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Gli Usa si ritirano, la guerra continua

di Tom Hayden - 23/08/2010




Mentre l'amministrazione Obama si sforza per mantenere la promessa di finire la guerra in Iraq, dietro le quinte sta prendendo corpo un piano del regime di Baghdad per «invitare» l'esercito americano a rimanere. Gestire il ritiro delle truppe combattenti è stato un risultato significativo per Obama. Ma mentre l'attenzione dei media si è concentrata sull'ultima brigata che ha lasciato l'Iraq, l'ex ambasciatore americano a Baghdad Ryan Crocker ammoniva che se gli iracheni «verranno a chiederci, alla fine di quest'anno, di rivedere la nostra strategia post-2011, quando è previsto il ritiro definitivo, sarà nel nostro interesse strategico avere pronta una risposta». (New York Times del 19 agosto scorso).

Questo vuol dire lasciare le truppe e le basi, mantenendo un avamposto americano in Medio Oriente. Altrimenti, secondo alcune fonti del Pentagono, la guerra in Iraq sarà stata vana. Per non tradire l'accordo sul ritiro definitivo entro il 2011, gli attivisti e i parlamentari degli Stati Uniti dovranno rivisitarlo attraverso audizioni e modifiche al bilancio.
Per capire, facciamo un passo indietro: alla fine del 2008, un negoziato segreto tra Washington e Baghdad sfociò in un patto che gli iracheni chiamano «accordo per il ritiro» e gli americani «accordo sullo stato delle forze armate». Questo patto, in realtà, non è mai passato in Congresso. La sua adozione ha comunque permesso agli iracheni di rivendicare una vittoria di sovranità e agli americani di dichiarare la fine diplomatica di una guerra impopolare.

In realtà, la guerra in Iraq non è mai finita. Le vittime statunitensi sono diminuite notevolmente perché un minor numero di iracheni ha voluto colpire gli americani che stavano lasciando il paese. Le vittime irachene sono diminuite rispetto agli inquietanti picchi del 2006-7, ma continuano ad essere parecchie centinaia al mese. Al Qaeda in Mesopotamia, che non esisteva prima dell'inizio della guerra, è sopravvissuta. Le forze di Moktada al Sadr, che hanno lanciato due rivolte contro gli Stati Uniti, sono diventate un fattore importante nella politca irachena. La crisi curda non è risolta. Nel complesso, l'Iran ha prevalso strategicamente e politicamente. E il regime di Baghdad installato dagli americani sembra essere bloccato in uno stallo senza speranza, inefficiente, sull'orlo dell'implosione. Gli unici vincitori occidentali sono le aziende petrolifere, guidate dalla British Petroleum, che adesso sta gestendo i giacimenti di Basra.

Il dipartimento di stato di Washington sta allargando un intervento militarizzato ma etichettato come «civile», con l'obiettivo di riempire i vuoti lasciati dalla partenza delle truppe del Pentagono. Migliaia di contractor si occuperanno dell'addestramento della polizia, della protezione dello spazio aereo iracheno, possibilmente anche delle operazioni anti-terrorismo. I funzionari del dipartimento viaggeranno protetti, su vetture corazzate e sui loro stessi aerei.

Il futuro immediato è incerto. Ai soldati americani in Iraq è stato detto che la loro missione «sarà terminata». Ma la verità rimane nascosta. La promessa dell'amministrazione Obama di finire la guerra non è stata mantenuta. E l'idea di lasciare una presenza militare, ha scritto il New York Times, «è stata del tutto bandita dal dibattito pubblico». Secondo un funzionario del governo citato dal giornale, «in questo momento l'amministrazione non vuole toccare l'argomento». 

Una guerra iniziata con il sogno di portare la democrazia in Medio Oriente sta terminando con piani per tenere più truppe nascoste agli elettori americani durante un anno in cui si vota. Vi suona familiare?