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Quando la scienza si cristallizza in dottrina

di Giuseppe Sermonti - 05/10/2005

Fonte: ilfoglio.it

   
   L’evoluzionismo darwiniano ha due fondamenti:
la “variazione casuale” (oggi
“mutazione”) e la “selezione naturale” di
quelle variazioni. Jacques Monod espresse
efficacemente i due concetti nel titolo famoso
della sua opera, “Il Caso e la Necessità”
(1969), traendo i due termini da una
frase di Democrito (IV sec. a.C.): “Tutto ciò
che esiste al mondo è frutto del caso e della
necessità”. Nel titolo della sua “Origine
delle Specie” Darwin attribuiva le origini
alla Selezione Naturale “ovvero la prevalenza
delle razze favorite”, così che l’evoluzione
divenne per un po’ sinonimo di selezione
naturale. Ma Darwin stesso finì con
l’ammettere di averle dato troppo peso e
che quello era stato “uno dei più grandi
sbagli (oversights) trovati nel mio lavoro.”
Anche la scienza del Novecento ha raggiunto
la conclusione che la selezione naturale
poco o nulla ha a che fare con la nascita
delle specie. E il Caso è tornato protagonista.
A due millenni e mezzo da Democrito e
un secolo e mezzo da Darwin, sta tornando
a montare negli Stati Uniti la disputa tra
sostenitori e oppositori del darwinismo,
iniziata ottant’anni fa col famoso “processo
alle scimmie”. In molti Stati si discute
se il darwinismo sia l’unica teoria della vita
da insegnare nelle scuole, o gli si possa
opporre qualcos’altro. Si tratta di una contesa
filosofico-religiosa più che di un dibattito
scientifico. I darwinisti semplicemente
negano la qualifica di scientifico a
qualunque pensiero che si opponga al loro
credo e lo derubricano a bigotteria, rifiutando
di mescolare scienza e religione, come
vuole il Primo Emendamento della Costituzione
americana.
Sono stato qualche mese fa in Kansas
per partecipare a una “testimonianza” sul
problema dell’insegnamento dell’evoluzione
nelle scuole medie: i darwinisti semplicemente
non si sono presentati. Per me, il
motivo del loro rifiuto, che si è ripetuto in
altri Stati, è una diffusa insicurezza che sta
invadendo il campo evoluzionista. Questo
si trova infatti con una teoria confusamente
definita, che prende corpo solo nella
contrapposizione alle pretese dei suoi oppositori.
Messa da parte la struggle for life
spenceriana, il darwinismo ha perso la sua
carica romantica per trasformarsi in un
esistenzialismo irreligioso. Non è una teoria
del progresso, non è una teoria dell’adattamento,
forse non è altro che la teoria
del cambiamento senza senso. Questa con-
di una formulazione convenuta, non si
esprime in leggi articolate, non si espone
alla confutazione popperiana. W. T. Thompson
F. R. S. ha affermato severamente nell’introduzione
a una edizione centenaria
de “L’Origine delle Specie” di Darwin:
“Questa situazione dove uomini si riuniscono
a difesa di una dottrina che non sono
capaci di definire scientificamente, e
ancor meno di dimostrare con rigore scientifico…
è anormale e indesiderabile nella
scienza”. Karl Popper ha dichiarato
espressamente che la teoria di Darwin non
è “scientifica” perché non può essere falsificata.
E Giuseppe Montalenti, più esplicito:
“Anche se tutte le particolari teorie
escogitate da Darwin… risultassero infondate
o false”, la “verità” dell’evoluzionismo
rimarrebbe.
clusione anarchica affascinò gli evoluzionisti
di metà Novecento.
All’inizio del secolo XX il darwinismo
era andato in seria crisi, per difetto di un
processo che ne spiegasse il meccanismo.
Era nel contempo emersa la nuova scienza
della genetica mendeliana. Questa si pose
subito in contrasto con l’evoluzionismo,
perché era la scienza della ordinata “stabilità”
matematica della vita (nell’orto di un
convento), in contrasto con il caotico disordine
della natura selvatica, affidata al Caso
cieco. Negli anni Trenta si arrivò alla cosiddetta
Teoria Sintetica dell’Evoluzione,
che rappresentò un compromesso tra evoluzionismo
e genetica. L’evoluzione si ridusse
così allo studio della variabilità genetica
all’interno delle popolazioni, un fenomeno
minore che nulla spiegava dell’Origine
delle Specie (microevoluzione), e
tanto meno della fondazione dei grandi
gruppi (macroevoluzione). Alla base della
emergenza delle forme rimase il Caso, cioè
il nulla. E’ del 1969 questa asserzione di
Monod, che così stabiliva la base dell’ideologia
evoluzionista: “… soltanto il Caso è all’origine
di ogni novità, di ogni creazione
nella biosfera. Il caso puro, il solo caso, libertà
assoluta ma cieca, alla radice stessa
del prodigioso edificio dell’evoluzione.” E
l’uomo? “Il nostro numero è uscito alla roulette,”
risponde Monod.
Queste sbarazzinate di un “americano” a
Parigi sono diventate la bibbia laica della
biologia. Ogni tentativo di dare una regola,
una geometria, un significato alla vita è stato
bollato come animismo, vitalismo o creazionismo.
Per trent’anni gli avversari del
paradosso di Monod si sono impegnati a opporre
la improbabilità astronomica che le
strutture biologiche, anche le più semplici,
fossero frutto del caso. Affidare la complessità
biologica al caso, si disse, era come
sostenere che la Divina Commedia derivasse
dall’Iliade per cambiamenti accidentali
di una lettera per volta, o che Notre Dame
si fosse formata per l’accumulo casuale
di mattoni vaganti sulla Senna. Duemila anni
fa Cicerone aveva affermata l’impossibilità
che un solo verso di Ennio si potesse
formare pescando a caso una quindicina di
letterine. Forse già presagiva la follia di
due millenni dopo.
A questo punto penso stia divenendo
chiaro che, se vi è una dottrina che non
rientra nei parametri di una teoria scientifica,
quella è proprio il darwinismo. Manca
Sia nel mio recente viaggio a Seattle e in
Kansas, che nella lettura della stampa americana
e italiana, ho trovato una paurosa
povertà di argomenti pro Darwin. Questi riguardano
la tesi minore, cioè quella selezione
che Darwin ammise di aver sostenuto
per una svista. L’esempio d’obbligo di
mutazione-selezione è la resistenza agli antibiotici.
Ma ai microbiologi è ben noto che
quella resistenza non è dovuta a una mutazione,
ma alla “infezione” a opera di una
particella (proveniente da altro ceppo se
non da altra specie) che trasporta un gene
per la resistenza. I resistenti per mutazione
ci sono, ma sopravvivono in presenza dell’antibiotico
e cedono subito in sua assenza:
non sono un miglioramento. A volte viene
riesumata la storia del “melanismo industriale”,
cioè della falena nera che si nasconde
agli uccelli predatori sulla cortecce
annerite dalla fuliggine: ipotesi contraddetta
da troppe esperienze: le falene non
frequentano i tronchi, la varietà nera permane
dopo che il “clear air act” ha eliminato
la fuliggine. Batteri resistenti e falene
nere, che povero repertorio a difesa!
L’ultima risorsa a sostegno del darwinismo
è la fabbrica di un avversario di comodo:
chiunque tenti di attribuire alla natura
qualche regola, qualche progetto, qualche
disegno è messo fuori causa, tacciato di medievale
“creazionismo.” Le ragioni del
darwinismo sono i torti dei suoi oppositori!
(un po’ come in Italia dove gli argomenti
della sinistra si risolvono nelle accuse a
Berlusconi). La battaglia contro l’assolutismo
darwiniano è capeggiata negli Stati
Uniti dal “Discovery Institute” di Seattle,
che oppone al “Caso” il “Progetto Intelligente”
(Intelligent Design). Non si tratta, a
mio avviso, di una teoria alternativa alla
teoria dell’evoluzione. E’ la rivendicazione
della presenza, nei territori della vita, di legalità,
di propositi, di geometrie, di regole,
e, per Dio!, di qualche grazia e significato.
La vita fatta a caso rifiuta gusto e bellezza,
perché troppo umane e sconosciute
nelle oscurità del Caos. Fatemi ricordare
questo aneddoto: una signora (scettica)
chiede al marito: “Se in un punto sperduto
dell’universo si radunassero per caso
alcune foglie e, ancora per caso, esse incontrassero
un pugno di cristalli di sale, e
goccioline d’olio e d’aceto… non ne verrebbe
un’insalata?” “Sì, cara, ma non buona
come la tua.”
Giuseppe Sermonti
genetista