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Prossimamente su altri schermi

di Daniele Zappalà - 21/05/2006

 

Dalla televisione «pubblica» a un consumo di media sempre più individualista. È «la fine della tivù»? Risponde il sociologo Missika

«Il futuro è del video "a richiesta" e delle immagini non professionali su Internet I reality? Sono l’estrema risposta delle tv alla crisi»

«La tv così come l'abbiamo conosciuta sta scomparendo. Non vuol dire che ci sarà meno consumo di immagini a domicilio, ma che esso avverrà in modo totalmente diverso rispetto a oggi». Parola di Jean-Louis Missika, sociologo francese il cui ultimo saggio porta il provocatorio titolo di La fin de la télévision («La fine della televisione», Seuil). «Stiamo entrando in un mondo in cui ci saranno sempre più immagini e meno tele nel senso di forum sociale capace di raggruppare vaste audience con una logica di appuntamento molto forte».
Crede che il potere della tv di influenzare la vita degli spettatori sia destinato a ridursi?
«Sì. Penso che la televisione avrà una minore influenza quando il processo già in corso completerà la sua evoluzione. Ciò può essere al contempo una buona e una cattiva notizia. Da una parte, situazioni come quella italiana di controllo nelle stesse mani di numerosi media audiovisivi diventeranno progressivamente impossibili. Ma dall'altra, scomparirà anche il principale vantaggio della televisione attuale: fornire un'informazione comune a un gran numero di cittadini così da attirare la loro attenzione su temi di interesse collettivo. Al contrario, i nuovi media emergenti esaltano quasi tutti le scelte dei singoli».
Si può parlare di passaggio da un'arena pubblica a un insieme eterogeneo di «spazi mediatici» privati?
«Sta accadendo qualcosa del genere, anche se l'evoluzione di Internet è troppo recente per dare giudizi definitivi. È possibile che si sviluppino sul Web iniziative imprenditoriali capaci di inventare forme nuove di spazio pubblico».
Internet è considerato come rivoluzionario anche per la capacità di lasciarsi «colonizzare» da tutti gli altri media. Condivide quest'idea di strumento amorfo pronto ad essere modellato?
«Non sono del tutto d'accordo. Internet è un medium in sé poiché resta un supporto che genera pratiche d'uso specifiche. Del resto, quando ad esempio un quotidiano viene trasferito su un sito Internet, l'informazion e che fornisce tende col tempo ad allontanarsi da ciò che compare sulla carta stampata e diventa sempre più specifico di Internet. Questa trasformazione è quasi inevitabile».
Tornando alla televisione, crede che si avvicini il tramonto del servizio pubblico?
«Il servizio pubblico sarà sempre più fuori fase rispetto alla società se non saprà riprodurre quanto ha fatto la Bbc, cioè prendere il bivio per Internet in modo rapido ed efficace».
Che pensa del rapporto delle giovani generazioni con la tele dei palinsesti tradizionali?
«Il modo giovanile di consumo dei media e soprattutto della tv è ormai estremamente frammentato, rapido e infedele. Una sorta di continuo becchettio che integra il dvd, assimila il peer to peer attraverso Internet e si prepara sempre più ad un uso massiccio del video on demand, la televisione a richiesta».
Al contempo, almeno in Europa, l'invecchiamento della popolazione sembra giocare a favore delle abitudini tradizionali.
«È proprio così e la televisione potrebbe diventare sempre più un medium generazionale. In tal senso, credo che i reality abbiano rappresentato l'ultimo tentativo della televisione di conservare un pubblico giovanile».
Tale tentativo, spesso vituperato, rappresenta un'ondata passeggera?
«Credo che si tratterà di un fenomeno duraturo, dato che i reality rappresentano pienamente un nuovo genere televisivo al confine fra il gioco e l'esperimento sociale. Da una parte, siamo davanti a una risposta alla crisi della tv che nel breve periodo si è rivelata magistrale. Dall'altra, è un fenomeno che aggraverà col tempo questa stessa crisi, dato che i reality accentuano tutti gli aspetti insignificanti del messaggio tivù».
Si può davvero escludere una rivitalizzazione della televisione grazie a nuovi format e generi?
«La televisione tradizionale mi pare al capolinea, ma ciò che sottolineo è che grazie a Internet essa può trasformarsi in una pratica per dilettanti. È in quest'ambito che potremmo veder comparire cose interess anti e sorprendenti. In ogni caso, ci sarà un'offerta televisiva organizzata in modo sempre più orizzontale e meno verticale».
Fra i nuovi modi di diffondere immagini, quale le sembra destinato a imporsi?
«La video on demand rappresenterà a mio avviso il primo campo di sperimentazione. Anche perché ciò rappresenta un modo efficace per combattere la sempre più diffusa pirateria che utilizza lo scambio di contenuti audiovisivi su Internet».
In Europa, crede che le tecnologie di diffusione consentiranno l'apparizione di emittenti a vocazione continentale?
«Sì. L'abbassamento dei costi di diffusione, soprattutto grazie alla banda larga su Internet, potrebbe rendere redditizi progetti che non lo erano in passato. Ciò potrebbe incoraggiare delle reti di imprenditori di diversi Stati. Ma, per il momento, sono soprattutto grandi gruppi americani nati su Internet, come Yahoo e Google, che si trovano in vantaggio per offrire prodotti audiovisivi che travalicano le frontiere».