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Guerre giuste? Per nulla

di Noam Chomsky - 24/05/2006


Con “guerra giusta”, controterrorismo e altri teoremi del genere, gli Stati Uniti hanno disatteso i principi fondamentali che regolano l’ordine nel mondo, e che loro stessi avevano grandemente contribuito a formulare e applicare

Stimolata da questi tempi di invasioni ed evasioni, il dibattito sulla “guerra giusta” ha conosciuto una sorta di rinascita, sia tra gli studiosi che tra i policy maker.

Teorie a parte, i fatti nel mondo reale troppo spesso avvalorano la massima di Tucidide secondo cui “i forti fanno ciò che vogliono fare e i deboli patiscono quello che sono costretti a patire”. Questo non è solo indiscutibilmente scorretto, ma allo stato attuale della civiltà umana costituisce una vera e propria minaccia per la sopravvivenza delle specie.

Nelle sue lodatissime riflessioni sulla “guerra giusta”, Michael Walzer [docente di Scienze sociali all'Institute for Advanced Study di Princeton, nonché condirettore della rivista Dissent e collaboratore di New Republic, NdT] descrive l’invasione dell’Afghanistan come “un trionfo della teoria della guerra giusta,” schierandosi anche a favore dell’intervento in Kosovo come altro esempio di “guerra giusta.” Sfortunatamente, nell’analizzare questi due casi, dall’inizio alla fine le argomentazioni di Walzer si basano in maniera decisiva su premesse del tipo “mi sembra del tutto giustificato che”, o “io credo che” o “non ci sono dubbi che”.

I fatti vengono ignorati, persino i più ovvi. Prendiamo l’Afghanistan: i bombardamenti iniziarono nell’ottobre del 2001 e il presidente Bush avvertì gli afgani che sarebbero continuati finchè essi non gli avessero consegnato le persone che gli Stati Uniti sospettavano di terrorismo.

La parola “sospettavano” è molto importante. Otto mesi più tardi dopo quella che sarebbe dovuta essere la più grande caccia all’uomo della storia, il direttore dell’FBI Robert S. Mueller III disse al redattore del Washington Post: “Pensiamo che le menti (degli attacchi dell’undici settembre) siano in Afganistan, ai vertici di Al-Qaida. I cospiratori e altri fra i principali esponenti si erano riuniti in Germania e forse anche altrove”.

Ciò che non era ancora chiaro nel giugno del 2002 non avrebbe potuto ovviamente essere noto nell’ottobre precedente, anche se pochi dubitavano della verità dei fatti. E nemmeno io in effetti, per quanto possa valere, ma sospetti e prove sono due cose completamente diverse. Almeno mi sembra doveroso dire che le circostanze hanno sollevato una domanda: bombardare gli afgani è un esempio trasparente di “guerra giusta”?

Le argomentazioni di Walzer sono rivolte verso obiettivi senza nome. Un esempio sono gli avversari di campo “pacifisti”. Inoltre aggiunge che il loro “pacifismo” è un “cattivo argomento” in quanto la violenza è a volte legittima. Potremmo concordare anche noi sul fatto che la violenza possa essere legittima (io stesso concordo), ma “penso” che difficilmente la si possa definire un’argomentazione schiacciante, per quanto riguarda i casi reali di cui parla.

Con “guerra giusta”, controterrorismo e altri teoremi del genere, gli Stati Uniti hanno disatteso i principi fondamentali che regolano l’ordine nel mondo, e che loro stessi avevano grandemente contribuito a formulare e applicare.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale era stato istituito un nuovo sistema di leggi internazionali: le condizioni sulla leggi belliche sono codificati nella Carta delle Nazioni Unite, nelle Convenzioni di Ginevra e nei Principi di Norimberga, adottati dall’Assemblea Generale. La Carta vieta la minaccia o l’uso della forza a meno che non sia autorizzato dal Consiglio di Sicurezza o, in base all’articolo 51, in caso di autodifesa da un attacco armato fino all’intervento del Consiglio di Sicurezza.

Nel 2004, una commissione ONU di grande prestigio, che includeva fra gli altri l’ex-consigliere per la Sicurezza Nazionale Brent Scowcroft, ha concluso che “l’articolo 51 non ha bisogno nè di essere ampliato nè ristretto nel suo obiettivo accettato ormai da tempo... In un mondo pieno di potenziali minacce, il rischio per l’ordine globale e per la norma di non intervento su cui questo articolo continua a basarsi, è semplicemente troppo grande. Non è accettabile legalizzare un’azione preventiva unilaterale rispetto ad una appoggiata collettivamente. Permetterlo ad uno, significherebbe permetterlo a tutti”.

La National Security Strategy del settembre 2002, confermata nello scorso marzo, conferisce agli Stati Uniti il diritto di fare ciò che viene chiamato “guerra di prelazione” che non è altro se non una “guerra preventiva”. O, in altre parole, il diritto di commettere un’aggressione militare bella e buona.

Secondo le enunciazioni del Tribunale di Norimberga, l’aggressione “è il crimine internazionale supremo che si distingue dagli altri crimini di guerra dal momento che esso contiene in se stesso il male accumulato dell'intero”: un esempio è il male che ha pervaso la terra tormentata dell’Iraq a a causa dell’invasione anglo-americana.

Il concetto di aggressione è stato definito abbastanza chiaramente dal giudice americano della Corte Suprema Robert Jackson, che fu procuratore capo al processo di Norimberga. Il concetto è stato riaffermato in un’autorevole risoluzione dell’Assemblea Generale. “Aggressore”, Jackson ha proposto al tribunale, è uno stato che per primo commette azioni quali “invadere il territorio di un altro Stato con le proprie forze armate, in presenza o in assenza di una dichiarazione di guerra”.

E ciò si applica perfettamente all’invasione dell’Iraq. Altrettanto eloquenti sono le parole del giudice Jackson a Norimberga: “Se le azioni che violano i trattati sono crimini, lo sono sia che a commetterle siano gli Stati Uniti sia la Germania, e noi non siamo disposti ad abbattere una norma sulla condotta criminale contro gli altri solo perchè vorremmo non venisse invocata contro di noi.” E ancora “Noi non dobbiamo dimenticare mai che i documenti in base ai quali giudichiamo questi imputati sono gli stessi sulla cui base la storia giudicherà noi. Passare agli imputati un calice avvelenato significa accostarlo anche alle nostre labbra”.

Per la leadership politica, la minaccia di adesione a questi principi, e alle leggi in generale, è sicuramente seria. O lo sarebbe, se qualcuno osasse sfidare “l’unica spietata superpotenza i cui vertici intendono manipolare il mondo secondo la propria visione violenta della realtà,” come Reuven Pedatzur ha scritto lo scorso maggio sul quotidiano israeliano Haaretz.

Concedetemi di affermare alcune semplici verità: la prima è che le azioni vengono valutate in base alla portata delle loro probabili conseguenze. La seconda riguarda il principio di universalità: noi applichiamo a noi stessi i medesimi standard che applichiamo agli altri, se non addirittura più restrittivi.

A parte essere delle semplici verità lapalissiane, questi principi costituiscono anche la base della teoria della guerra giusta, o almeno una qualunque versione di essa che meriti di essere presa in considerazione.

 

Noam Chomsky, definito dal 'New York Times' “l’intellettuale probabilmente più illustre dei nostri tempi", è stato eletto l’intellettuale pubblico vivente più importante nell’ambito del Global Intellectuals Poll 2005 condotto dalla rivista inglese 'Prospect'. Chomsky, professore presso il Dipartimento di Linguistica e Filosofia del Massachusetts Institute of Technology, risiede a Lexington, Massachusetts.
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Fonte: http://www.khaleejtimes.com/DisplayArticleNew.asp?section=opinion&xfile
Tradotto da Anna Lucca per Nuovi Mondi Media