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Lawrence d’Arabia

di Stenio Solinas - 12/05/2010

Lawrence d'Arabia

Non una biografia storica, ma il racconto, purtroppo tagliato nella traduzione, di una “traiettoria spirituale”

Scritto nel 1961, il saggio chiuse una trilogia: quella del mito di un “arabismo integrale”

All’indomani della Seconda guerra mondiale, Jacques Benoist-Méchin si ritrovò nel carcere di Fresnes, con una condanna a morte per collaborazionismo. Alla metà degli anni Trenta aveva scritto una Storia dell’esercito tedesco che era insieme un monito e una previsione: quella Wermacht era troppo forte e sul campo di battaglia la Francia non avrebbe avuto alcuna chance. Per evitare un conflitto occorreva un tipo di politica nuovo, che mirasse alla collaborazione fra le due nazioni… Méchin conosceva benissimo la Germania: ne parlava la lingua, ne amava la cultura e, non credendo alla democrazia parlamentare del proprio Paese, giudicava il nazionalsocialismo un sistema autoritario cui ispirarsi.
Uscito in due volumi fra il 1936 e il 1938, quel libro ebbe fra i suoi lettori il maresciallo Pétain e non sorprende che quest’ultimo, all’indomani della débacle del’40 che lo innalzava ai vertici dello Stato, andasse a chiamare il giovane (non aveva nemmeno quarant’anni) e brillante saggista che la catastrofe aveva previsto e a suo modo tentato di scongiurare. Così Benoist-Méchin entrò nel governo di Vichy, divenne segretario di Stato agli Esteri, fu figura di spicco nella collaborazione culturale con il vincitore accampato in terra di Francia, alla fine si ritrovò per questo sul banco degli imputati. Al processo non negò le proprie responsabilità, né le giustificò con lo stato di necessità: sì, era colpevole di intelligenza con il nemico, ma, per dirla con il suo amico e sodale Drieu La Rochelle, non era colpa sua se quel nemico non si era dimostrato intelligente…
La condanna a morte fu poi trasformata in ergastolo e nel decennio che Benoist-Méchin trascorse in carcere furono poste le premesse per una nuova vita, un nuovo campo d’interessi, una nuova sfera d’azione: una sorta di resurrezione intellettuale e non solo. Come spesso accade, fu il caso a provocarla: la lettura in carcere di una biografia del colonnello Lawrence scritta da un inglese e lasciata in quelle celle da un altro ospite illustre, il barone Filippo Anfuso, già ambasciatore di Mussolini a Berlino durante la Repubblica sociale, che i francesi avevano arrestato arbitrariamente mesi prima mentre deponeva in tribunale come testimone sul delitto Rosselli. “Fu un avviso del destino, la prima pietra della mia nuova esistenza. Mi apriva un nuovo orizzonte dove si accumulavano nuove tensioni, nuove tempeste, il mondo arabo, di fronte al quale la nuova generazione dei francesi avrebbe dovuto prendere posizione: un mondo più vasto e ricco di problemi dell’antico antagonismo franco-tedesco che io avevo creduto di risolvere con una collaborazione che si rivelò in pratica utopistica prima che la sconfitta del Reich la rendesse impossibile. Decisi, se fossi scampato alla fucilazione, di dedicarmi a quel nuovo mondo”. Lawrence d’Arabie ou le rêve fracassé, che ora esce in italiano (Lawrence d’Arabia, Carte scoperte, 18 euro, 239 pagine) fa parte di questo nuovo corso che, il suo autore ancora in carcere e/o appena liberato, fu inaugurato dalla biografia Mustapha Kémal ou la mort d’un Empire, incentrata su Ataturk, e Ibn Sèoud ou la naissance d’un royaume, dedicata al fondatore dell’Arabia saudita.
Scritto nel 1961, il saggio su Lawrence chiuse in sostanza una trilogia, quella legata al mito di un “arabismo integrale”, che allora come oggi non ha ancora geo-politicamente trovato la sua forma definitiva, eterna fonte di speranze e di timori, soggetto alle critiche di chi, innamorato della real-politik, giudica irrealistica oppure folle qualsiasi visione strategica in cui il “sogno” abbia un proprio, importante spazio. Ma, come scrive Benoist-Méchin, “il mondo non è guidato dai fatti materiali, bensì dall’idea immateriale che gli uomini se ne fanno”.
È un peccato che di tutto ciò nell’edizione italiana non ci sia traccia, essendone stata espunta la relativa introduzione; così come non c’è del resto segno della storia pregressa dell’autore stesso, di cui viene singolarmente omesso quel percorso politico-ideologico che, come abbiamo visto, è alle base delle scelte successive. Definire poi, nella quarta biografica di copertina, de Gaulle come un “suo profondo ammiratore”, sa di umorismo involontario. Perché se è vero che nel 1945 il generale fece acquistare e distribuire fra gli ufficiali superiori 500 copie dell’Histoire de l’Armée Allemande, affinché meditassero su quanto era successo, è altrettanto vero che aveva appena condannato a morte chi l’aveva scritta…
Va detto che il Lawrence di Benoist-Méchin non è una biografia storica, ma il racconto di una “traiettoria spirituale. Ciò che egli desiderava raggiungere attraverso la Rivolta araba era un Assoluto rappresentato dalla sintesi perfetta dell’azione e del pensiero. Questo assoluto, lo sappiamo, non lo trovò. Di qui il suo esplodere folgorante e la sua ricaduta tragica”. È anche per questo che Benoist-Méchin sottolinea gli aspetti connessi alla personalità di Lawrence, quella sorta di potere ipnotico che da lui emanava, l’essere comunque e sempre incentrato su sé stesso – la condizione propria dell’eroe secondo Carlyle –, la consapevolezza che “solo la poesia dell’adolescenza può far ‘vivere’ lo scopo della vita. È questo ciò che manca agli adulti”.
È interessante come questi elementi mitopoietici, da esteta armato o da fanciullo guerriero facessero parte anche della lettura di Lawrence fatta un ventennio prima da un intellettuale come André Malraux, nel mai terminato e poi dimenticato Démon de l’Absolu. Malraux vi si era dedicato negli anni bui della Francia umiliata e occupata, cercando un antidoto alla propria impossibilità di agire e una conferma a quella mistica dell’uomo d’eccezione che gli fu propria per tutta la vita. Come Benoist-Méchin, anch’egli era un intellettuale tentato dall’azione, teorico di una storia fatta dalle grandi personalità e non dalle contingenze o dalle masse. E il primo in fondo si rivolgerà a Lawrence nella medesima ottica: trovare altrove ciò che in patria gli era ormai vietato, rinforzare attraverso quella narrazione i motivi stessi di un’esistenza che era stata a sua volta spezzata, il sogno andato in frantumi di un’altra Europa.