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Botswana, i Boscimani chiedono il diritto all'acqua

di Romina Arena - 20/06/2010


Il Governo del Bostwana impedisce ai Boscimani di rientrare in possesso delle loro terre ancestrali. Tra i metodi utilizzati per questa strategia di sgombero, la negazione del diritto all’acqua e la cementificazione dei pozzi.


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I Boscimani hanno portato un’altra volta in tribunale il governo del Botswana, reo di impedire loro il ripristino e l’utilizzo del pozzo d’acqua esistente nelle loro terre
I Boscimani hanno portato un’altra volta in tribunale il governo del Botswana, reo di impedire loro il ripristino e l’utilizzo del pozzo d’acqua esistente nelle loro terre. Il dibattimento, spiega Survival, del movimento per i popoli indigeni è iniziato lo scorso 9 giugno a Lobatse, una città a sud della capitale Gaborone.

La storia del pozzo e del suo utilizzo, però, è soltanto un’occasione tra le tante per sottolineare la speciosità di una strategia vecchia di secoli, volta a sfrattare i Boscimani dalle loro terre ancestrali.

Circa 1500 anni fa, le terre dei Boscimani (termine che deriva dalla traduzione inglese della parola olandese/afrikans “Bosjemans” o “Bossiesmans”, ovvero “banditi” e “fuorilegge”) iniziarono ad essere invase dalle tribù dei pastori Bantu a cui negli ultimi tre secoli si sono aggiunti progressivamente anche i colonizzatori bianchi, Boeri prima e Britannici poi.

Da allora, i Boscimani hanno continuato a subire pesanti discriminazioni, deportazioni e omicidi: uno sconosciuto e sottaciuto genocidio di massa che ha ridotto sensibilmente i Boscimani da milioni che erano a soli 100.000 individui.

Agli inizi degli anni Ottanta, all’interno della riserva in cui erano stati confinati vennero scoperti i diamanti e nel 1986 le autorità governative misero in atto strategie volte ad intimidire i Boscimani per costringerli ad abbandonare quell’area.

Nel 1997 furono effettuate le prime operazioni di sgombero a cui ne seguirono altre nel 2002 e nel 2005. Oggi, i Boscimani vivono in campi di reinsediamento appositamente costruiti dal Governo senza la possibilità di svolgere le loro tradizionali attività tra cui la caccia e costretti a dipendere dalle razioni di cibo del governo.

Nel 2002, i Boscimani decisero per la prima volta di trascinare il governo di Gaborone in tribunale per averli sfrattati illegalmente dalle loro terre. Purtroppo alcuni vizi di forma dilatarono di due anni l’inizio del processo.

Inizialmente, i Boscimani adulti che avevano intentato la causa erano 239 a cui si aggiunsero successivamente altri 135 per un totale di 1000 persone (inclusi i figli) rappresentate nel processo. Mentre il processo si trascinava tra rinvii e ritardi il governo cancellava dalla Costituzione del Paese una clausola chiave che proteggeva i diritti territoriali dei boscimani. Il verdetto è arrivato il 13 dicembre 2006 e contrariamente alle aspettative i Giudici si sono espressi a favore dei Boscimani dichiarando ”illegali e incostituzionali” le operazioni di sfratto, confermando così il diritto dei Boscimani a vivere all’interno delle loro terre ancestrali.

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I Giudici hanno stabilito che i Boscimani hanno il diritto di cacciare e praticare l’agricoltura liberamente all’interno delle loro terre e di abitarle senza bisogno di richiedere speciali permessi di ingresso
Inoltre, i Giudici hanno stabilito che i Boscimani hanno il diritto di cacciare e praticare l’agricoltura liberamente all’interno delle loro terre e di abitarle senza bisogno di richiedere speciali permessi di ingresso. Sebbene il Governo, dopo questa sentenza, abbia subito rinunciato a ricorrere in Appello, non ha mai smesso di fare tutto quando fosse in suo potere per non permettere il ritorno a casa dei Boscimani, impedendo loro di utilizzare i pozzi d’acqua; rifiutando di accordare loro i permessi necessari a cacciare nelle loro terre, arrestando coloro i quali per sfamare le proprie famiglie violino il divieto di caccia; confiscando piccole greggi che i Boscimani portano con sé al momento di ritornare alle proprie terre.

In queste ultime battute della complessa vicenda è il pozzo, come anticipavamo, quindi l’approvvigionamento di acqua a destare le maggiori preoccupazioni.

Nonostante siano stati fatti dei tentativi per un dialogo ed una possibile negoziazione da parte dei Boscimani, il Governo insiste nel vietare loro l’utilizzo del pozzo per procurarsi acqua fresca. Il divieto, in uno degli ambienti più aridi del pianeta, si traduce per i Boscimani nell’obbligo di affrontare un cammino di oltre 480 km per potersi rifornire di acqua.

Questo e le numerose morti per disidratazione hanno costretto i Boscimani a ritornare in Tribunale con l’obiettivo di vedersi riconoscere il fondamentale diritto umano all’acqua.

James Anaya, massimo funzionario Onu per i diritti dei popoli indigeni ha già condannato, in un suo dossier del febbraio di quest’anno, il Botswana per la sua condotta e per non aver saputo rispettare i basilari standard internazionali sui diritti umani, ponendo la riapertura del pozzo come questione di massima urgenza.