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Il Meccanismo della definizione. L'utero in affitto e l'aranciata senza arance

di Roberto Imperiali - 17/11/2010

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L'ultimo caso eclatante di una definizione a cui non corrisponde l'oggetto è la legge che consente di chiamare aranciata un prodotto imbottigliato che invece di contenere succo d'arancia ne contiene solo il sapore prodotto chimicamente.
E' un procedimento che potremmo chiamare  virtuale, dove quello che conta non è più il contenuto reale, ma uno dei suoi aspetti.
Il problema della virtualita' si accompagna al meccanismo della trasformazione dell'oggetto mantenendo la stessa definizione, che porta quindi a considerare un oggetto trasformato come il vero oggetto e l'oggetto come era prima della trasformazione, come un oggetto irreale, obsoleto.
Un altro esempio è quello che riguarda il momento della nascita dell'individuo che si esprime col termine "utero in affitto".
I termini sono questi: una donna che non puo’ avere figli fa inseminare un’altra donna con il seme del marito (compagno) e ritiene, previo accordo con la madre naturale, di avere il diritto di essere considerata madre del bambino che nascera’.
Direi che punto fondamentale deve essere la definizione di maternita’ che fino ad oggi era quel processo per cui una donna rimaneva incinta, teneva il feto e lo faceva nascere.
Se tale e’ la definizione, anche nella fattispecie denominata "utero in affitto" la madre e’ quella che procrea e non quella che da’ il seme. Comunque il seme non viene dato dalla donna bensi’ dall’uomo.
Quindi il rapporto e’ tra l’uomo e la donna che e’ disposta a farsi inseminare. Questa operazione rientra nella forma denominata fecondazione in vitro.
La posizione della donna (moglie o compagna) dell’uomo che da’ il seme non dovrebbe avere nessun valore giuridico se non quello di una donna (o di una coppia) che chiede l’adozione del nascituro.
Essa infatti non rientra nella definizione di una madre naturale ma solo della possibilita’ di essere madre adottiva con la necessita’ di attenersi alle procedure del caso previste dalla legge.
Sarebbe da stabilire se e’ lecita l’adozione di un figlio che non e’ ancora nato ma che verra’.
Mi sembra comunque che una donna che voglia adottare un figlio dove Lei stessa decide che sara’ senza madre o che e’ gia’ disposta a togliere il figlio alla madre prima che questo nasca senza quindi tener conto di quelli che possono essere i sentimenti della madre naturale e i sentimenti del nascituro e che non capisca che tali sentimenti si creano anche durante la gestazione, non possa essere una buona madre adottiva.
Il discorso pero’ puo’ allargarsi ad altri aspetti della nostra societa’ ed e’ indicativo di una trasformazione dei valori e delle definizioni.
Prima di tutto ingenera confusione la definizione di "Utero in affitto" perche’ da’ la sensazione che il soggetto principale sia la donna che stipula questo accordo, che prende in affitto e che viene chiamata madre, anche se nulla ha del rapporto materno.
Questa definizione di "Madre che prende l’utero in affitto" e’ una contraddizione in termini, andrebbe detto semmai "Donna che prende l’utero in affitto" (a questo punto ci si puo’ chiedere anche perche’ chi prende l’utero in affitto non possa essere un uomo).
Ma importante e’ notare come da questa equivoca definizione viene modificato il concetto di madre per cui madre non e’ solo e soltanto chi partorisce ma anche un’altra persona.
Da questo equivoco sorge implicitamente il diritto di quest’altra persona che in quanto definita madre tende ad acquisire dei diritti che per definizione non potrebbe avere in quanto non madre.
Nella nostra societa’ e' frequente il mantenimento della definizione per consentire cose che altrimenti non potrebbero essere consentite.
Oltre ai casi summenzionati potremmo aggiungerne altri a titolo di esempio: i cibi transgenici che una parte del mondo non voleva etichettare nella loro composizione perche’ considerati equivalenti.
Senza tener conto che gli utilizzatori hanno diritto di sapere quello che mangiano.
- In concreto viene definito cibo "senza contenuto transgenico" se questo contenuto e’ meno dell’1%. Ora 1% non e’ uguale a 0% almeno fino ad oggi.
- Viene definito cioccolato un prodotto che non ha cacao ma un sostituto del cacao (e non viene riconosciuto il diritto del consumatore di sapere cosa mangia).
- Non ci si rende conto che la natura dove si immettono degli organismi geneticamente modificati un po’ alla volta verra’ trasformata e che quindi non sara’ piu’ la "Natura" con il significato di naturalezza, genuinita’, ancestralita’, autonomia, biodiversita’, ecc... che abbiamo sempre sentito ma sara’ un insieme diverso e prodotto sempre piu’ dall’uomo.
Il processo per cui si e’ disposti a modificare l’oggetto mantenendo la stessa difinizione risponde ad un criterio pratico e cioe’ quello di ottenere un risultato senza sottostare a dei meccanismi ereditati, insiti nel mondo esterno, e condivisi fino a quel momento.
Es. Chiamare madre una persona che non ha nulla delle caratteristiche materne semplicemente per facilitare il suo bisogno di maternita’.
Es. Chiamare olio di oliva un olio che non ha nulla o pochissimo dell’oliva per poterlo vendere ad un prezzo superiore.
Es. Chiamare mais un mais che non ha piu’ le sue caratteristiche originali ma anzi che tutti sanno che e’ stato modificato per poterlo produrre piu’ facilmente...
Ora quindi si preferisce ottenere un risultato a scapito del valore di un oggetto e a scapito del valore del suo concetto.
Questo e’ dovuto al fatto che in quel momento per mantenere il valore originario di quell’oggetto e’ necessario uno sforzo che la gente non e’ disposta a fare.
Es. La madre preferisce (e la societa’ anche) accettare che una madre sia definita come tale anche se non soggetto del processo riproduttivo per non rinunciare a un bisogno o per non sapersi opporre alla richiesta di questa categoria di persone.
Probabilmente anche la definizione di uomo e di donna con il senso della loro funzione come era intesa in passato, il concetto di figlio e altri ancora, hanno subito questa metamorfosi per ragioni "pratiche", dove il soggetto rinuncia a certi ruoli, caratteristiche, diritti, doveri in cambio di una maggiore facilita’ di rapporti.
Ed e’ questa una delle ragioni per le quali cambia la morale.
Questo processo pero’ che non si basa su una maggiore assunzione di responsabilita’, che non si basa su una lotta per sostenere i valori ma che cambia i valori, attraverso l’artificio della modifica delle definizioni, si basa su una debolezza, e’ il riconoscimento di una debolezza che in qualche modo si autoalimenta e che rinuncera’ sempre piu’ allo sforzo in cambio della semplificazione e delle facilita’.
Ora lo sforzo non va considerato come un fine a se stesso, come l’espressione di un masochismo o di un narcisismo, ma come la capacita’ di mantenere intorno a noi un sistema di concetti e di valori che sono i componenti della nostra personalita’.
Con questo non escludo che questi valori possano cambiare, ma il loro cambiamento deve avvenire attraverso una scelta consapevole che e’ tale solo se e’ chiara la definizione dell’oggetto, e non attraverso un meccanismo ambiguo che serve a legittimare la nostra incapacita’ di mantenere tali valori.
Perche’ cosi’ facendo noi legittimiamo un processo di impoverimento della nostra personalita’ e della nostra societa’ e rendiamo impossibile l’opporci ad esso.