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Morte affinché sia vita

di Massimo Fini - 25/05/2006

 

Negli anni Ottanta
quando, fra il giubileo
generale, cominciò
l’orgia dei trapianti e
degli espianti di organi, nuova
frontiera della medicina
tecnologica, Sergio Quinzio
scrisse, con la sua consueta
acutezza: “Quando l’essere
umano è sentito come qualcosa
di scomponibile e sostituibile
nelle sue parti, è già
inesorabilmente ridotto a
cosa e ogni cosa ha necessariamente
il suo prezzo e il
suo mercato”.
La profezia di Quinzio si è
puntualmente avverata.
Negli Stati Uniti, Sally
Satel, studiosa dell’American
Enterprise Institute,
celebre luogo di elaborazione
del pensiero ‘neocon’, si
chiede, spalleggiata dal Wall
Street Journal e dal New
York Times, se non sia venuto
il momento di smantellare
quello che si ritiene un tabù:
il divieto di vendere una
parte del proprio corpo. E
propone l’istituzione di un
mercato legale di compravendita
di organi, sia da
persone morte (morte per
modo di dire, dato che i loro
organi non lo sono) che vive.
Negli Stati Uniti, dice la
Satel, per superare le lunghe
liste di attesa
(…) per ottenere un organo molti
americani se li vanno a comprare
all’estero (è nota la pratica per
cui ai bambini brasiliani delle
favelas vengono strappati occhi,
reni, parti di fegato, polmoni per
rifornire i bambini malati dei ricchi
yankees) e questo comportamento
è ormai socialmente accettato.
Tanto vale quindi legalizzarlo.
Del resti il processo, dice la
Satel, sarebbe irreversibile: le tecnologie
rendono operabile un
numero sempre crescente di
pazienti, cosa che, insieme all’invecchiamento
della popolazione,
spinge ineluttabilmente verso un
sempre maggior fabbisogno di
organi da trapiantare. E poiché
questi organi, in regime di donazione
volontaria e condizionata,
scarseggiano, via con la compravendita,
via col mercato che,
com’è noto, è la panacea di tutti i
mali. Viene di rincalzo, sul Wall
Street Journal, Richard Epstein,
un professore dell’università di
Chicago, il quale scrive che tutti
gli scrupoli etici “vanno accantonati
di fronte alla realtà delle lunghissime
liste di attesa: le persone
muoiono ogni giorno perché non
riescono a ottenere il rene che
potrebbe salvare loro la vita. Solo
un esperto di bioetica può preferire
un mondo con mille altruisti che
contano un organo e 6500 morti
per mancanza di un sufficiente
numero di persone altruiste, a un
mondo nel quale non ci sono
altruisti e non ci sono decessi per
mancanza di organi”.
È tutto molto razionale, molto
pratico. Non si capisce però bene
che senso abbia rendere gli uomini
meno difettosi creandone altri (i
donatori mercenari vivi). Inoltre a
chi verrebbero comprati questi
organi? Ai poveri ovviamente.
Sparirebbe anche una delle ultime
uguaglianze dettate da Madre
Natura, per cui si può nascere
poveri, ma sani in un suburbio e
ricchi, ma malati in una reggia.
Basta con queste sciocchezze, i ricchi
hanno da essere sani e i poveri
di fornire loro il materiale organico
necessario per rendersi tali,
ammalandosi al loro posto.
L’impazzimento mercantile, tecnologico
e illuminista non conosce
ormai più limiti. Non è il Sonno,
ma il Sogno della Regione che ha
partoriti mostri.
Come conferma quell’altra notizia
che viene da Londra dove nei
laboratori dell’University College
Hospital, attraverso la fecondazione
in vetro, selezionando e uccidendo
un mucchio di embrioni
sani, ma che, divenuti uomini,
potrebbero ipoteticamente sviluppare
un tumore alla retina, ne è
stato scelto uno immune da questa
patologia di cui soffre la madre.
Insomma un bebè “a la carte”. E
sicuramente andremo avanti sulla
strada di questa eugenetica (Hitler
era un dilettante in confronto)
alla ricerca spasmodica dell’embrione,
e quindi dell’uomo perfetto
garantito da ogni malattia.
Senza renderci conto che questo è
un sogno, oltre che impossibile,
solido, perché la Natura ha bisogno
della malattia come della morte,
e per ogni patologia che eliminiamo
altre ne crea, sempre più
angosciose e terribili (cancro e
infarto, tanto per fare esempi,
erano pressoché sconosciuti in era
preindustriale). Senza capire,
all’inseguimento di questo rito
prometeico, che dolore, imperfezione,
malattia e morte sono precondizioni
essenziali senza le quali
non potrebbero esistere nè la felicità,
nè la salute, e in definitiva,
neppure la vita.