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Finanza e vita democratica

di Mauro Tozzato - 23/11/2010



Sul Sole 24 ore del 20.11.2010 è apparsa una intervista a Bill Miller:

<<uno dei pochi investitori al mondo ad avere conquistato sul campo l’aggettivo “leggendario” dopo avere battuto l’indice S&P 500 per quindici anni consecutivi.>>

Miller sfoggia la sua competenza permettendosi di dispensare buoni consigli a noi profani:

<<il modo più semplice e redditizio per beneficiare della crescita cinese è investire in titoli di multinazionali americane fortemente esposte alla Cina. Così si ottiene il beneficio senza pagare il premium che c’è sui mercati emergenti.>>

E continuando,  sviluppando il suo ragionamento in un ottica più generale, Miller così continua:

<<Come ha detto Buffett il mese scorso, è impensabile allo stato attuale avere obbligazioni in portafoglio invece di titoli azionari. Gli investitori ora amano i titoli di Stato e questo è inevitabile dopo una crisi finanziaria ma dal punto di vista del rendimento non c’è paragone. Il che spiega perché Buffett è molto ricco e la maggioranza degli investitori non lo è. Ora si possono acquistare azioni delle grandi società americane a prezzi irrisori, e l’economia Usa sta crescendo ben più rapidamente di quella europea. La mia previsione è che quando i prezzi dei titoli saliranno, allora gli investitori torneranno ad acquistare. […]Si parla delle più grandi, più sicure e più liquide società al mondo. Investire in Ibm oggi vuol dire raddoppiare i soldi entro cinque anni. I titoli finanziari in particolare sono al nadir assoluto storico, eppure i gestori sono tutti underweight(1) perché temono le nuove regole in arrivo e tutte le incertezze sul settore.>>

Certo per quanto riguarda finanzieri e speculatori come Miller e Buffett le cose sembrano abbastanza semplici: con la loro esperienza e la loro grande disponibilità  di capitale monetario questi capitalisti possono arricchirsi in misura maggiore, rispetto ai loro guadagni in fasi congiunturali di crescita generalizzata,  proprio in un periodo di crisi. Ma se qualcuno guadagna  molto sicuramente qualcun altro perderà molto; secondo Miller, invece, se gli investitori  fossero più abili, la maggior parte di loro anche nelle attuali condizioni capitalizzerebbe notevolmente di più, restando poi sottinteso che la maggior disponibilità di denaro liquido permetterebbe di rilanciare anche l’economia reale, ovverosia di finanziare i settori tecnologicamente avanzati, quelli energetici e l’attività finalizzata alle innovazioni di prodotto. Come il finanziarismo negativo - che vede nella mancanza di “etica degli affari” e nell’egoismo che tende a rifiutare la dimensione sociale e civile del libero mercato la causa di tutti i mali attuali – così il finanziarismo positivo - che comprende solo la “teoria dei giochi” e crede di poter risolvere tutto con la sua corretta applicazione – completamento rinchiuso, patologicamente, all’interno del cerchio magico del suo ultraindividualismo metodologico finisce per travisare le dinamiche reali che strutturano la formazione sociale capitalistica. La dimensione tutta politica della lotta per le quote di mercato e per l’acquisizione di aree di influenza nell’arena globale viene pensata in un ottica in cui le grandi imprese obbedirebbero ad una logica meramente economico-finanziaria di un efficienza quantificata  tramite il calcolo monetario, mentre il ruolo decisivo degli Stati - in quanto apparati politici (in senso stretto) ancora predominanti – viene incredibilmente accantonato in una lettura sterilizzata di un mondo economicocentrico “fatto” di algoritmi matematici e di astratti teoremi su spesa pubblica, avanzo primario e moltiplicatore degli investimenti.   

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Bernard Manin, in un articolo sul Sole 24 ore del 21.11.2010, scrive che in una democrazia

<<numerosi meccanismi possono[…]impedire che la facoltà di critica venga esercitata appieno. Ne indicheremo qui uno solo: il conformismo. E’ noto da tempo agli psicologi sociali che gli individui desiderano essere considerati favorevolmente dagli altri. Essere stimati e approvati dagli altri produce, fra l’altro, un’immagine gratificante di sé. Se percepiscono che, in un dato ambiente sociale, le opinioni vanno in una certa direzione, orientano le proprie posizioni nel senso dominante per suscitare l’approvazione dei pari. Si astengono dall’esprimere punti di vista dissidenti o critici. In questo modo, per quanto libera, la critica è alla mercé di una forza potente che fa di tutto per marginalizzarla se non soffocarla.>>

E’ evidente che realizzare il proprio bisogno di identità e di appartenenza, il quale renda  possibile  riconoscersi in un certo universo simbolico e in un certo numero di credenze, appare particolarmente importante, per le persone, in una società individualizzata come quella in cui viviamo.  Marx in una delle sue opere giovanili ha scritto:

<<Per riuscire a rinunciare alle illusioni sulla propria condizione bisogna essere in grado di rinunciare ad una condizione che ha bisogno di illusioni.>>

Osservare la realtà (per favore passatemi questa semplificazione, si tratta di una questione su cui sono stati scritti montagne di libri di filosofia) accettando di attraversare  il weberiano “disincanto del mondo” significa portare la ragione teorizzante sino al continuo mettere in questione il senso o meglio ogni possibile senso del mondo. Da questo scetticismo, è vero, dobbiamo sempre “risorgere”; però lo si può fare in maniere diverse: nell’approccio scientifico si assume volta per volta un tener per vero riguardo determinati fatti e ipotesi che servono per l’agire teorico, pratico e politico contingente mentre nella maggior parte degli altri modi di porsi nella vita e nel pensiero è necessario dare per scontato e fissare per un arco temporale molto ampio la propria visione ideologica (in senso lato). Il dolore per la rinuncia a qualche punto fermo e riferimento ideale ed emotivo che ci serva da stabile orientamento per il nostro essere nel mondo si somma a quello che le circostanze della vita, la nostra fragilità e i nostri errori ci porta inevitabilmente. A volte è difficile da sopportare e così speriamo che il conformismo ci semplifichi le cose visto che al momento opportuno esso risulta anche utile per ottenere quello che può apparire come un minimo di “successo”  nel contesto delle  nostre esperienze di vita. Manin nel suo articolo scrive anche:

<<I blog e i forum progressisti hanno rapporti con altri blog o forum progressisti, ma non con blog e forum conservatori, e viceversa.>>

Il nostro caso è piuttosto diverso: prima di tutto sin dall’inizio nel nostro primo blog (RipensareMarx) abbiamo criticato ferocemente la validità della dicotomia conservatori-progressisti nei paesi del cosiddetto occidente e in secondo luogo, al momento attuale, il nostro piccolo gruppo di studiosi e di volenterosi autodidatti di origine marxista e comunista riescono a collaborare soltanto con un altrettanto piccolo gruppo che trova le sue ascendenze culturali nel pensiero tradizionale e nella cultura politica di destra. Non cerchiamo ad ogni costo di continuare a camminare da soli però non possiamo rinunciare a pensare con la nostra testa.  

(1)    Significa letteralmente sottopeso. Nel gergo finanziario, sottopesare un'azione vuol dire avere, nel proprio portafoglio, una quota percentuale più bassa rispetto al peso che questa azione ha nell'indice cui appartiene (ad esempio la Borsa italiana).

Definizione ricavata dal web.