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8 marzo 2010: verso il vuoto

di Luciano Fuschini - 08/03/2010

 




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Hans Urs von Balthasar è uno dei maggiori teologi cristiani del Novecento. Alcune sue riflessioni sulle donne nella modernità meritano di essere segnalate. Cito dal suo “Nuovi punti fermi”.
Il femminismo “lotta per l’equiparazione della donna in una civiltà tecnica accentuatamente improntata dall’uomo. Esso allora o fa fronte contro questa civiltà in quanto tale (...contro l’uomo che l’ha improntata) oppure reclama il suo posto all’interno di questa civiltà, ciò che difficilmente può avvenire senza una mascolinizzazione contro natura delle donne o un livellamento delle differenze dei sessi”. In tali contraddizioni troviamo la “profonda tragicità di questa epoca”.
La forma di vita tecnicizzata porta l’impronta del maschile, un maschile che non ha niente a che fare col dominio del padre nella famiglia allargata tradizionale ma riguarda “la preminenza di un razionalismo per il quale le cose e i rapporti naturali sono precipuamente materiali da costruzione”. L’uomo è sempre stato anche faber, ma il suo essere artefice anticamente trovava un equilibrio con l’atteggiamento contemplativo, che chiamiamo filosofico. Con la modernità lo sguardo contemplativo “è sfociato nella visuale puramente calcolatrice”, per cui “si è sacrificato un momento femminile, che permetteva di mantenere al sicuro l’umanità nella natura...in favore di una preminenza del momento maschile che si avvicina alle cose solamente per cambiarle... Nella ragione contemplativa si sposano nel migliore dei modi il passivo del principio femminile e l’attivo di quello maschile... Quando invece il pensiero positivista, orientato verso la tecnica, giunge a sovranità assoluta, l’elemento femminile scompare anche dal comportamento dell’uomo...la natura sotto lo spirito dell’uomo è degradata a puro materiale, anzi lo spirito stesso dell’uomo minaccia di diventare materiale di automanipolazione”. Così, le ultime risorse contemplative dell’umanità risultano annullate... “una umanità senza filosofia, succuba del puro positivismo...è senza norme e quindi senza direzione...corre senz’altro verso il vuoto della morte”. L’unica salvezza consisterebbe nel recuperare il senso dell’essere, la sicurezza, la casa, “ciò che è essenzialmente il ruolo della donna”.  Le donne dovrebbero avvertire come insensata la concorrenza agli uomini sul campo tipicamente maschile. Potrebbero invece essere veicolo di salvezza se mirassero unicamente alla “creazione di un peso vitale contro l’esistenza tecnicizzata...C’è bisogno di una profonda decisione etica delle donne per afferrare e trattenere i raggi della ruota che gira verso l’assurdo”.
Da questo testo così sostanzioso si può dunque ricavare che: 1) l’orrore della modernità è la conseguenza dell’affermazione dello spirito maschile non più contemperato come un tempo da quello femminile che permetteva all’uomo creatore e distruttore di essere anche contemplativo; 2) la colpa del femminismo non è stata quella di contrapporsi all’universo maschile ma di non aver messo in discussione questa civiltà tecnicizzata in quanto tale; 3) soltanto le donne, recuperando la loro natura profonda, potrebbero salvare la civiltà dalla deriva verso l’abisso dell’assurdo e della morte.
In difesa del femminismo si potrebbe avanzare l’obiezione che nelle istanze del movimento c’era forte la rivendicazione di una condivisione di impegni nel lavoro e nella famiglia, in una prospettiva che non escludendo la peculiarità dei sessi, introducesse quell’elemento sanamente femminile nel mondo tecnicizzato e produttivistico del maschio. Anche quel femminismo che aveva in sé una carica positiva e rivoluzionaria nel senso pieno del termine, è stato spazzato via dalle dinamiche travolgenti della mercificazione che di ogni possibile alternativa si appropria deformandola e snaturandola. Le frenesie libertarie del “tutto sùbito” hanno compiuto l’opera. Resta la deriva verso il vuoto.