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Darwin, un ambizioso «furbetto», e la leggenda dei fringuelli delle Galapagos

di Francesco Lamendola - 09/03/2011


«Gli altri uccelli terrestri formano un gruppo molto singolare di fringuelli affini tra di loro per la struttura del becco, la coda corta, la forma del corpo e il piumaggio; ve ne sono tredici specie, che il signor Gould ha diviso in quattro sottogruppi. Tutte queste specie sono particolari di questo arcipelago e cioè lo intero gruppo, ad eccezione di una specie del sottogruppo “Cactornis”, importata recentemente dall’isola Bow, nell’arcipelago Low.»

Questo brano di prosa scientifica, peraltro stilisticamente assai involuto e al limite della correttezza sintattica (ma questo, forse, almeno in parte, è un problema dovuto alla traduzione), è opera di Charles Darwin; e i fringuelli di cui parla, ma dei quali non aveva capito un accidente, sono quelli delle Isole Galapagos, al largo della costa dell’Ecuador, da cui esse distano qualcosa come 1.000 chilometri.
Il brano è tratto, naturalmente, dal «Viaggio di un naturalista intorno al mondo» (traduzione italiana di Mario Magistretti,  Firenze, Giunti Martello, 1982, p. 440) ed è importante perché, come vedremo, ci dà un’idea sia di quanto poco scrupolosamente il Nostro non esitasse ad appropriarsi di scoperte altrui e di farsi bello con le loro penne, sia di quali livelli di mistica piaggeria abbia raggiunto il “culto” a lui tributato, in nome della Scienza e del Progresso, dai più ignoranti o faziosi divulgatori del credo evoluzionista.
Si dirà che Darwin, all’epoca del suo viaggio intorno al mondo a bordo del «Beagle», non era che un pastore anglicano mancato e un semplice dilettante di scienze naturali e che non si gli si può fare una colpa troppo grande se, dei fringuelli delle Galapagos, aveva capito poco, e osservato peggio: e questo è vero; ma altra cosa è la malizia dello scienziato ormai affermato che, nel licenziare la riedizione della sua opera giovanile, poco si cura della verità e non solo cerca di accreditare l’idea che, all’epoca, gli fosse balenata, nelle sue linee essenziali, l’intera teoria dell’evoluzione naturale, ma tenta anche di far passare per sue le scoperte di un altro scienziato, John Gould.
Gould, infarti, e non Darwin, comprese che tutte le tredici specie di fringuelli delle Galapagos (di cui Darwin, in realtà, ne aveva riconosciute solo nove) appartengono ad un’unica famiglia; e il furbetto Darwin non solo tace quest’ultima circostanza, ma si limita a dire che Gould ha suddiviso i fringuelli in quattro sottogruppi. Tiene per sé il proprio clamoroso errore e anche la pronta intuizione del collega ornitologo: il terreno era pronto affinché lui, Darwin, si impossessasse di quel particolare argomento e ne facesse, addirittura, il proprio cavallo di battaglia nella teoria dell’evoluzione naturale.
Dunque, ancora e sempre, i fringuelli delle Galapagos.
È forse possibile sfogliare un manuale scolastico di scienze naturali senza imbattersi nell’ormai consolidata storiella dei fringuelli delle Galapagos: di come, cioè, giunto in quell’arcipelago sudamericano, Darwin abbia avuto la mistica folgorazione della teoria dell’evoluzione delle specie mediante la selezione naturale, grazie allo studio delle differenze esistenti tra i fringuelli delle singole isole?
Crediamo di noi: ormai è assurta al rango di passo canonico della vulgata scientista dominante e costituisce uno degli aneddoti preferiti della pedagogia basata sul Pensiero Unico; impossibile scansarla, evitarla, ignorarla; impossibile fare a meno di sbatterci contro.
A forza di ripeterla, è divenuta qualcosa di più di una semplice verità: è divenuta un mito, nel significato religioso del termine; ovviamente, nell’ambito di quella particolare religione che, nel mondo moderno, secolarista e desacralizzato, ha preso il luogo delle religioni tradizionali, fondate sulla trascendenza: la Religione del Progresso.
E così, fra il sorriso compiaciuto del “bravo” studente, che ripete quasi come una filastrocca la divertente storiella dei fringuelli di Darwin, e il compiaciuto professore che lo ascolta estasiato e soddisfatto, essa ormai si è distaccata felicemente dai lidi banali e prosaici della verità storica ed è entrata a vele spiegate nella mitologia della scienza, che, supremo paradosso, in tempi di scientismo dominante come lo sono i nostri, ha preso il posto di una seria epistemologia e si è insediata, da padrona assoluta, nelle confortevoli dimore dell’immaginario collettivo.
Ci si è messo anche il cinema: nel film di Peter Weir «Master and Commander», tratto da uno dei romanzi di Patrick O’Brian, il naturalista di bordo di una nave inglese, che fisicamente (guarda caso) ricorda il giovane Darwin, sembra intuire che la particolarissima fauna delle isole Galapagos cela un grande nodo della storia naturale; e, se una emergenza non obbligasse il veliero a salpare frettolosamente le ancore, chissà che la teoria dell’evoluzione non sarebbe stata formulata una trentina d’anni prima di quel che accadde in realtà…
Qualcuno riesce ormai ad immaginarsi Darwin senza i “suoi” fringuelli, che, sullo sfondo esotico e un po’ surreale di quelle remote isole vulcaniche, in mezzo ad eserciti di testuggini giganti e di iguane marine, simili a piccoli mostri preistorici, medita e guarda lontano, lo sguardo perduto nelle sublimi lontananze dell’Evoluzionismo incipiente?
Difficile, veramente difficile; al punto che non  solo la stragrande maggioranza dei testi scolastici, ma anche molte monografie scientifiche, e non solo quelle di carattere divulgativo, riprendono pari pari quel delizioso quadretto e lo tramandano con la pigra arroganza di chi non ha nemmeno bisogno di prendersi la briga di andare a verificare l’effettiva fondatezza di un dogma universalmente ritenuto indiscutibile.
Un dogma, appunto: un dogma che solo un eretico, cioè un pazzo pericoloso, potrebbe sognarsi mai di revocare in dubbio, di contestare, di rifiutare.
Ma andiamo a vedere, da eretici, l’origine di questo dogma; e, per farlo, affidiamoci non già alla guida sospetta di qualche eretico dichiarato, ovvero di qualche strambo anti-evoluzionista (sebbene studiosi del calibro di Giuseppe Sermonti e Roberto Fondi siano tutt’altro che “strani”), ma anche di qualche evoluzionista che, pur non contestando l’idea fondamentale di Darwin, debitamente aggiornata alla luce delle successive scoperte paleontologiche, si è infine stancato del piatto conformismo e della pietosa adulazione che i più fanatici ammiratori del venerato maestro non si vergognano di esibire e di voler imporre all’intera comunità scientifica.
È noto, e lo abbiamo già osservato in più occasioni, che Darwin non si fece scrupolo di far pubblicare il manoscritto inviatogli da Alfred Russell Wallace insieme alla sua stessa relazione sull’evoluzionismo, scritta in fretta e furia E PRESENTATA INSIEME AL TESTO DI WALLACE alla Lynnean Society il 1° luglio 1858, per non apparire secondo e, anzi, concepita e proposta in modo tale da apparire decisamente il primo, scavalcando così Wallace e tradendo la fiducia proprio dell’uomo che a lui aveva affidato anni di studi e di faticosissime ricerche condotte in solitudine, nelle foreste dell’Arcipelago indonesiano, senza poter contare su alcun potente aggancio nell’establishment culturale londinese.
Ma c’è un’altra cosa che il grande pubblico ignora, e cioè che tutta la faccenda dei fringuelli delle Galapagos è una pura e semplice leggenda, confezionata ”a posteriori” dai seguaci di Darwin e originata, questo è certo, da una piccola (o forse non troppo piccola) “furberia” del venerato maestro: l’aver dato l’impressione, nel suo «Viaggio di un naturalista intorno al mondo», di aver fatto lui una scoperta sui fringuelli che appartiene, invece, a un altro scienziato, John Gould:il tutto con la lestezza e la disinvoltura di un borsaiolo che sottrae il portafoglio di un passante e poi glielo rende, fingendo di averlo trovato per caso, al solo scopo di fare bella figura e di attirare su di sé le simpatie di tutti i presenti.
Sono forse, le nostre, esagerazioni dovute a un pregiudizio nei confronti di Charles Darwin, della sua correttezza deontologica, della sua perizia di naturalista, della sua tanto celebrata genialità di scienziato e, magari, secondo i suoi ammiratori, di grande filosofo della scienza?
Vediamo.
Preferiamo affidarci alle parole di un autore che non crediamo sia sospettabile di prevenzioni antievoluzioniste: Patrizia Martellini, biologa, laureata in Scienze Biologiche all’Università statale di Milano e, da molti anni, insegnante di scienze nella scuola media; la quale, speriamo, non ce ne vorrà se utilizziamo un suo articolo per sostenere un punto di vista più generale che lei, quasi certamente, non condivide (da: P. Martellini, «la leggenda dei fringuelli di Darwin», in «Linx Magazine. La rivista di scienze per la classe», Torino, gennaio 2011, pp. 54-57):

«Darwin e i suoi fringuelli sono diventati un binomio inscindibile nella memoria della gente e, a meno di parlare con “addetti ai lavori”, li si incontra continuamente: leggendo giornali, vedendo documentari, anche ascoltando divulgatori. […]
Dal mio punto di vista di docente il fatto più nefasto è di trovare molto spesso questa leggenda anche nei testi di biologia per la scuola secondaria superiore: una chiara indicazione che non sempre i testi “evolvono” come dovrebbero. Vediamo allora come sono andate davvero le cose, per passare poi alla genesi dell’errore.
Tanto per cominciare, va detto subito che a colpire Darwin per le differenze mostrate da specie appartenenti a isole diverse non furono i fringuelli (che il naturalista non riuscì neppure a classificare) ma i tordi beffeggiatori. Charles Darwin sbarcò alle Galapagos il 15 settembre 1835, ma solo un anno dopo scrisse nelle sue “Ornitological Notes”: “Quando vedo queste isole così vicine, e con un così limitato assortimento di animali, occupate dagli stessi uccelli leggermente differenti però nella struttura e occupanti la stessa nicchia nella natura, devo sospettare che siano solo varietà”. Come dicevamo, gli uccelli in questione non sono i fringuelli ma i tordi beffeggiatori o mimi, “docking birds” in inglese. Darwin ne raccolse un campione a Chatham, uno a Charles e uno a James e studiandoli scoprì che ogni isola aveva una propria specie endemica. I mimi differivano tra loro per la lunghezza del becco e per il colore del piumaggio. […]
E i fringuelli? Diciamo la verità: riguardo a questi uccelli, Darwin aveva fatto una confusione apocalittica. Non solo non l aveva riconosciuti come appartenenti a un’unica famiglia, originata da un progenitore comune, ma non era stato in grado di classificarli in assoluto. In effetti, pensava di avere a che fare con famiglie di uccelli molto diverse tra loro. Egli attribuì il fringuello dei cactus “Geospiza conirostris” al genere Ictrerus”) appartenente a una famiglia sudamericana simile a quelle che in Europa includono rigogoli, allodole e merli) e classificò il fringuello cantore delle Galapagos “Certhidea olivacea” come uno scricciolo o al limite come una capinera. In più, egli non raccolse tutti i fringuelli delle Galapagos, ma solo 9 su 13. Soprattutto, non raccolse l’incredibile fringuello picchio, la cui peculiarità etologica - saper estrarre larve di insetti dai tronchi con rametti tenuti nel becco - fu osservata solo nel 1919. Tornato a Londra Darwin si accorse subito di aver commesso due errori madornali, cioè di non aver raccolto tutte le specie e soprattutto di non aver separato l specie delle diverse isole. Per fortuna, in entrambi i casi gli venne in soccorso il capitano del “Beagle” Robert FitzRoy, che lo aiutò a completare il quadro della distribuzione dei fringuelli sulle diverse isole.
Tutti gli uccelli raccolti vennero infine consegnati al famoso ornitologo londinese John Gould, che li classificò in 13 specie appartenenti tutte alla stessa famiglia Solo da quel momento scattò l’interesse di Darwin per i fringuelli.
Torniamo alle parole di Darwin, e vediamo come descrive i fringuelli nella seconda edizione del “Viaggio di un naturalista intorno al mondo”: “Gli altri uccelli terragnoli formano un singolarissimo gruppo di fringuelli, affini fra loro nella struttura del becco, nella brevità della coda, nella forma del corpo,. E nel piumaggio; ve ne sono tredici specie che il signor Gould ha diviso in quattro sotto-gruppi. Tutte queste specie sono peculiari di quest’arcipelago, e così pure l’intero gruppo. Le due specie di “Cactornis” si vedono sovente arrampicate sui fiori dei grandi cactus arborei; ma tutte le altre specie di questo gruppo di fringuelli stanno insieme in gruppi e trovano il loro cibo sull’asciutto e sterile terreno delle regioni più basse. I maschi tutti, o certamente il maggior numero, sono neri, e le femmine (eccettuate forse una o due) sono brune. Il fatto più curioso è la perfetta graduazione nella mole del becco delle differenti specie di “Geospiza”, da un grosso quanto quello di un becco frusone a quello di un fringuello, e (se il signor Gould ha ragione nel comprendere il suo sottogruppo, “Certhidea”, nel gruppo principale) anche a quello di un silvide. […]”E qui il nostro Darwin è molto furbetto e si attribuisce di fatto la scoperta di John Gould, il cui lavoro viene liquidato con poche parole (“… che il signor Gould ha diviso”). Visto che la prima edizione del libro, in cui Darwin citava confusamente i fringillidi, è quasi introvabile, è proprio questo il brano che ha generato tutta la famosa leggenda”.
Nel 1909, per celebrare il centenario della nascita di Darwin, qualcuno suggerisce che, giunto alle Galapagos, egli capì improvvisamente l’evoluzione. Il figlio Francis però negò, provando che suo padre aveva cominciato a parlare di evoluzione» solo nei “Transmutation Notebooks” e solo a partire dal 1837 (inizialmente Darwin usava il termine “transmutation” al posto di “evolution”). Poi, nel 1935, l’Ecuador festeggia il centenario della visita alle Galapagos e per commemorare l’importante ricorrenza viene posta sull’isola di san Cristobal una statua che porta la sritta: “Qui Darwin scoprì l’evoluzione”. Anche il quotidiano “Times” celebrava il centenario della visita con un grosso titolo in prima pagina: “The Shaping o fan Idea”
Il primo a coniare l’espressione “Darwin’s Finches” (“fringuelli di Darwin”) è, nel 1936, Percy Lowe, curatore di ornitologia del London Natural History Museum, nel libro “The finches of the Galapagos in relation to Darwin’s conception of species” Segue il biologo evoluzionista inglese David Lack, che nel 1947 pubblica un libro fondamentale su questo argomento, dal titolo “Darwin’s Finches: An Essay on the general biological theory of evolution” Da qui in avanti i fringuelli di Darwin diventano una realtà provata…»

E bravo Darwin, astuto ambizioso che non va tanto per il sottile, quando è un gioco la sua reputazione di sommo padre della scienza moderna; ma ancora più bravi, si fa per dire, i suoi sostenitori e ammiratori delle generazioni successive, fino agli odierni epigoni di un evoluzionismo sempre più simile ad un corrucciato ed inflessibile monoteismo.
Tutto va bene, a quanto pare, per portare acqua al proprio mulino, ovvero per costruire un edificio scientifico sempre più simile a una fortezza, dai grossi muri a prova di bomba e dotata di abbonanti scorte di viveri e acqua, in vista di un possibile assedio che potrebbe anche protrarsi più del previsto.
Non ci sembra un paragone esagerato.
Una volta che si è deciso di costruire non solo una epistemologia, ma anche una antropologia filosofica a misura di scimmia, non ci si deve poi meravigliare se, per sostenere una tale impostazione concettuale fino alle logiche conseguenze, la scienza finisce per non essere più la ricerca spassionata del vero, sempre aperta e sempre disponibile a mettersi in discussione, ma una sorta di ridotto o piuttosto di sacrario che nessuno, senza incorrere nel reato di sacrilegio, può minimamente porre in discussione.
E, per riuscire in una simile impresa, non resta altra via che quella di creare una nuova mitologia scientifica, la mitologia sacra e intoccabile dei fringuelli di Darwin, dell’«eppur si muove» di Galilei, della guarigione (in realtà, mai avvenuta) del cosiddetto “uomo dei lupi”  tanto caro alla psicanalisi freudiana e, soprattutto, alla sua presunta efficacia terapeutica.
Così, dalla mitologia si è passati alla più smaccata agiografia: i “grandi” campioni della scienza moderna - di QUESTA concezione della scienza: materialista, meccanicista, riduzionista, utilitarista - sono stati trasformati in figure eroiche, carismatiche, infallibili.
Si dirà: ma anche l’agiografia religiosa compie una simile operazione. Verissimo: ma c‘è una bella differenza. Se si riuscisse a dimostrare che il lupo di Gubbio non era un lupo, ma un individuo feroce e spietato, il valore morale della sua conversione da parte di San Francesco non diminuirebbe di una virgola. Se, viceversa, si dimostra che Freud non ha mai guarito l’uomo dei lupi, e che i suoi seguaci avevano offerto a quest’ultimo del denaro perché emigrasse in America e sparisse, in tal modo, dalla vista del pubblico europeo, il valore scientifico della psicanalisi, e quello del suo maestro in primis, subiscono un fierissimo colpo.
Quando verrà il tempo in cui apparirà chiaro il carattere ideologico, illusorio, mistificante di una mitologia e di una agiografia scientifiche, che sono state costruite a tavolino per supportare una visione chiusa, arrogante e conformista della scienza stessa?