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Architettura gotica e filosofia scolastica

di Francesco Siri - 28/05/2010

 

 

 

 

 

 

Il ciclo di conferenze che Panofsky tenne nel 1948 si colloca in quel territorio di confine tra storia dell’arte e storia della filosofia in cui viene ricercata l’unità culturale che definisce un determinato periodo: quello dell’architettura gotica e della filosofia scolastica. Lo scopo che Panofsky si prefigge è mostrare in che modo questi due settori del sapere, separati quanto a produzioni differenti, siano in realtà intrinsecamente legati da uno stesso modus operandi, e le loro produzioni vincolate da principi comuni.

In apertura, Panofsky tratteggia un grandioso affresco che si estende, sul versante storico-artistico, dalla rinascita delle arti in epoca carolingia fino all’introduzione della prospettiva in tutte le arti, passando attraverso il secolo d’oro dell’architettura gotica con le sue imponenti cattedrali francesi, modello per l’Europa dei secoli XII e XIII; sul versante storico-filosofico, dalla figura di Giovanni Scoto Eriugena, la cui eredità sarebbe fiorita solo più tardi, fino al nominalismo critico di Ockham e a un certo soggettivismo gnoseologico in filosofia, passando per la costruzione delle imponenti sintesi teologiche quali la Summa di Tommaso d’Aquino. Questo affresco resterebbe piuttosto sterile, patchwork di paralleli possibili tra storia della filosofia e storia dell’arte, se non venisse adombrato l’orizzonte che rende tali paralleli reali. L’attenzione di Panofsky si sposta quindi sulla costruzione e diffusione di un abito mentale (mental habit), che rende possibile, da un lato, la costruzione architettonica tipica del gotico, dall’altro la strutturazione del sapere filosofico e teologico secondo i caratteri della Scolastica. Questo abito mentale oltrepassa e fonda la semplice collaborazione tra architetti e consiglieri eruditi con cui molto spesso si predisponeva il programma iconografico o ideologico del lavoro tecnico. L’abito mentale a cui Panofsky fa riferimento si articola in due principi: quello della manifestatio e quello della concordantia contrariorum.

Il principio della chiarificazione (manifestatio) si applica, reciprocamente, alla fede e alla ragione: «se la fede doveva essere manifestata attraverso un sistema di pensiero, completo e autosufficiente entro i propri limiti e inoltre distinto dal dominio della rivelazione, diveniva necessario manifestare la completezza, l’autosufficienza e la limitatezza dello stesso sistema di pensiero» (p. 27). Gli strumenti per raggiungere un tale scopo in ambito filosofico sono, solo per citare alcuni esempi, una nuova struttura del libro, il cui contenuto è suddiviso in libri, capitoli, sezioni, sottosezioni, e così via, oppure la nuova mise en page dei manoscritti di produzione universitaria. Secondo Panofsky, tale articolazione, sempre più ricca e dettagliata, realizza perfettamente la passione per la ‘chiarificazione’, che è un abito mentale diffuso in tutta l’Europa del secolo XIII a partire dal centro irradiatore che è la città di Parigi.

L’esigenza di presentare una totalità, organicamente strutturata, in cui le parti siano disposte e tra loro interrelate secondo un preciso ordine logico, è riscontrabile anche nelle arti figurative come tratto caratterizzante una nuova epoca, quella del gotico. Panofsky riporta come esempi la disposizione iconografica dei portali centrali di Autun, Amiens e Parigi, oppure le miniature di due codici (uno del XII, l’altro del XIII secolo) in cui è raffigurata la concessione di privilegi e donazioni da parte del re Filippo I di Francia al priorato di Saint-Martin-des-Champs. In entrambi i casi è riscontrabile la necessità di chiarificare non solo il messaggio veicolato dall’immagine, ma anche la disposizione delle parti rispetto alla totalità dell’opera. Questa esigenza si traduce in architettura nel ‘principio di trasparenza’, secondo cui la struttura interna, pur delimitata dallo spazio esterno, deve essere visibile attraverso la struttura esterna. È così che molte cattedrali (pp. 35-38), per esempio a Reims e Amiens, propongono una pianta ben definita che rispecchia la totalità dell’opera, un’organizzazione in parti che risulta innovativa, infine una progressiva divisibilità o moltiplicabilità degli schemi fino ai minimi dettagli. Questo significa non solo che l’interno può esser dedotto dall’esterno o la forma delle navate laterali da quella della navata centrale, ma anche che l’organizzazione dell’intero sistema è deducibile dalla sezione trasversale di un pilastro. L’esempio eclatante di tale deducibilità, e dunque di realizzazione del principio di trasparenza, si ha con i piliers cantonnés della Basilica di Saint-Denis a Parigi.

Così conclude Panofsky in merito al principio di chiarificazione: «Chiunque avesse fatta propria la mentalità scolastica avrebbe considerato la forma della presentazione architettonica alla stessa maniera in cui avrebbe considerato la forma della esposizione letteraria, vale a dire, dal punto di vista della manifestatio. Egli avrebbe accettato come evidente che lo scopo primario dei tanti elementi componenti una cattedrale fosse quello di garantirne la stabilità, proprio come avrebbe dato per scontato che lo scopo primario dei molti elementi costituenti una Summa fosse quello di garantirne la validità. Ma egli sarebbe rimasto insoddisfatto se la disposizione degli elementi dell’edificio non gli avesse consentito la ri-esperienza visiva dei processi della composizione architettonica così come la strutturazione degli elementi della Summa gli consentiva di ripercorrere il processo del ragionamento filosofico» (p. 44). È proprio il carattere di riproducibilità nell’esperienza individuale, secondo Panofsky, a spingere architetti e scrittori a seguire il principio della massima chiarificazione possibile.

Il secondo principio regolatore dell’abito mentale scolastico è, secondo Panofsky, quello della concordantia contrariorum. Lo studioso rievoca la lunga tradizione, già patristica, degli scritti volti a risolvere i disaccordi e le contraddizioni presenti nelle Scritture; tale tradizione si arricchisce in epoca medievale, da un lato, a causa della necessità di integrare le auctoritates dei Padri in un’unica traditio, dall’altro attraverso il contributo degli studi giuridici. Espressione fondamentale del principio di concordanza nella storia della filosofia è il prologo del Sic et non di Pietro Abelardo, che viene qui analizzato da Panofsky; tale metodo avrebbe trovato nell’articolazione della quaestio e nell’esercizio scolastico delle disputationes uno sviluppo senza precedenti, costituendo l’espressione di un abito mentale ed essendo, a sua volta, la forza formatrice di una precisa disposizione mentale (habit-forming force). Sulla base di tale affermazione, Panofsky esamina conseguentemente tre problemi dell’architettura gotica, la cui esposizione e soluzione li rende autentiche quaestiones: il rosone sulla facciata occidentale della chiesa; la sistemazione del muro sotto il cleristorio; infine, la conformazione dei pilastri della navata centrale. Come prova della disputa attraverso cui gli architetti formulavano le loro soluzione, Panofsky cita un disegno del 1235 circa, tratto dal taccuino di Villard de Honnecourt: in esso il progetto di un ideale chevet (abside comprensivo di coro e avancoro)è presentato da un glossa come frutto della disputatio tra Villard e un altro architetto, Pietro di Corbie. Panofsky non esplicita, come acutamente osserva l’arch. Francesco Starace, curatore del volume, se lo chevet «nei suoi significati ultimi non è comunicabile perché non costruito, o viceversa se non è stato costruito perché non comunicabile».

Quale che sia il modo in cui si voglia interpretare la conclusione enigmatica di Panofsky, resta chiara la tesi di fondo del volume: la forma espressiva, filosofica o architettonica, propria del gotico rispecchia e si costruisce grazie a un preciso abito mentale, articolato secondo i principi della manifestatio e della concordantia contrariorum. Inoltre, tale forma espressiva si afferma grazie a una habit-forming force che è l’istituzione universitaria dell’ambiente parigino con le sue pratiche didattiche. Benché oggi la storiografia filosofica tenda a rivalutare e sottolineare la ricchezza di prospettive e la pluralità di pensieri e saperi nel medioevo, pluralità piuttosto soffocata nello scritto di Panofsky, Architettura gotica e filosofia scolastica resta una pietra miliare della storia delle idee, che consente di abbracciare attraverso una sintesi feconda il periodo centrale della storia medievale.

 

Panofsky, Erwin, Architettura gotica e filosofia scolastica, a cura di F. Starace, Abscondita, Milano 2010, pp. 148, € 19