Aveva  ragione chi scrisse, all’indomani dell’inaugurazione di Barack Obama,  che il neo-eletto presidente americano avrebbe avuto due anni di tempo  per governare – nel bene come nel male - e non un giorno di più.
In  una situazione più unica che rara, infatti, Barack Obama si era  ritrovato con Camera e Senato a maggioranza democratica, ed avrebbe  potuto forzare il passo su molte leggi importanti, lasciando ai  repubblicani, come unica arma di opposizione, il cosiddetto “filibuster”  (l’ostruzionismo parlamentare).  
Naturalmente, per arrivare  alla Casa Bianca Obama aveva già dovuto passare le sue “Scilla e  Cariddi“, per cui nessuno si aspettava di vedere dall’oggi al domani una  rivoluzione liberal in America. Ma, come abbiamo detto già in passato,  vi sono dei binari ben precisi entro i quali un presidente ha comunque  la possibilità di modificare, almeno in misura limitata, il percorso  storico della nazione più potente del mondo. 
Purtroppo Obama non ha fatto nemmeno quello. Anzi, ha commesso un errore clamoroso subito dopo la partenza, ...
...  illudendosi di poter convincere i repubblicani a collaborare su certe  riforme importanti - sempre in cambio di compromessi, si intende, ma  comunque in un’ottica complessivamente progressista.
Ma  Washington non è Chicago, e gli equilibrismi che avevano portato il  giovane senatore alla popolarità improvvisa nell’Illinois sono serviti a  poco, una volta giunto nella capitale.
Glielo avevano detto in  tanti, da destra come da sinistra, che è perfettamente inutile pensare  di avere una qualunque collaborazione da parte dei repubblicani, pur  offrendo loro dei sostanziali vantaggi nel corso delle trattative.  Preferiscono veder morire Sansone insieme a tutti i filistei, piuttosto  che permettere all’avversario di vantare un qualunque successo a livello  nazionale. 
Specialmente se Sansone è scuro di pelle.
Ed  infatti così è stato: Obama ha sprecato quasi un anno prima di capire  che avrebbe dovuto far passare con i soli voti democratici la riforma  sanitaria, che rimane l’unico vero successo della sua amministrazione  fino ad oggi. (Facciamo notare che quando si tratta di elezioni  intermedie, in America, la politica estera praticamente non ha  rilevanza, mentre la partita si gioca tutta sui grandi temi di interesse  nazionale). Per quanto si tratti di una riforma parziale ed incompleta,  infatti, Obama è riuscito a fare quello che nessun altro presidente  democratico era mai riuscito a fare, dopo Delano Roosevelt. Aveva  fallito clamorosamente Jimmy Carter, con la complicità maligna di Ted  Kennedy, come avevano fallito prima di lui Bill e Hillary Clinton. John  Kennedy non aveva fatto in tempo a metterci mano, mentre Johnson,  stremato dalla lotta per i diritti civili, non ci aveva nemmeno provato.
Per  raggiungere questo traguardo, però, Obama dovuto sacrificare tutte le  energie disponibili sul fronte interno, trascurando in modo  imperdonabile il fronte dell’economia e del mondo del lavoro, per i  quali ora dovrà pagare un caro prezzo.
Ci ritroviamo infatti a  poco più di un mese dalle elezioni intermedie, ed è già scontata ormai  una vittoria schiacciante da parte dei repubblicani, che riprenderanno  quasi certamente il controllo della Camera, e forse anche quello del  Senato. Ma basterebbe comunque la prima in mano loro, per bloccare ogni  futura possibilità di veder nascere una qualunque legge significativa  nei prossimi due anni.  
In altre parole, la presidenza di  Barack Obama è già finita. I prossimi due anni verranno trascorsi in una  situazione di classico “gridlock” – lo stallo reciproco, fra parlamento  e presidenza, dovuto ai veti incrociati - durante il quale Obama  non  potrà che perdere ulteriormente popolarità, dopo aver toccato di recente  i limiti più bassi mai raggiunti nel corso della sua presidenza. Detto  francamente, rischia addirittura di non venire rieletto per il secondo  quadriennio. 
E così Barack Obama, che si illudeva di poter creare  una “nuova America” centrista e moderata, con cui rimpiazzare gli anni  bui dei neocons, ha finito per deludere tutti. 
Sono scontenti i  democratici moderati, che hanno ottenuto troppo poco nell’inutile  tentativo di venire a patti con i repubblicani. Sono scontenti i  repubblicani moderati, che si sono  visti comunque erodere quel poco di  privilegi (sconti fiscali) che ancora gli restavano dall’era di George  W. Bush. Sono scontenti i democratici liberal, che si sentono  letteralmente traditi da un presidente rivelatosi “guerrafondaio”, e  naturalmente sono arciscontenti i repubblicani dell’estrema destra, che  ormai hanno fatto apertamente del razzismo la loro nuova bandiera  elettorale (di recente Newt Gingrich, un importante esponente della  destra repubblicana, ha parlato di “cultura keniota” e di “spirito  anti-colonialista” a proposito di Barack Obama).
Nè sarà certamente contento Barack Obama, che alla fine è riuscito a tradire – e probabilmente a deludere - persino se stesso.