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William Dalrymple, Dalla montagna sacra

di Miguel Martinez - 24/06/2010


Non avrei mai pensato di riprendere un articolo da Fare Futuro webmagazine, un sito prossimo alle politiche di Gianfranco Fini, anche se accoglie posizioni piuttosto diverse.

Però si tratta di una recensione ineccepibile di uno dei miei libri preferiti, di cui ho parlato spesso su questo blog: William Dalrymple, Dalla montagna sacra. Un testo fondamentale per disintossicarsi dalla cultura dello "scontro di civiltà". Senza scadere nel buonismo ecumenico e nella negazione delle reali diversità.

Sembra che in Italia, i riferimenti Islam e cristianesimo debbano passare, a Destra, attraverso isteriche urla identitarie; a Sinistra, attraverso la finzione della loro inesistenza. Probabilmente anche per questo, il libro di Dalrymple, ben più importante di quello di Oriana Fallaci, è stato accolto con tanta indifferenza.

Spero che i miei complimenti non portino sfortuna all'autore...



"Attraversare" le religioni: viaggio nei santuari condivisi

Giuseppe Mancini

FareFuturo webmagazine – 24 giugno 2010

La recente visita di Benedetto XVI a Cipro, durante la quale è stato diffuso il documento preparatorio al Sinodo dei vescovi per il Medio oriente previsto a ottobre, ha richiamato l'attenzione dei mezzi d'informazione sulle precarie sorti dei cristiani d'Oriente. I primi cristiani, appartenenti alle Chiese poi nate dopo gli scismi dei concili di Nicea del 325, di Efeso del 431 e di Calcedonia del 451 (tutti i primi 12 concili vennero celebrati sul territorio dell'attuale Turchia): che oggi – penalizzati da una demografia stentata – sopravvivono a fatica tra nazionalismi ostili, fondamentalismi espansivi e conflitti sanguinosi.

Della traballante condizione contemporanea dei melchiti (di rito bizantino), dei copti, dei maroniti, dei siri, degli assiri, dei caldei, si è occupato un decennio fa lo scrittore scozzese William Dalrymple: che è andato a scovarne i superstiti – tra monasteri, chiese, rovine e tombe – sui territori del defunto impero bizantino, dal monte Athos all'Egitto e attraverso la Turchia, la Siria, il Libano, la Palestina. Dalla montagna sacra. Un viaggio all'ombra di Bisanzio (1997) è un diario di viaggio: ma è anche una ricostruzione storica approfondita, un dialogo appassionato, una meditazione triste su un mondo che – pienamente vitale fino a cent'anni orsono – dopo quasi due millenni rischia di scomparire. Un mondo che è diventato l'ombra dello splendore che fu, ma che all'osservatore attento riserva inaspettate sorprese. Come la chiesa e monastero di San Giorgio, sull'isola di Büyükada nel mare di Marmara, proprio di fronte a Istanbul: un santuario condiviso, frequentato senza distinzioni o divisioni da devoti cristiano-ortodossi e musulmani – e non mancano gli armeni e gli ebrei.

Dalrymple vi ha dedicato una gita di mezza giornata e 3 paginette: ma un libro pubblicato in Francia lo scorso anno, frutto di lunghi periodi di ricerche antropologiche sul campo, rivela i meccanismi che spingono a queste frequentazioni plurali, analizza le forme ibride e contaminate che la devozione assume nei “luoghi santi condivisi”. Un lavoro di alto profilo accademico che, nei saggi che lo compongono, estende la sua analisi delle “religioni attraversate”, degli attraversamenti consapevoli e mutualmente accettati da uno spazio religoso a un altro, alle tre religioni monoteistiche di tutto il bacino del Mediterraneo: dalla Turchia al Libano, dalla Siria al mar Nero, dal Marocco all'Egitto, dalla Macedonia alla Bulgaria, dalla Bosnia all'Albania. In Religions traversées. Lieux saints partagés entre chrétiens, musulmans et juifs en Méditererranée (a cura di Dionigi Albera e Maria Couroucli, Actes Sud, Arles, 2009, pp. 360, € 27) vengono studiati anche quei santuari condivisi che hanno ritrovato la loro piena fruizione dopo il disfacimento del mondo comunista, ricatalizzando energie represse ma non scomparse.

I casi di più lunga tradizione appartengono comunque all'Oriente già bizantino. Sono luoghi in cui oggi l'attraversamento si fa quasi sempre in un senso, dal mondo musulmano verso gli spazi cristiani. Ma quest'esclusività è mera funzione dei numeri, della sproporzione demografica tra le due comunità. Un'esclusività che è fenomeno solo recente: perché fino ai primi decenni del secolo scorso, fino agli scambi di popolazione (e al repentino declino anche numerico dei cristiani d'Oriente) che hanno caratterizzato le guerre balcaniche e la fine dell'impero ottomano, la reciprocità era la regola. In un altro fondamentale testo citato e brevemente discusso nelle conclusioni di Religions traversées – Christianity and Islam Under the Sultans di Frederick Hasluck, vera enciclopedia del sincretismo religioso ottomano pubblicata nel 1929 – gli esempi riportati di luoghi santi condivisi frequentati indistintamente da musulmani, cristiani ed ebrei sono infatti centinaia – ma per la maggior parte appartengono ormai al passato.

Resiste Büyükada, la chiesa di San Giorgio con l'annesso monastero. Luogo privilegiato di devozione della comunità ortodossa dell'isola e dell'intera Istanbul, che negli ultimi decenni – soprattutto il 23 aprile, nel giorno del Santo – attira decine di migliaia di musulmani – soprattutto donne, ma non mancano le famiglie intere – in cerca di una grazia. Ne parlano Dionigi Albera e Benoit Fliche – anch'essi però brevemente – in uno dei saggi più interessanti della raccolta, dedicato alle pratiche devozionali miste nelle chiese di Istanbul: soprattutto in quella di Sant'Antonio da Padova, sulla strada principale dell'Istanbul europea, frequentata da musulmani, da armeni, da ebrei – tutti accolti e ascoltati con entusiasmo dai religiosi cattolici.

L'aspetto più interessante del pellegrinaggio del 23 aprile a Büyükada, oltre alle dimensioni prorompenti della folla che si accalca già di buon mattino al di fuori della chiesa, è l'ibridità irrefrenabile delle forme devozionali: con le donne musulmane che si segnano con l'acqua santa, che chiedono la benedizione del pope di turno, che accendono candele colorate (ogni colore corrisponde a una tipologia di grazia), che legano fili di cotone o nastri (sempre colorati) agli arbusti del giardino, che scrivono su un pezzo di carta la loro richiesta (un dilek, un desiderio) poi consegnata all'attenzione di San Giorgio, che tornano l'anno seguente con una scatola di zollette di zucchero da distribuire agli altri pellegrini in caso di grazia ricevuta. Sempre con rispetto, spesso con l'orgoglio di chi tiene in vita un mondo prezioso ma altrove perduto.