Venerdì scorso si è svolta a Palermo la presentazione del libro La felicità sostenibile di Maurizio Pallante, promotore del Movimento per la Decrescita felice.
Penso che ascoltare l’autore sia stata una delle cose più interessanti che mi sia capitata ultimamente,
perché ho così avuto modo di prendere coscienza seriamente di un meccanismo sbagliato a cui siamo assuefatti fin dalla nascita e dal quale dovremmo “svegliarci” il prima possibile.

La doverosa premessa è spiegare che decrescita e recessione sono due cose diverse. La stessa differenza che passa fra chi mangia di meno, perché ha deciso volontariamente di condurre una dieta e chi mangia meno… perché non sa come procurarsi il cibo.

In una società in cui erroneamente si pensa che il benessere di un paese si misuri in base al PIL (Prodotto Interno Lordo) e dove “il problema” nasce appunto dalla sovra-produzione, poiché si produce più di ciò che si consuma, la Decrescita potrebbe essere un modo per uscire dall’attuale “crisi” , decidendo cosa, come e quanto produrre.

Il concetto di decrescita tocca trasversalmente economia, ambiente e qualità della vita.
La prima cosa da tenere presente è che non tutte le merci sono beni e non tutti i beni sono merci.
«Una merce è un oggetto o un servizio che può essere acquistato o scambiato con denaro. Un bene è ciò di cui un cittadino ha realmente bisogno, ma che non necessariamente deve essere acquistato o scambiato con denaro. Il PIL (Prodotto Interno Lordo), su cui è fondata l’intera economia mondiale, non misura i beni, ma le merci».

Quindi si dovrebbe lavorare sulla diminuzione della creazione di merci che non sono beni.
Inoltre si dovrebbe fare in modo che le cose durino il più a lungo possibile, contrariamente all’attualmente tendenza all’ usa e getta.

Si dovrebbe lavorare per ridurre il nostro impatto sulla terra, creando lavoro/occupazione che abbiano un senso ed un’utilità, unendo l’interesse economico ed ambientale.
Per quanto si voglia quasi fare finta che il problema non ci riguardi, il danno ambientale che stiamo creando non è indifferente.

In natura l’emissione in atmosfera di anidride carbonica (CO2) in quantità limitate, è necessaria per trattenere il calore nella nostra atmosfera, ma l’aumento attuale, causato dal nostro inquinamento, ha generato l’eccessivo aumento della temperatura terrestre, dando luogo alle ormai famose “variazioni climatiche”.

Si pensi che l’Italia, a seguito del Protocollo di Kyoto, con la Strategia 20-20-20 (obiettivo ridurre del 20% l’emissioni di CO2 entro il 2020), si era impegnata a ridurre l’ emissioni fra il 6 e 7%, quando in realtà sono aumentate del 13%.

L’aumento così eccessivo della temperatura terrestre è assolutamente da tenere sottocontrollo, poiché a lungo andare corriamo il rischio di rompere quell’equilibrio che ha dato la possibilità dell’esistenza della vita umana.

Per questo è senza dubbio necessario recuperare il buon senso e fare i giusti investimenti, per ridurre la nostra impronta ecologica.
Pensiamo che solo le case, purtroppo non costruite adeguatamente, consumano ogni 5 mesi 1/3 delle fonti fossili che importiamo, poiché disperdono energia. Allo stesso modo, le nostre auto ne consumano 1/3 ogni anno.

Perché non investire su alternative che producano il doppio, magari costando la metà, sia in termini economici che ambientali (riducendo l’emissioni di CO2)?
Un esempio è il micro-cogeneratore, che la Volkswagen costruisce in Germania, processo che genera due tipi di energia in un solo processo di combustione. L’assurdità sta poi nel fatto che tale sistema è nato proprio in Italia nel 1973 presso il Centro ricerche Fiat di Torino.

Il problema che viviamo adesso è molto più profondo e complesso di quello che sembri e sono tante le cose che dovremmo modificare nel nostro stile di vita.

Si dovrebbero tenere presenti tre semplici regole nel rapporto fra uomini e fra uomini ed ambiente:
1. l’obbligo di donare;
2. l’obbligo di ricevere;
3. l’obbligo di restituire più di ciò che si è ricevuto.
Si dovrebbe considerare il fatto che, il benessere di un paese non può vedersi dalla crescita del PIL, che non migliora la qualità della vita.

Robert Kennedy diceva: «La crescita del PIL può essere un indicatore di malessere. Tutte le cose che danno un senso alla vita non fanno crescere il PIL».

Purtroppo oggi sembra quasi che la logica che si segue sia: acquisto=merce=felicità.
Immaginario che dovremmo decolonizzare, poiché il troppo avere crea malessere e non felicità.
Ci siamo mai chiesti se i cosiddetti paesi sottosviluppati, definiti tali poiché non producono (quindi non contano sul mercato), siano così tanto meno felici di noi? Riflettiamoci un po’, nella nostra società si stringono quasi esclusivamente rapporti sociali “di mercato”, dal quale spesso nasce la solitudine.
Forse nella frenesia della nostra vita, ci interroghiamo troppo poco sulla qualità del tempo che trascorriamo sulla terra e sul fatto che stiamo perdendo di vista il senso della nostra esistenza. Basta guardarsi intorno, a volte anche allo specchio, per vedere gente depressa ed insoddisfatta. Perché non ci domandiamo da cosa nasce tutto questo?

Viviamo in una realtà in cui vali solo in base a quanto acquisti e per acquistare devi lavorare sempre più tempo, mentre la tv ci dice ogni giorno cosa dobbiamo comprare per essere “adeguati” alla società, finendo così in questo circolo di schiavitù.
In questo modo, stiamo perdendo il senso dei veri valori della vita, l’amore per la cura delle cose, delle nostre passioni e dei nostri cari.

Il benessere non è necessariamente avere, il progresso è un’opportunità se fatto in modo sensato, ma il “progresso a tutti i costi” è sbagliato. Al centro di tutto dovrebbe stare la qualità della nostra vita e non “il mercato”.

Per garantire tutto questo si dovrebbe dare un senso politico all’idea culturale di decrescita, cosa che è momentaneamente al di fuori dalle attuali logiche di destra e sinistra, che puntano ciechi verso il progresso (infatti l’unica cosa per cui si scontrano è la distribuzione della ricchezza monetaria prodotta), che non sempre è un bene, considerando che può avere più possibilità di futuro una scelta conservatrice, che progressista.

In Germania, ad esempio, il 90% dei deputati ha votato a favore delle energie rinnovabili e stanno facendo cose grandiose… noi cosa stiamo aspettando?

Infine, facendo parte del nascente Movimento Cinque Stelle Palermo, ci tengo a dire che abbiamo l’intenzione di muoverci verso questa direzione e abbiamo bisogno delle competenze e della professionalità di chiunque voglia lavorare per un’alternativa concreta.

Fonte: www.rosalio.it