Hugo Chavez e Juan Manuel Santos, vincitori di pace e di guerra
di Tahir de la Nive - 25/08/2010
Recentemente, abbiamo dedicato alcuni articoli sul fenomeno del terrorismo, in particolare confutando le accuse dei governi spagnolo e americano contro Hugo Chávez, i quali sostengono di appoggiare questo fenomeno, però senza dimostrare minimamente che i gruppi terroristi sono parte della strategia di destabilizzazione mondiale degli yankee. Più recentemente, sono apparsi su “Kikiriki” alcuni articoli sull’Operazione Northwoods e il nostro punto di vista sulla “Guerra tra i popoli fratelli manovrata da Washington”, vale a dire, il conflitto tra Colombia e Venezuela.
Grazie al Padrone dell’Universo, quel conflitto è stato evitato. Il summit del 19 agosto 2010 tra Hugo Chávez e Juan Manuel Santos, gli accordi di pace tra Colombia e Venezuela, rimarrà nella Storia come un modello di successo diplomatico tanto per la sua portata politica, quanto per la sorpresa imposta a livello internazionale. Oggettivamente si può dire che Hugo Chávez ha vinto entrambe: la pace e la guerra. La pace con il popolo fratello di Colombia, la guerra, senza aver ascoltato nemmeno uno sparo, contro tutti quelli che se la aspettavano, in primo luogo i dirigenti dell’impero yankee, la cui strategia consiste nel seminare discordia tra i popoli della terra, come l’hanno ben appreso quelli dell’Europa e delle’America latina, essendo questi ultimi i più minacciati per il fatto di trovarsi alla portata di Washington.
Il merito lo si deve attribuire anche a Juan Manuel Santos, nuovo presidente della Colombia, per aver eroicamente – la parola non rappresenta un’esagerazione, come vedremo – deciso di rompere con la politica di aggressione contro il Venezuela dettata dal suo predecessore, Álvaro Uribe, dai suoi padroni della “White House” e dalla Mafia, se questa distinzione ancora ha un senso. Il mondo è abituato alle cortesie e agli abbracci tra capi di Stato antagonisti, nonostante i sospetti d’ipocrisia e “diplomazia”che queste manifestazioni pubbliche rappresentano nel peggiore dei casi. La stessa domanda si potrebbe formulare nei confronti di Juan Manuel Santos: in quale misura l’anziano ministro della Difesa di Uribe era sincero, se teneva un coltello nell’altra mano con la quale ha accettato la Biografia di Simón Bolívar offerta da Hugo Chávez? La questione, il dubbio erano giustificati come lo è ogni decisione, vale a dire, quella di non abbassare la guardia fino a quando non si rendano concreti gli accordi firmati e che si confermi la sincerità dell’omologo colombiano.
La risposta a quei dubbi e questioni se la sono posta coloro che abbiamo appena indicato come i vinti di quella battaglia tra i popoli fratelli dell’America latina e dell’”impero” che li terrorizza, che li spoglia tanto delle loro ricchezze quanto della loro indipendenza ottenuta sotto il comando di Bolívar. E la CIA ha risposto come usa fare, reso esplicito dal famoso “bulldozing” pronunciato da Henry Kissinger. Abbiamo raccontato in svariate occasioni come questi minacciò ad Ali Bhutto con le parole “I will bulldoze you!”, poco prima di essere rovesciato da Zia-ul-Haq, perché voleva fare del Pakistan il leader del Terzo Mondo e come Zia sia stato a sua volta vittima della CIA, perché nel 1988 osò criticare la politica americana rispetto all’Afganistan. Successivamente, è stata la volta della figlia di Ali Bhutto, Benazir, vittima degli assassini. Il Pakistan rappresenta un eccellente esempio di paese nel quale la CIA detta legge, “distruggendo” a chiunque e rimpiazzandolo con chi essa vuole, vale a dire, con un altro candidato che soffrirà la stessa tragica sorte.
L’attentato esplosivo avvenuto a Bogotá la mattina del 12 agosto non ha altra spiegazione né altra firma che quella della mano degli anziani padroni di Uribe, apparentemente poco soddisfatti con il servizio del suo successore. Quell’auto bomba che ha lasciato sette feriti, rappresenta un cambio di rotta che potrebbe inaugurare una campagna di destabilizzazione terrorista in Colombia, nella quale si vedrà coinvolto in primo piano il popolo colombiano e in secondo piano quello venezuelano. Questo attentato sicuramente ricorda quelli dallo stile “aficionado” commessi in Francia nel 1995, pochi giorni dopo l’elezione di Jacques Chirac alla presidenza e la sua decisione di approfondire il programma nucleare militare francese. L’autore degli attentati era un giovane algerino, chiamato Kelkal, membro di una setta pseudo islamica denominata “Tabligh”, conosciuta per il suo estremismo wahabita (allora nemica della rivoluzione islamica, in particolare di quella iraniana). Era anche il tempo dei disturbi in Algeria, che traevano origine dal rifiuto da parte del governo di riconoscere la vittoria elettorale del FIS (Fronte Islamico della Salvezza) e il suddetto Kelkal, oltre a piazzare le bombe nella metropolitana di Parigi, uccise il Cheick Sahraoui, favorevole al FIS. Nonostante ciò, la stampa francese lo qualificò ”islamista” – una forma per mezzo della quale gli assassini ammazzano due uccelli con una fava: convincere Jacques Chirac di rinunciare al suo programma nucleare e sottomettere la Francia al mito del “pericolo islamista”. Kelkal fu abbandonato da coloro che l’avevano manipolato e nascostosi nei boschi nei pressi della sua casa, fu ammazzato dalla gendarmeria francese, nonostante le regole basilari di lotta contro una organizzazione clandestina, che si fonda sull’interrogatorio dei membri catturati … e vivi.
Questo è un esempio tra molti della strategia yankee e dei suoi metodi ereditati dalla mafia che collaborò con le OSS prima di prendere il controllo della CIA e, quindi, mediante i suoi tecnici dello spionaggio, della stessa “White House”, capace di abbattere politicamente –come è successo a Nixon, Clinton, ecc.- fino a uccidere fisicamente – come nel caso di Kennedy – il presidente che non dà mostra di essere sufficientemente coinvolto nel suo servizio e, per esteso, tutti i capi di Stato o di gruppi politici “amici”, o meglio, peones di Washington.
Per questa ragione abbiamo indicato nei nostri ultimi articoli, “i freddi sudori sofferti da Uribe e non da Chávez, pensando al proprio destino nel caso in cui non obbedisse senza protestare agli ordini del suo padrone yankee, nel ruolo di traditore integro che offre il proprio paese come base per aggredire i paesi dell’ALBA”, il suo probabile sollievo nell’affidare lincarico al nuovo presidente Santos; è la Colombia e no il Venezuela a essere sottomessa alla destabilizzazione terrorista e narcotrafficante della CIA-Mafia. Questa diversa condizione in cui si trovano entrambi i paesi è dovuta ai governi che si sono succeduti negli ultimi anni. Quelli che criticano Chávez per il suo poco successo nella lotta contro la criminalità dovrebbero misurare meglio la situazione esistente nel paese vicino, sottomesso alla minaccia militare yankee concentrata nelle sette basi militari del proprio territorio nazionale e che il neo presidente Santos sta ipoteticamente ereditando come abbiamo appena visto questo 12 agosto. Con questo attentato, la CIA ha alzato di un punto la suddetta strategia e la resistenza di Juan Manuel Santos merita pienamente l’epiteto di “eroica”.
La presenza di Hugo Chávez in Colombia si è conclusa con un’apoteosi, quando l’erede di Simón Bolívar visitò le popolazioni colombiane di Santa Marta e di Cúcuta nella frontiera con il Venezuela. “Ho messo piede in questo posto e ho ricevuto una valanga d’amore”, ha confermato il comandante. Chávez, dunque, provoca e riceve amore ogni volta che si approssima al cuore del popolo; e ciò come risposta all’amore che irradia da lui, dal suo cuore, dalle sue parole … ma, precisamente, bisogna essere un “uomo del popolo” per capire, per sperimentarlo. Non lo capiranno mai, non lo sperimenteranno mai quelli che non appartengono al popolo, vale a dire, quelli che per il loro egoismo borghese si sono sottratti dalla comunità popolare, incapaci di capire le sue aspirazioni come quella di misurare la grandezza della Rivoluzione Bolivariana, d’identificarsi con la missione storica universale del nuovo Venezuela.
(trad. di V. Paglione)