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Un lupo a guardia degli agnelli

di Alessia Lai - 09/08/2010


Potrebbe essere una barzelletta. Ma non lo è. Viene da chiedersi, allora, con quale coraggio il segretario generale dell’Onu possa aver scelto l’ex presidente colombiano Álvaro Uribe per condurre l’inchiesta internazionale sull’eccidio della Mavi Marmara: la strage compiuta dalle teste di cuoio israeliane a bordo di una delle navi del convoglio che il 31 maggio scorso puntava verso le coste di Gaza per portare aiuti umanitari nella Striscia.
Ad elencare le nefandezze che la Colombia ha visto negli otto anni dei due mandati di Uribe si resta basiti. Ma, come se fosse un premio per un governante illuminato, l’Onu ha deciso di incaricare questo signore di far luce su uno degli atti più vergognosi commessi da Israele negli ultimi anni. Le conclusioni sono, ovviamente, già scritte. Come potrebbe essere altrimenti? Come potrebbe, Álvaro Uribe, esprimere un giudizio sincero su questioni di “diritti umani” quando di questi ha fatto impunemente strame durante i suoi mandati? Stragi, paramilitari mai smobilitati, miliziani e militari graziati da leggi ad hoc, persecuzioni di giornalisti, avvocati, sindacalisti e politici, corruzione e ruberie. “Particolari” che non hanno mai incrinato il solido rapporto con gli Usa, ai quali, a pochi mesi dalla fine del mandato, ha “regalato” l’occupazione di sette basi colombiane facendo del Paese la più grande installazione militare statunitense in America latina. A guardia dei Caraibi e del confinante Venezuela, troppo socialista, troppo libero, troppo sovrano per rientrare nei canoni delle “democrazie” gradite a Washington. Non come la Colombia, nelle mani di Uribe conservatrice, liberista, in stretti rapporti militari con Tel Aviv,  sempre sull’attenti e pronta a divorare parti sé stessa, del proprio popolo, pur di compiacere la Casa Bianca.
Giovedì, a due giorni dal passaggio di consegne col presidente eletto Santos, Uribe ha rievocato con enfasi i risultati ottenuti dal suo governo paragonando il suo lavoro a quello di un seminatore, spiegando che uno dei semi da lui lasciati è quello di “un Paese convinto che la sicurezza è possibile, e che bisogna recuperarla pienamente (…) un Paese - ha spiegato - convinto che la Colombia sia una grande meta di investimenti”. Ma la sua politica di sicurezza è quella dei “falsos posivos”: migliaia di cittadini comuni, magari impegnati in politica o nel sindacalismo, o solo campesinos residenti in zone ambite dalle multinazionali alle quali Uribe ha garantito proprio quegli investimenti, uccisi da esercito e paramilitari. Spacciati per pericolosi guerriglieri e sepolti in immense fosse comuni che di tanto in tanto vengono alla luce. Di altri non esiste nemmeno più traccia: inceneriti in forni crematori per non dover registrare un numero troppo alto di falsi-guerriglieri deceduti, qualcuno avrebbe potuto sospettare. Lo ha rivelato ai giudici “el Iguano”, Iván Laverde Zapata, un ex paramilitare che ha aggiunto a quel che già si sapeva sullo sterminio sistematico di cittadini colombiani particolari sconvolgenti.
Di tutto questo, Uribe, il suo ex ministro della Difesa ora suo successore, gli alti gradi militari, non potevano non sapere nulla. Nel frattempo il Das, di dipartimento di intelligence colombiani, alle dirette dipendenze del presidente, intercettava giornalisti, politici d’opposizione, sindacalisti, avvocati specializzati nei diritti umani, diplomatici di Paesi “nemici” come Ecuador o Venezuela. Forse anche i presidenti di questi Paesi.
Nel ritratto di Uribe non può mancare l’interesse privato, il tentativo di corruzione dei giudici che avrebbero dovuto sancire la sua terza candidatura alla presidenza. O le minacce ai magistrati che in questi giorni stanno indagando su suo figlio Thomas, accusato di aver pagato bustarelle per garantire la rielezione di papà nel 2006.
È ancora possibile stupirsi per l’avallo di Israele all’inchiesta Onu sulla Freedom Flotilla? Cane non mangia cane…