita, la pensa in tutt'altro modo, nel suo nuovo libro, appena pubblicato in Italia, Le guerre del cibo (edizioni Nuovi Mondi, pp. 224, euro 12). «Indubbiamente, in quanto classe, i contadini dimostrano di avere una resistenza straordinaria; il miglior esempio in proposito è probabilmente costituito dai campesinos messicani, che continuano a seminare mais per sopravvivere pur venendo tagliati fuori dal mercato a causa delle importazioni a basso costo dagli Stati Uniti». C'è poi persino da chiedersi se l'agricoltura su larga scala, quella "capitalistica" per intendersi, delle multinazionali dell'agrobusiness e delle grandi catene di distribuzione, sia per davvero più produttiva dell'agricoltura su scala locale. «In altre zone, i piccoli coltivatori hanno smentito coloro che ne profetizzavano la fine dimostrando che le piccole fattorie in cui la manodopera lavora in modo efficiente possono risultare assai più produttive delle grandi tenute. Per citare soltanto una ricerca particolarmente celebre, un rapporto della Banca mondiale relativo all'agricoltura in Argentina, Brasile, Cile, Colombia ed Ecuador ha rilevato che in questi paesi la produttività per ettaro era da 3 a 14 volte maggiore tra le fattorie di piccole dimensioni rispetto alle loro concorrenti più grandi».

Che la questione contadina sia un tema sul viale del tramonto è affermazione discutibile non fosse altro perché nel mondo globalizzato il problema della fame non è affatto scomparso. Prima che esplodesse la crisi economica c'è stato un biennio in cui i prezzi di beni di largo consumo si sono impennati verso l'alto, con l'effetto di precludere l'accesso ai generi alimentari a una fetta di popolazione mondiale. Nel 2008 - i dati sono elecanti scrupolosamente dallo stesso Walden Bello - il rialzo dei prezzi di riso, grano e oli vegetali ha fatto lievitare il costo delle importazioni di generi alimentari nelle nazioni meno sviluppate del 37 per cento, portandolo a 24,6 milioni di dollari dai 17,9 dell'anno precedente. «Questi sviluppi drammatici hanno fatto sì che 75 milioni di persone si aggiungessero ai ranghi di coloro che soffrono la fame, e altri 125 milioni circa di individui finissero sotto la soglia di povertà».

Andiamo con ordine. Walden Bello afferma tre tesi. La prima - fondamentalmente economica - è che la fame non è un fenomeno ineluttabile né tantomeno un destino naturale cui non ci si possa sottrarre - più o meno come il fato per gli antichi eroi omerici. La fame è piuttosto l'esito di decenni d neoliberismo e di cosiddetti "aggiustamenti strutturali" imposti dalla Banca mondiale ai paesi del sud del mondo e a quelli in via di sviluppo. Una volta che i governi locali hanno tagliato via i sussidi alle agricolture nazionali non c'è stato scampo per i contadini di quei paesi. Non c'è stata frontiera che tenesse contro i prodotti americani o europei a basso costo. Mentre per i paesi africani o asiatici o dell'America latina la Banca mondiale e il Wto spingevano perché venissero smantellati i sussidi ai coltivatori, negli Usa il copione è stato l'inverso. «Gli Stati Uniti hanno ostinatamente rifiutato di ridurre in modo significativo, e ancor più ostinatamente di eliminare i programmi di sostegno all'agricoltura, che ogni anno convogliano 40 miliardi di dollari verso il settore agricolo prendendoli dalle tasche dei consumatori, dei contribuenti e delle imprese».
Detto in altro modo: «libero scambio per il resto del mondo, protezionismo per gli Usa».

La seconda tesi è di carattere storico . Walden Bello immagina e descrive la storia degli ultimi secoli - ma l'attenzione principale è destinata al '900 - come la storia di due modelli economici, due agricolture, in lotta tra loro. Da un lato l'agricoltura capitalistica, dall'altro quella «tradizionale e familiare». La terza e ultima tesi di Walden Bello è invece politico-militante e si fonda sulla scommessa - magari azzardata se si vuole - sul movimento internazionale dei contadini. Certo, dal punto di vista di un'analisi di classe - si sarebbe detto una volta - il movimento contadino di cui parla Bello è un aggregato spurio di soggetti diversi, una somma eterogenea che mette assieme piccoli imprenditori, piccoli coltivatori e piccoli proprietari, da un lato, con braccianti e nullatenenti, dall'altro. Come se, appunto, l'antidoto alla globalizzazione e alle multinazionali del cibo e della carne fosse il miraggio di tante comunità locali di piccoli proprietari indipendenti (ricordate Proudon?). Vecchia diatriba che ha visto in passato contrapposti i marxisti ai sostenitori di un modello di società composta da individui proprietari. In quest'idea il vecchio Marx ci vedeva non il superamento del capitalismo ma, all'opposto, la generalizzazione dell'uomo borghese. Epperò sarebbe ingeneroso non riconoscere nella questione contadina una delle contraddizioni politiche più vistose della globalizzazione (per nulla trascurabile visto che ancora oggi si muore di fame). Lo dimostrano le esperienze (Walden Bello ne parla con accuratezza e per questo val la pena leggere il suo libro) dei contadini messicani, del movimento dei Sem Terra brasiliani e di quello internazionalista di Via campesina.