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Da Darwin all’ordine della vita. Le ragioni di una rivoluzione (V parte)

di Stefano Serafini - 14/06/2010

Fonte: Atrium

5. Giuseppe Sermonti

 

Giuseppe Sermonti (Roma, 1925), una laurea in Scienze Agrarie dall’Università di Pisa ed una in Scienze Biologiche dall’Università di Roma, iniziò la sua carriera come responsabile del reparto di Genetica Microbiologica dell’Istituto Superiore di Sanità diretto da E. B. Chain. Dobbiamo alle sue ricerche la scoperta della sessualità nel Penicillium (a Glasgow, con Guido Pontecorvo) e negli streptomiceti (con sua moglie Isabella). Gli tocca dunque il titolo di padre della Genetica dei microorganismi industriali.[1] Di tale disciplina fonda e dirige la Commissione Internazionale. Consulente di alcune fra le più importanti multinazionali farmaceutiche, dirige la International School for General Genetics del Centro Ettore Majorana, a Erice, presso la quale organizza corsi quadriennali di Microbial Breeding. Nominato cattedratico di Genetica, prima all’Università di Palermo, poi a quella di Perugia, è due volte presidente dell’Associazione Genetica Italiana, e nel 1980 è vicepresidente del XIV Congresso Internazionale di Genetica a Mosca, unico italiano invitato.

 

Nel 1971 pubblica con Boringhieri il trattato Genetica Generale. L’anno seguente, con Zanichelli, l’operetta divulgativa Vita coniugale dei batteri; ma contemporaneamente comincia a riflettere sul significato della scienza e la sua inadeguatezza. Sollecitato da Elémire Zolla e Alfredo Cattabiani, pubblica così anche i due saggi critici Il crepuscolo dello scientismo[2] e La mela di Adamo, la mela di Newton.[3] Questi testi, sostenuti da una cultura umanistica e scientifica di grande respiro europeo, contestano la riduzione della scienza ad una convenzione strumentale per il dominio tecnico, preorientata in gran parte da cornici di natura extrascientifica (per citarne alcuni: il capitale, l’industria, il mito del Progresso, la guerra). Essi mostrano anche con esempi tratti dalla storia della medicina e della chimica che i suoi successi, con i quali essa giustifica se stessa, sono quasi sempre dovuti all’indebita appropriazione di conoscenze pre-scientifiche, o a sviluppi dell’industria bellica. Il darwinismo – un’ideologia, piuttosto che una visione scientifica basata su dati positivi – è in qualche modo la sintesi di tale spirito perduto.

 

La reazione da parte di certi potenti colleghi accademici non si fece attendere. Il trasferimento alla cattedra di genetica dell’Università di Roma previsto di lì a poco, inspiegabilmente si blocca. Una serie di attacchi personali compaiono su L’Unità, e in lettere anonime recapitate al suo mentore scientifico in Gran Bretagna, il genetista Bruno Pontecorvo. Approfittando del clima politico degli anni ’70, quando anche la casa editrice Rusconi cade oggetto di poco edificanti inviti ad erigerle intorno un «cordone sanitario», si organizzano contestazioni studentesche alle idee dell’Autore, accusato senza troppe spiegazioni di conservatorismo ideologico.

 

Sermonti non si arrende, e continua a scavare alle fondamenta della scienza. Concentrandosi sull’evoluzionismo neo-darwiniano, lo attacca dall’interno con un approccio strutturalista, e dall’esterno con una radicale critica epistemologica e socio-culturale. Sul fronte scientifico la battaglia si svolge in importanti sodalizi internazionali: dal 1980 egli assume infatti la direzione della Rivista di Biologia, la prima pubblicazione biologica al mondo, fondata nel 1919 da Ugo Spirito, e la trasforma in un punto di riferimento mondiale per le più valide idee biologiche non conformi; dal 1986, inoltre, si impegna nel Gruppo di Osaka, e organizza numerosi convegni in Italia e all’estero. Il 1986 è anche l’anno della pubblicazione di Dopo Darwin, di cui parleremo più avanti, e quello in cui Sermonti decide di lasciare l’insegnamento universitario. Sul piano culturale e divulgativo l’impegno non è minore, con la pubblicazione di centinaia di elzeviri sui quotidiani Il Tempo, Roma, Il Giornale e Il Foglio, numerose conferenze, e la pubblicazione di sorprendenti volumi che punteggiano un percorso di ricerca vivace e multidisciplinare, a cui non fa difetto il bello scrivere.

 

Se già nel 1974 una deliziosa raccolta di fiabe su temi scientifici[4] aveva dimostrato l’interesse dell’Autore per il significato e le simbologie della scienza nascoste nella tradizione delle favole (ad es. la storia di Biancaneve, nata in ambienti della Rühr come metafora dell’estrazione dell’argento, “avvelenato” col cianuro e dormiente fino al “bacio” della fornace), nel biennio 1981-1982 compaiono due brevi saggi di intensa meditazione: Le forme della vita[5] e L’anima scientifica.[6] In particolare quest’ultimo, edito in poche centinaia di copie, destò l’ammirazione di originali pensatori come Zolla («il capolavoro di Sermonti»), Panikkar (il teologo raccontò di non aver chiuso occhio per divorarlo in una notte) e Cattabiani, il quale, oramai in fin di vita per il cancro che lo affliggeva, pregò l’editore Albertazzi (La Finestra) di ripubblicare la gemma di Sermonti.[7]

 

L’anima scientifica è «una discussione sul metodo, una sorta di dialogo sui massimi sistemi, di cui uno è l’evoluzionismo e l’altro è la realtà».[8] Vi scrive Sermonti:

 

«Come insegnava Goethe, non dovremmo chiederci il perché ma il come delle cose. Nel chiedere il perché c’è un tacito presupposto che dietro ogni cosa ci sia un’intenzione, un proposito (appunto, un “perché”) e quindi che ogni cosa sia scomposta o scomponibile in fini e strumenti, o mezzi di produzione, come un’azienda umana. Sotto tutto questo c’è una sottile mentalità ottimistica, economicistica, produttivistica. No. Il mondo opera su un’altra dimensione, galleggia nell’eterno, è sospeso nell’infinito, ed è per l’appunto questo spostarci nelle sue dimensioni incantate il più raffinato e prezioso risultato della conoscenza, e non, al contrario, quello di rovesciare il mondo ai nostri piedi.

Comprendere la realtà per rappresentazioni, per riferimenti a tipologie, vuol dire riceverla per simboli. (...)  [Ma] una scienza che riceve la natura per simboli, che la interpreta attraverso archetipi, si dispone ad offrirci una immagine delle cose che stranamente richiama quella di un’antica ermeneutica, oppure quella di una sacra rappresentazione. (...) Gli scienziati hanno esplorato il mondo per innumerevoli ragioni e ispirazioni, con amore o con odio, con rispetto od arroganza, al servizio della verità o della menzogna. Ciò che semmai si può rimproverare loro è quello d’aver consentito (ma non tutti l’hanno fatto, specie tra i maggiori) a farsi rappresentare dai cavalieri dell’apocalisse, di aver accettato l’invito alla tavola del lupo, o anche d’essersi fatti commuovere dalle omelie di profeti travestiti.

Non voglio processare l’umanità o me stesso, ma proporre una strada in cui trovo più senso, più garbo, più saggezza che nelle piste della scienza ufficiale. E non sono certo io il primo a suggerirla. Io non faccio che ricercare un sentiero che piedi sapienti hanno percorso molto prima di me, e non ho mai ambito né pensato, né preteso, di saper fare qualcosa di più di questo.»[9]

 

Nel 1980 era già uscita la principale opera sul darwinismo, scritta a due mani col giovane paleontologo Roberto Fondi il quale si dedicò soprattutto alla seconda parte del volume dedicata all’applicazione dell’Evoluzione all’uomo. Il libro destò clamore, e conobbe cinque edizioni in soli due anni.[10] La ricca documentazione riabilita la dignità scientifica della forma, e ribalta l’idea di un’origine spontanea della vita e dello sviluppo graduale dal semplice al complesso, mostrando che la ricchezza delle forme viventi non è aumentata col progredire delle ere, e che non sono mai esistite incompiute “forme intermedie”. La vita echeggia nel tempo variazioni di temi perenni, dentro l’architettura senza storia delle leggi naturali. Una rilevante appendice al dibattito sarà aggiunta da Sermonti cinque anni dopo, pubblicando La luna nel bosco, saggio sull’origine della scimmia,[11] che contesta l’origine scimmiesca dell’uomo.

 

L’argomento verrà infine ripreso dall’Autore un ventennio dopo nel volume Dimenticare Darwin,[12] una sorta di pacata ed elegantissima resa dei conti col vecchio avversario, davanti al tribunale del tempo. Con argomenti aggiornati alla letteratura scientifica del post-darwinismo e dei grandi colleghi di fronda coi quali ha potuto confrontarsi in tutto il mondo dopo l’edizione del primo libro, conferma le proprie conclusioni, e invita le discipline della vita ad accogliere l’invito del matematico e filosofo Alfred N. Whitehead: «Una scienza incapace di dimenticare i propri fondatori è perduta». A conclusione della prefazione, Sermonti fra l’altro puntualizza:

 

«Per le riserve che nutro nei confronti dell’Evoluzionismo sono stato accusato d’essere un “creazionista”. Non lo sono: se me lo si permette, aspirerei soltanto ad essere una creatura.»[13]

 

In quegli anni l’editore romano Di Renzo comincerà l’opera ancora in corso di pubblicazione delle “commedie da tavolo”,[14] dialoghi immaginari ma verosimili tra i protagonisti delle più illuminanti vicende storiche della scienza, dalla scoperta dalle leggi di Mendel al dibattito sulla circolazione sanguigna, dal Progetto Manhattan, alla vita dello scienziato e filosofo russo Pavel’ Florenskj.

 

Dall’interesse per le modalità simboliche, il significato e le origini della scienza, Sermonti ha tratto anche negli ultimi anni un sorprendente filone di ricerca, apparentemente sconnesso dal suo campo d’indagine. È lo studio dell’origine zodiacale degli alfabeti semitici, basato sulla comparazione formale, simbolica e ordinale con gli antichissimi segni di raffigurazione delle costellazioni (databili a oltre 20.000 anni dal presente) e le lettere della nostra famiglia alfabetica, testimoniate già intorno al III millennio a.C. In realtà non si tratta che della medesima riflessione sull’enigma della forma, mossa da una prospettiva più generale, quella culturale. Nel 2002 esce così Il mito della grande madre, dalle Amigdale e Çatal Hüyük,[15] un volume ricchissimo di osservazioni astronomiche, archeologiche, filosofiche e naturalistiche sulle radici della nostra civiltà. L’approfondimento della genesi della scienza ha condotto lontano l’Autore, dimostrando la fecondità delle sue riflessioni e delle sue intuizioni.



[1] Cfr. G. Sermonti, Genetics of Antibiotic-Producing Microorganisms, Wiley & Sons, London 1969.

[2] Rusconi, 1971, riedito nel 2002 per i tipi di Nova Scripta.

[3] Rusconi, 1974, anche questo riedito da Nova Scripta, 2006.

[4] Il Ragno, il Filo e la Vespa, Mondadori, Milano 1974, riedito nel 2004 col titolo La Danza delle Silfidi dall’editore La Finestra (Lavis). A questo volume ne seguiranno altri tre, a carattere tematico: Fiabe di Luna, Rusconi, Milano 1986; Fiabe del sottosuolo, Rusconi, Milano 1989; Fiabe dei fiori, Rusconi, Milano 1992. Col titolo Fiabe di tre reami. Simbolismo e funzione delle fiabe, essi sono stati raccolti in una silloge illustrata di oltre 650 pagine dall’editore La Finestra nel 2004.

[5] Armando, Roma 1981, riedito da Sodalitium, Verrua Savoia 2003.

[6] Dino, Roma 1982, poi La Finestra, Lavis 2003.

[7] Comunicazione personale di Marco Albertazzi.

[8] G. Sermonti, L’anima scientifica, La Finestra, Lavis 2003, p. 47.

[9] Ivi, pp. 49-51.

[10] G. Sermonti - R. Fondi, Dopo Darwin. Critica all’evoluzionismo, Rusconi, Milano 1980.

[11] Rusconi, Milano 1985.

[12] G. Sermonti, Dimenticare Darwin. Ombre sull’evoluzione, Rusconi, Milano 1999, uno degli ultimi titoli prima della chiusura del grande editore, andato presto esaurito. Riproposto con una cattiva qualità editoriale da Il Cerchio di Rimini nel 2003 (edizione rivista e ristampata nel 2006), è anche il primo libro dell’A. tradotto negli Stati Uniti col titolo Why a Fly is not a Horse?, Discovery Institute, Seattle 2005.

[13] G. Sermonti, Dimenticare Darwin. Ombre sull’evoluzione, Rusconi, Milano 1999, p. 14.

[14] Profeti e professori. Tre “commedie da tavolo”, 1997; Scienziati nella tempesta. Profeti e professori, 2003; Tra le quinte della scienza. Profeti e professori. Cinque commedie da tavolo, 2007. Questo approccio alla storia della scienza aveva avuto un precedente, dalla forma più tradizionale, nel volume: Mendel, nascita e rinascita della genetica, La Scuola, Milano 1984.

[15] Mimesis, Milano.