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Il fantasma dell'Ordine Pubblico

di Lorenzo Borrè* - 04/05/2010

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Cgil Cisl e Uil quest'anno hanno celebrato la festa del lavoro a Rosarno.

Il luogo è stato scelto per la valenza simbolica che la cittadina ha assunto dopo gli episodi del gennaio 2010, allorquando si scatenò una vera e propria caccia all'”uomo nero”, che ebbe per risposta la sollevazione della manodopera schiavizzata dei sans papier dell'Americhedda calabrese, cui seguì un vero e proprio caos: nei primi due giorni di scontri si contarono, ufficialmente, 53 persone ferite (18 poliziotti, 14 rosarnesi e 21 immigrati, otto dei quali ricoverati in ospedale).

Nei giorni appresso ci fu una girandola di agguati, spedizioni punitive e gambizzazioni ai danni degli immigrati; raid incendiari colpirono le automobili degli extracomunitari e distrussero un capannone dormitorio.

Bene: immaginate cosa sarebbe successo se la Questura, adducendo motivi d'ordine pubblico, avesse vietato ai sindacati della Triplice di manifestare a Rosarno il 1° Maggio: l'indignazione della stampa, degli intellettuali e dei politici sarebbe stata (giustamente) così forte da far crollare se non le mura, le cadreghe del Viminale e di tutte le questure d'Italia.

Nessuna obiezione ha invece sollevato il provvedimento con cui il Questore di Roma ha vietato che qualche migliaio di ragazzi del Blocco Studentesco sfilasse in corteo per le strade di Roma il 7 maggio.

Stando alle notizie di cronaca, il divieto è stato motivato con ragioni di ordine pubblico e cioè con il pericolo che si verificassero cruenti scontri, provocati da quelle frange radicali che negano qualsiasi diritto di agibilità politica agli studenti del Blocco.

Costituzione italiana alla mano, il Questore di Roma dovrebbe aver vietato il corteo “per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”, e cioè in base alla documentata certezza che il corteo sarebbe stato sicuramente attaccato.

Bene, anzi male: come riconosciuto dalla Corte Europea dei Diritti Umani con la sentenza n. 1543/6 del 3.5.2007, il diritto alla libertà di riunione e associazione implica obblighi positivi a carico dello Stato, implica cioè che uno Stato effettivamente democratico non possa adottare la tattica dello struzzo allorchè un diritto politico primario, qual è quello sancito dall'art 17 Cost., sia compromesso dalla violenza degli avversari politici.

Nonostante ciò, le Autorità italiane hanno reiteratamente utilizzato l'argomento dei “motivi di ordine pubblico” per giustificare il diniego della possibilità di manifestare o di riunirsi pacificamente per esporre una propria istanza;. E c'è il concreto rischio che la dinamica che ha portato al divieto di manifestazioni di minoranze politiche della Destra Radicale (e più raramente della Sinistra Antagonista) diventi una prassi dagli effetti liberticidi.

Il divieto oggi viene accolto con indifferenza (o peggio: con malcelata soddisfazione) perchè colpisce gli innominabili del Blocco Studentesco, ma non ci si rende conto che la formula dei “comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica” rappresenta uno dei rigagnoli di quel l'inesorabile processo di svuotamento delle libertà civili che riduce il gioco democratico a mero proceduralismo, ove il diritto di manifestare viene svuotato della natura stessa di diritto nel momento in cui chi lo vuole esercitare è costretto ad arretrare di fronte alla violenza altrui, e dove la stessa giustizia del caso concreto rischia di essere il risultato di una contrapposizione di forze, in cui il più debole è destinato inesorabilmente a soccombere.


*Segretario dell'Associazione 21e33