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Reintrodurre l’equo canone:la bolla immobiliare deve essere sgonfiata e non deve più essere gonfiata

di Stefano D’Andrea - 22/11/2010


Giustizia, se si preferisce Socialismo, Bellezza, se si preferisce Ambientalismo, e Costituzione della Repubblica Italiana, se si preferisce Decrescita, stanno e si tengono insieme. Insieme vincono o insieme perdono.

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Abrogato in parte nel 1992 e in parte da una legge emanata sotto il Governo D’Alema nel 1998, l’equo canone è scomparso dal nostro ordinamento, senza che una o altra forza politica concepisse e rappresentasse al popolo quella scomparsa come una grave perdita e un terribile regresso della nostra legislazione sociale ed economica.

Eppure basta svolgere semplici ragionamenti per comprendere come l’equo canone sia un istituto imprescindibile per dare attuazione a principi fondamentali della Costituzione della Repubblica Italiana.

Cominciamo con l’osservare che l’aumento sconsiderato del prezzo degli immobili, verificatosi a partire dalla seconda metà degli anni novanta – guarda caso in coincidenza con la definitiva abrogazione dell’equo canone – ha riguardato non soltanto gli immobili di nuova costruzione, per i quali l’equo canone era già stato abrogato nel 1992, bensì anche quelli edificati in tempi risalenti o molto risalenti.

Orbene, per gli immobili costruiti trenta o più anni fa, l’equo canone è un istituto necessario al fine di evitare una valorizzazione del capitale, in forma di rendita, che non può trovare alcuna giustificazione e che mortifica tutte le forme di lavoro, subordinato o autonomo. E’ evidente che, vigente l’equo canone, il prezzo degli immobili non può salire più di tanto, perché se la rendita è un dato normativo (per esempio seicento euro), solo un folle sarebbe disposto a pagare, per la proprietà di un appartamento, un prezzo che non ha alcuna relazione con la rendita. Se invece l’equo canone è abolito, la rendita non è più certa e potrà aumentare e anche raddoppiare, con la conseguenza che l’immobile potrà pervenire ad avere un “valore di mercato” che sarebbe del tutto sproporzionato e impensabile se l’entità della rendita non fosse stata “affidata al mercato”.

Che significa, sotto il profilo dell’economia politica, che un appartamento edificato trenta anni fa o settanta anni fa registra in sette anni un aumento del prezzo di circa il 100%, come è avvenuto nel recente passato? Significa che i proprietari di quegli immobili hanno visto raddoppiare il valore dei medesimi, oltre a percepire una rendita maggiore (anche doppia) rispetto al passato. Chi aveva duecentomila euro di capitale immobiliare si è trovato proprietario di un capitale di quattrocentomila euro (oltre alla maggiore rendita); chi aveva un capitale immobiliare di due milioni di euro è giunto a detenere quattro milioni di euro in immobili (oltre alla maggiore rendita); e chi aveva cento milioni di euro di immobili avrà guadagnato in conto capitale (immobiliare) altri cento milioni di euro (oltre alla maggiore rendita).

Si potrebbe obiettare, molto ingenuamente: perché dispiacersi se la sorte ha consentito ad alcune persone di raddoppiare il proprio patrimonio? L’obiezione sarebbe ingenua, perché se gli immobili valgono di più, vale di meno il lavoro (autonomo e subordinato) e diminuisce  il capitale investito e (effettivamente) rischiato.

Infatti, per quale ragione si dovrebbe investire un capitale in un’attività d’impresa, se l’investimento, tolto il compenso per il lavoro che l’investitore mette nell’impresa, non consente un raddoppio del capitale in sette anni? E anche se lo consente, perché rischiare per avere un profitto identico ad una rendita per niente rischiosa? D’altra parte, il raddoppio del valore degli immobili, posto che non è stato accompagnato da un raddoppio dei salari e dei redditi da lavoro autonomo, sta a significare che il lavoratore subordinato che desiderava acquistare un appartamento dovrà pagarlo una somma che non corrisponde più a (poniamo) otto anni del suo stipendio, bensì a sedici anni di lavoro. Il medesimo discorso vale per il lavoratore autonomo, che, come il lavoratore subordinato, dovrà lavorare il doppio degli anni per acquistare la casa desiderata. E si badi che non è un ragionamento che riguarda soltanto i poveri e il ceto medio. Anche un lavoratore autonomo che ha un reddito netto di centomila euro l’anno e desiderava acquistare una casa di grande valore dovrà pagarla il doppio e quindi dovrà impegnare otto anni del proprio lavoro, anziché quattro. L’equo canone, più ancora che un istituto del socialismo, è Giustizia.

Una società che non controlla mediante leggi il costo degli immobili (e degli affitti) è una società malata, che tutela il lavoro morto (il lavoro che fu necessario per costruire l’immobile), ossia il capitale ormai investito e retribuito (il capitale che fu investito nella costruzione dell’immobile e che già è stato compensato con decenni di affitti, nonché dalla ordinaria rivalutazione dell’immobile), a scapito del lavoro vivo – il lavoro che è necessario prestare per poter acquistare un determinato appartamento  - e del capitale investito in imprese più o meno redditizie e che ancora deve scontare il rischio dell’investimento.

L’equo canone deve essere reintrodotto anche per gli immobili di nuova costruzione. Senza dubbio, l’aumento dei costi ha inciso sull’aumento dei prezzi degli immobili di nuova costruzione. Ma quali costi? Non certo il costo della manodopera, che è rimasto pressoché stabile, anche a causa dell’esercito industriale di riserva creato dall’Unione europea e dagli immensi fenomeni migratori scatenati dalla costruzione del mercato globale. E’ aumentato il costo del terreno edificabile, e pertanto si sono foraggiate altre rendite. Il costruttore ha poi subito l’aumento dei costi di numerose materie prime, i cui prezzi, infatti, hanno cominciato a scendere soltanto con la crisi dell’edilizia. Volete trasferire ricchezza dai proprietari di terreni e dai produttori, esportatori e importatori di cemento e di ferro, ai lavoratori italiani, autonomi e subordinati, che devono acquistare casa? Allora dovete volere la reintroduzione dell’equo canone.

Giova soffermarsi sulle obiezioni.

Non è pertinente quella, assai frequente, relativa all’estrema difficoltà dei locatori di cacciare di casa gli inquilini morosi. Essa implica una nuova disciplina che agevoli la posizione del locatore. E sarebbe una disciplina giusta, se il canone fosse equo. Perché tutelare chi è inadempiente ad una obbligazione equa, che il legislatore ha fissato a protezione del conduttore (ossia dell’inquilino)? Non si vede per quale ragione si debbano compensare le effettive difficoltà del locatore nel cacciare gli inquilini morosi con la possibilità di un canone iniquo, determinato dal “mercato”. Si fissi un canone equo e si sanzionino severamente i conduttori morosi: ognuno è chiamato a impegnarsi soltanto se può mantenere le promesse. E’ un principio etico che deve essere anche giuridico.

Nemmeno vale obiettare che poveri e ceti medi hanno paura che la casa recentemente acquistata, grazie ad un notevole indebitamento, si deprezzi. E’ una paura infondata. Poveri e ceti medi non hanno nulla da temere ma tutto da guadagnare dalla reintroduzione dell’equo canone. Se hanno acquistato la casa nella quale vivranno per una vita, non subiranno alcun danno, mentre saranno avvantaggiati i loro figli, quando, cresciuti, dovranno andare via di casa e stipulare contratti di locazione o acquistare immobili (posto che l’equo canone è un ostacolo alla bolla immobiliare). Se poi colui che ha recentemente acquistato casa intende (o è costretto a) venderla per comperarne un’altra in un diverso luogo, al minor ricavo proveniente dalla vendita corrisponderà un minor esborso per l’acquisto.

Infine, a chi  obiettasse che reintroducendo l’equo canone diminuirebbe la costruzione di nuove abitazioni si deve rispondere che egli ha ragione. Ma questa non è una obiezione. Perché la pretesa conseguenza negativa è, in realtà, uno degli obiettivi primari che dobbiamo porci, per rispetto della terra che ci ha dato i natali, ci ospita, ci nutre e ancora gratifica, con le sue meraviglie, coloro che sanno andare in cerca di queste ultime. Dobbiamo porre termine alla cementificazione del territorio Italiano, che come elemento costitutivo del nostro Stato, siamo tenuti a considerare sacro.

Tutela del lavoro, autonomo e subordinato, e lotta alle rendite-reintroduzione dell’equo canone-cessazione del consumo del suolo-ristrutturazioni volte al risparmio energetico: tutto si tiene. Giustizia (favorire i redditi da lavoro autonomo e subordinato e colpire le rendite), se si preferisce Socialismo, Bellezza (lotta alla cementificazione del territorio), se si preferisce Ambientalismo, e Costituzione della Repubblica Italiana (art. 47 Cost.: “La Repubblica incoraggia il risparmio”, in questo caso energetico e quindi anche monetario, e “Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione”, non, quindi, l’indebitamento dei cittadini per far crescere l’economia strozzandoli), se si preferisce Decrescita, stanno e si tengono insieme. Insieme vincono o insieme perdono.

La bolla immobiliare deve essere sgonfiata e non si deve più gonfiare. Un cittadino intelligente, consapevole dei propri interessi e degli interessi collettivi e pubblici allo sviluppo di una civiltà equa, che promuova la mobilità sociale e valorizzi il lavoro vivo (autonomo e subordinato), anziché il capitale e le rendite, non dovrebbe votare alcun partito che non ponga tra i punti fondamentali del programma l’obiettivo di sgonfiare la bolla immobiliare e impedire che si reinneschi la speculazione edilizia. La reintroduzione dell’equo canone è uno strumento essenziale, senza il quale l’obiettivo non può essere raggiunto. Come iscritto ad Alternativa, invito Alternativa, il Movimento per la decrescita felice, Per il bene comune, i Valsusini e quanti altri si stanno impegnando nella costruzione del nuovo partito alternativo al partito unico delle due coalizioni ad adottare lo slogan La bolla immobiliare deve essere sgonfiata e non si deve più gonfiare e a proporre tra i punti fondamentali del programma la reintroduzione dell’equo canone.