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Manuale per oscurantisti e vecchi bacucchi

di Simone Belfiori - 07/06/2010


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Ed è tempo finalmente di sostituire alla domanda kantiana
“come sono possibili giudizi sintetici a priori?”
un’altra domanda: perché è necessaria la fede in tali giudizi?
E' tempo, cioè, di comprendere,che tali giudizi
debbono essere creduti veri allo scopo
di conservare gli esseri della nostra specie;
per cui naturalmente potrebbero essere anche falsi giudizi!
O, detto più chiaramente, duramente e definitivamente:
giudizi sintetici a priori non dovrebbero affatto “essere possibili”;
non ne abbiamo alcun diritto

Friedrich W. Nietzsche

A fare i ribelli non ci si guadagna, dicono. O si è esotici, o bastian-contrario, oppure oscurantisti, reazionari, retrogradi e – perché no? – anche vecchi bacucchi. Come in ogni epoca, la nuova generazione critica la precedente; man mano che si cresce si critica il mondo in cui si vive e i suoi modelli: era meglio quando si stava peggio, i treni arrivavano in orario e magari potevi anche lasciare la porta aperta di notte. Poi passa il tempo, e tutto si risolve, si “rinnova”, il ciclo si compie e come dicevano i Beatles in “Revolution”, non sai che andrà tutto a posto? Arriva, a questo punto, il solito moralizzatore di turno, con il dito puntato e scandito ritmicamente, a bofonchiare contro la televisione, internet, i social network, la democrazia e le elezioni, la libertà individuale ed il permissivismo – ed aggiungete a piacimento tutti i gingilli e le “belle cose” che la modernità ha prodotto e ci offre, e che anzi noi stessi, gnomi brontoloni dell'ultim'ora, utilizziamo e in cui ci tuffiamo senza poi tante remore. Tutto regolare quindi? Forse no, forse qualcosa di nuovo sotto il sole c'è. Perchè in epoca liberale (che poi, stando ai manuali di scienza politica, nemmeno più tanto tale è) quello che ci offre la società non è la Verità, la Redenzione, ma soltanto la libertà e la possibilità di scelta, di partecipazione. Il critico è invece il nostalgico di tempi e luoghi che è meglio non citare, siano essi rossi o neri, il nemico della e delle libertà. Del resto, come si fa a criticare così radicalmente un qualcosa? Sembrerà poco credibile, ma anche chi scrive è piuttosto ostile al “riduzionismo”, ovvero alla lettura univoca dei fenomeni ed alla loro vera e propria riduzione ad una sola dimensione, sia essa quella scientifica, economica, religiosa o quello-che-vi-pare. I cosidetti “nuovi filosofi” di cui parlava De Benoist, o per tornare alla premessa, i “filosofi” in toto di cui parlava Nietzsche, non sono forse i veri detentori e proclamatori della Verità? Di una sola Verità, benchè democratica e partecipativa?
Per parlarci con più semplicità, come si fa a criticare così radicalmente la Televisione? I luddisti, distruggendo le macchine in fabbrica, hanno già fallito una volta. Ed oggi nel 2010 c'è ancora un movimento che porta le televisioni su un camion e le fracassa di randellate. Pochi a dire il vero, e meno male dirà la massa. La televisione ha “accresciuto” il livello culturale di una nazione intera, che questa nazione stessa l'ha fatta attraverso la lingua e i modelli, i film e i telefilm che hanno visto tutti e cementato una coscienza nazionale, un'identità e un sentimento di condivisione di valori che per quei modelli passavano. Tutti dietro ad una scatola, all'ora di pranzo o sul divano dopocena: la famiglia italica onesta e operosa durante la giornata, finalmente unita e complice: la Rai che parlava nelle case negli anni '60 e '70, coi suoi caroselli e i suoi intrattenitori così vicini a noi e a cui vogliamo così bene, l'informazione per tutti, accessibile e palpabile con mano, l'avvento della TV commerciale negli anni '80 che tanto ci ha fatto divertire e ridere, che ha cresciuto i nostri bambini e allietato i nostri pomeriggi e serate con i quiz, i varietà, e poi lo sport e le canzoni, i pupazzi e le avventure. Come si fa a parlar male di tutto questo? Si può e si deve. Altrimenti dovremmo dare degli idioti a fior fior di pensatori come il compianto Baudrillard, il liberalissimo Popper o il seminale McLuhan e milioni di altri ricercatori che hanno studiato e documentato gli effetti nefasti del medium passivizzante per eccellenza. Si sente spesso affermare che non può mai essere condannabile il mezzo in sé, ma l'uso che di esso si fa; che esso è soltanto un contenitore ed è il contenuto a connotarlo. Certo è che non si può condannare una scatola. Io in questa scatola posso anche guardare i pesci del mare dei tropici, un documentario sulla fecondazione in vitro o una commedia dialettale pugliese. Ma questa frase così tanto ottimista distrugge – superficialmente ed in un sol colpo – il magistrale insegnamento secondo cui il medium stesso è il messaggio. A prescindere da cosa esso ci dica, se ci “informi” bene o male, se dica o meno la verità (quale verità tra le tante poi?), se sia educativo o meno per i nostri figli, se ci sia troppa violenza o sesso, se i modelli che propone sono giusti, se Santoro e Biagi e Travaglio e Luttazzi e la censura e Berlusconi e i padroni dell'informazione e l'informazione non è libera e Rai per una Notte o per tutte le notti. E noi qua a farci dettare la realtà sempre e comunque, la Realtà della Televisione, bella o brutta, utile o dannosa. È comunque quella, la Realtà, che fa rima con Verità, sì, quella verità dei Filosofi, magari democratici e liberi. Come si faccia a non vedere la ineluttabile passività e passivizzazione di tutti noi di fronte al mezzo monodirezionale per eccellenza, rimane un mistero. E qualunque discorso si possa fare attorno ad essa – la televisione – (culturale, scientifico, politico e via discorrendo), la passività del fruitore è inconfutabile. Nemmeno con la famosa interattività si potrà arrivare a tanto. Il suo picco, finora, direi che è stato il telecomando Quizzy dei primi anni '90 coi giochi a premi di Mike Bongiorno. La TV ci detta una realtà che diventa l'unica possibile, di cui si parlerà a lavoro, nei bar, coi vicini di casa e sui giornali. E ci preoccuperemo – i più “avveduti”, quelli che “sanno” e non sono mica capre come gli altri, e magari votano PD o Di Pietro – di quante fregnacce dicono i TG, di quante reti possieda il premier, delle epurazioni e delle censure, della costituzione violata e di tutti i temi scottanti del Dibattito, quello con la D maiuscola. E nel mentre il consiglio comunale che si riunisce a pochi minuti da casa nostra decide (o più spesso NON decide) sul cambiare quel lampione nella nostra strada difettoso da 10 anni, su quell'appalto che premierà questo o quel delinquente, sull'ennesimo autovelox da piazzare chissà dove. Il consiglio regionale deciderà di distruggere un altro pezzo di costa per un albergo che rimarrà magari chiuso o deciderà di autorizzare la coltivazione del pomodoro OGM brevettato in Texas nella tua terra. Il consiglio dei Ministri deciderà il resto, sempre che non l'abbia già deciso l'Unione Europea. Ma l'importante è sapere, e meno male che sappiamo, se solo la televisione ci dicesse la Verità. Se non creasse un'altra realtà. Ma quello che non capiamo è che la Realtà comunque la creerebbe e la creerà, e sarà sempre “altra”, sempre la sua. I più avveduti son preoccupati per i destini di Santoro e della costituzione, o per la dittatura di Berlusconi. Gli altri sono preoccupati per l'eliminazione del loro beniamino su Amici di Maria de Filippi, per la crisi tra Belen e Corona e qualche altro succulento orpello della nostra vita.
Quelli che la TV la spegneranno, magari daranno una mano al proprio vicino di casa, pianteranno lattuga o zucchine in un pezzo di terra; faranno la spesa non seguendo la pubblicità ma tramite un gruppo di acquisto solidale, acquistando prodotti a chilometro zero; leggeranno un libro o impareranno a suonare uno strumento musicale; metteranno in piedi qualche iniziativa culturale o ricreativa; un concerto, una festa, una grande cena con gli amici. Faranno una passeggiata per le vie del centro, parleranno con le persone e magari decideranno insieme su qualcosa che prema a tutti, per il proprio quartiere. Costituiranno dei comitati spontanei, delle assemblee popolari, prenderanno la bicicletta o i mezzi pubblici e sentiranno la “puzza” di prossimo. Vivranno la realtà e la cambieranno giorno per giorno, con il loro esistere e con le loro azioni. Gli altri, continuino pure ad occuparsi di Santoro. Quello che non si comprende, è che non è affatto “pericoloso” disinteressarsi dei Grandi Temi. Non è pericoloso non andare a votare. Non è dannoso distrarsi di fronte alle avvisaglie di una Dittatura. È pericoloso invece dargli ascolto. Lasciarli soli, senza seguito e senza utenza: la politicizzazione delle masse è proprio qui, nel dare un'illusione di partecipazione attraverso il medium, esautorando così le collettività dall'azione diretta sul proprio territorio. Non è con il disinteresse della gente che si crea e alimenta il Potere, ma con l'appoggio diretto e soprattutto indiretto alla Realtà che viene proposta e sancita. C'è dentro fino al collo anche chi sostiene Rai Per Una Notte, Mediaset per Nessuna Giornata, chi vede in Travaglio il messia dopo Cristo e chi va al lavoro tutti i giorni orgoglioso con la sua copia del Manifesto sottobraccio.
Siamo tutti complici ed artefici se non ritorniamo a vivere una volta per tutte. A non volere, per volere di nuovo. In questo senso “non volere è potere”. Perchè questo volere oggi è un'illusione, diversa da quella che sosteneva la comunità nel medioevo. Diversa dai roghi in piazza per propiziare un raccolto, dal valore del rito pagano e dal fondamento delle credenze popolari. Noi oggi quelle illusioni positive  le condanniamo e ne sorridiamo – tranne qualche vecchio bacucco di cui sopra – e ci preoccupiamo della vita di un unico toro in un arena (rito millenario che – per carità – potranno gli spagnoli stessi decidere di eliminare,ed con legittimità a quel punto) senza curarci di 30.000 mucche che vivono in un metro quadro allevate con cibi tossici e nate già per morire. Da altro canto, però, non ci curiamo dell'altra Illusione, quella di “partecipare” con il voto, con il Dibattito intorno alla Realtà della TV, con il nostro account su Facebook, con il “diritto di opinione” e con la creazione del nostro blog, con il tutti in rete attraverso i nostri palmari/cellulari/smartphones da ogni dove, tutti vicini e tutti collegati, tutti partecipi e tutti democratici,ma così soli e lontani.
Non volere è anche vivere il proprio territorio, la propria comunità e il “vero” prossimo – non quello cattolico e generalizzato di tutto il mondo; non volere è smetterla con i nostri “giudizi sintetici a priori”, le nostre Verità sui diritti umani violati in Africa, sui posti – come diceva Gaber – dove ancora non v'è giustizia, democrazia o libertà. Non volere è innanzitutto non voler essere invadenti, non porsi in modo perentorio e definitivo ma nemmeno relativista: è vivere il proprio guardando il resto in “prospettiva”, calandosi nell'Altro e facendo della sua esistenza la condizione per la nostra identità. Guardando al diverso per quello che è e accettandolo, cogliendone i lati che ci possano arricchire, quando guardiamo ad esso nella sua realtà, nella sua interezza e non nella Realtà che ci viene proposta, qualunque essa sia.
Non di network sociali e blog v'è bisogno, in cui il nostro Ego che traspare è comunque sociale anch'esso, ovvero costruzione pubblica, riflesso lontano del prossimo che c'è dietro coi suoi odori e con i suoi umori reali. Internet supera il gap della monodirezionalità di altri media, ed è in questo importante correttivo delle distorsioni soprattutto dell'informazione, parola invero orribile e che richiama già una volontà totalitaria nella sua etimologia: dare forma, disciplinare, insegnare. Ma rimane comunque un medium, un tramite illusiorio e creatore, come un Leviatano, di una realtà che in pochi casi percentuali ha ricaduta sul vissuto.
Perchè il vissuto è fatto di distanze reali, di fatica e meraviglia frammiste a paura per ogni nuova scoperta, piuttosto che di planetarie equivalenze tra un luogo e l'altro solo perchè “viste in Tv”, o di virtuali amicizie e comunioni di spirito con un Diverso che ci piace perchè la Rete lo rende uguale e vicino a noi. Il vissuto è fatto di decisioni e sacrifici, di discussioni con l'alito del prossimo che ci disturba e ci ricorda che siamo vivi, di grandi azioni ed imprese da compiere insieme per cambiare quello che non va, di odori di terra e sapori dei suoi frutti. Il vissuto è l'accorgersi di cosa succede nella strada a fianco, nel quartiere che ti ospita, nella terra che ti “confina” ma ti rende una persona vera. Allora forse non si è dei reazionari ad enunciare i limiti di una modernità che ha annullato distanze e frontiere, che ci ha riempito di stimoli e possibilità, ma ha reso tutto così vuoto ed eguale. Citando un amico, si può affermare che erano forse meglio i tempi in cui potevi ancora perderti qualcosa, mentre oggi c'è Youtube e lo puoi rivedere. O per dirla con l'altrettanto compianto Jean Cau, beati i tempi in cui non si sapeva nulla. Al Tg delle 20, Carestia in Etiopia. Uno scheletro vacilla ambulante verso il Nulla. Immagini terribili, domani tutti ne parleranno. No, hanno già dimenticato. Tra i Sofficini e il Conto Arancio, anche il mio negro di 25 chili.
Allora c'è un reale bisogno di passaggi al bosco, di non volere e rifiutare, di “chiamarsi fuori” per tornare dentro. Senza essere definiti oscurantisti o vecchi bacucchi, ma forse è ancora troppo presto per pretenderlo.