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L’epoca del flogisto è una tappa centrale nella storia della chimica

di Francesco Lamendola - 15/03/2011

File:Georg Ernst Stahl.png

 

Come mai un metallo, durante la fusione, mano a mano che brucia e si trasforma in scoria, aumenta di peso; e come mai tale scoria, la calce, nuovamente riscaldata, mano a mano che ripristina il metallo di partenza - privo, però, di talune delle sue caratteristiche originarie -, subisce una perdita di peso?

Questa imbarazzante domanda si ponevano i tecnici addetti all’estrazione mineraria e alla fusione e raffinazione dei metalli; ossia di un settore dell’economia europea che, a partire dal 1500, conobbe un poderoso incremento sia quantitativo che qualitativo, quale non si era mai registrato in precedenza.

Certo, si trattava di un duplice fenomeno molto strano, per il quale non esisteva, all’epoca, alcuna spiegazioni scientifica soddisfacente.

La teoria del flogisto, formulata verso la fine del XVII secolo dal medico e chimico tedesco Georg Ernst Stahl (1660-1734), può considerarsi come la risposta, logicamente inappuntabile, a quel grande e scomodo interrogativo, al quale oggi siamo in grado di rispondere mediante la conoscenza del fatto che le calci sono il risultato di una combinazione  dei metalli con l’ossigeno presente nell’aria, ed è questo che provoca il loro aumento di peso; così come la diminuzione di peso si spiega con la perdita dell’ossigeno durante la combustione.

La teoria del flogisto, secondo alcuni storici della scienza, riveste una tale importanza che la si può considerare come caratterizzante di una intera epoca dell’evoluzione della chimica, e precisamente la terza, dopo quelle dell’antichità e del periodo alchimistico.

In breve, Stahl, che non era un dilettante, ma un noto professore universitario, ritenne che in natura dovesse esistere un particolare fluido, da lui chiamato, appunto, flogisto, presente in alcune sostanze, come i metalli e, in genere, in tutte quelle combustibili, ed assente, invece, in alte, come le calci; la sua esistenza poteva essere verificata, per deduzione, solo dall’aumento e dalla diminuzione di peso nelle sostanze in cui entrava e da cui usciva.

In altre parole, il misterioso flogisto, secondo l’ipotesi formulata da Sthal, sarebbe stato una sostanza, non meglio identificata, presente nei corpi combustibili od ossidabili, la quale, invece di possedere un peso, sarebbe stata caratterizzata da una “leggerezza”; per cui una sostanza, perdendo di flogisto, aumenterebbe di peso, come si può osservare nelle ossidazioni.

Il flogisto, quindi, era responsabile degli effetti termici delle trasformazioni chimiche, quali la combustione e la calcinazione; ma la teoria di Stahl dava anche conto, per mezzo della misteriosa sostanza, di numerosi altri fenomeni di incerta interpretazione, primo fra tutti la chimica della respirazione.

Stahl formulò la sua teoria nel 1697 nel suo ponderoso trattato «Zymotechnia fundamentalis sive fermentationis theoria generalis»; e poi la perfezionò e la diffuse, con notevole successo, nella cultura scientifica europea, ove quest’ultima resse per circa ottant’anni: un primato certo non trascurabile, per un’epoca di piena fioritura degli studi relativi alla chimica.

A quei tempi non si sapeva che gli ossidi non sono sostanze più semplici, ma più complesse dei metalli da cui derivano, perché l’ossidazione è un processo che comporta un acquisto di ossigeno; la teoria di Stahl apparve semplice ed elegante al tempo stesso, per cui si diffuse rapidamente e venne accettata dalla maggior parte degli scienziati, pur con qualche significativa eccezione, come quella rappresentata dal chimico olandese Hermannus Boerhaave.

Questi obiettava che, se il metallo perdeva una sostanza chiamata flogisto, la calce prodotta dalla sua combustione avrebbe dovuto diventare più leggera e non acquistare peso, come invece avveniva.

Fu proprio per ribattere a questa obiezione che i sostenitori del flogisto finirono per identificare quest’ultimo, invero paradossalmente, con una sorta di “peso negativo”, concetto a dir poco nebuloso ed ai limiti del paradossale.

Scrivono A. Post Baracchi ed A. Tagliabue nel loro manuale scolastico «Chimica. Progetto modulare» (Torino, Lattes, 2007, p. 7):

 

«L’arte mineraria di estrazione, fusione e raffinazione dei metalli, che come abbiamo visto ha radici antichissime,  nel XV e XVI secolo aveva raggiunti un enorme sviluppo.  All’inizio del XVII secolo vennero introdotte nelle miniere inglesi le prime macchine a vapore. Tuttavia, molti processi connessi con la lavorazione dei metalli e lo stesso fenomeno della combustione erano ancora oscuri. Per esempio, l’osservazione che durante il processo di fusione dei metalli all’aria una parte brucia trasformandosi in scoria simile alla calce  e AUMENTANDO di peso non trovava spiegazione. Così come non trovava spiegazione il fatto che le scorie (calci), scaldate con carbone, ripristinassero il metallo di partenza, PERDENDO PESO: Le calci così formate non avevano più, per esempio,  la lucentezza e la conduttività termica tipiche del metallo originario.

Ci si chiedeva: accade forse che durante la fusione qualcosa abbandona i metalli? Se è così’, questo QUALCOSA deve essere un fluido molto particolare,  che, accanto ad altre caratteristiche, possiede quella di TOGLIERE PESO  ai corpi nei quali si trova ed è capace di uscire da questi per entrare in altri corpi. Il chimico tedesco  G. E. Stahl, professore all’università di Jena, intorno al 1715 [questa indicazione è inesatta: la teoria, come abbiamo detto, era stata avanzata da Stahl diciotto anni prima, nel 1697] avanzò l’ipotesi che un tale fluido esistesse e lo chiamò FLOGISTO. Secondo Stahl erano ricchi di flogisto i metalli, il carbone, lo zolfo, i grassi e tutte le sostanze combustibili in genere, mentre le calci ne erano prive.

Stahl spiegava la calcinazione dei metalli così:               

 

metallo - flogisto = calce;

 

e la loro rigenerazione così:

 

 calce + flogisto = metallo

 

Nel flogisto Stahl identificava addirittura il principio della “infiammabilità”.

La teoria del flogisto suscitò larghi consensi anche n Francia e in Inghilterra, dove si affermò con successo.

Solo intorno al 1770, in alcuni giornali scientifici cominciarono le critiche aperte alle idee di Stahl.

La sua teoria perse ogni significato quando A. L. Lavoisier (1743-1794) provò inconfutabilmente che le calci non erano che i prodotti  di combinazione dei metalli con l’ossigeno dell’aria, ed è per questo che il processo di calcinazione portava con sé un aumento di peso:

 

metallo + ossigeno = calce.

 

La teoria flogistica, nonostante tutto, portò anch’essa il proprio contributo all’evoluzione del pensiero chimico, infatti, essa rappresenta la prima TEORIA chimica  di ampie proporzioni e ha il grande merito di aver collegato strettamente i due processi di calcinazione e di rigenerazione dei metalli (oggi diciamo di ossido-riduzione) come due aspetti, antitetici, di un UNICO fenomeno.

A questo punto della nostra breve rassegna dovremmo accennare al PERIODO ANTIFLOGISTICO O DELLA CHIMICA MODERNA, che si apre con Lavoisier […]: le sue conquiste più importanti costituiscono, infatti, la materia che noi abitualmente chiamiamo “chimica.»

 

Dunque, pur rivelandosi, alla fine, sbagliata (“falsa” è un termine che ci sembra comunque troppo forte e perentorio, quando si parla di teorie scientifiche complesse, che non trovano riscontro in una immediata evidenza sensibile), non solo non frenò, come altre volte è accaduto, ma favorì una intensa e proficua ricerca sperimentale, da parte dei suoi contestatori non meno che dei suoi sostenitori.

Basterebbe già solo questo per farne un episodio positivo nel cammino della ricerca scientifica: il che conferma la teoria di Kuhn, secondo il quale tale cammino procede per scosse ed assestamenti, per “rivoluzioni” e per rotture con il passato; anche se, talvolta - come in questo caso - non si tratta di vincere un muro di resistenza da parte delle verità consolidate a livello accademico, ma di sviluppare ulteriormente i dati che già in quelle sono stati elaborati.

Oltre a questo, la teoria del flogisto di G. E. Stahl ha avuto il grande merito di riunire sotto un’unica prospettiva una serie di fenomeni chimici che, fino a quel momento, erano stati considerati indipendentemente l’uno dall’altro, contribuendo così alla nascita di una concezione unificata della scienza chimica.

In questo senso, si può anzi affermare che la teoria del flogisto, pur essendo in se stessa erronea, ha dato un poderoso contributo a quel “pensare in grande” che ha portato la chimica verso la completezza e l’organicità di una scienza globale e pienamente matura, facendola uscire definitivamente da uno status concettuale piuttosto incerto, dovuto alla estrema frammentazione delle sue ricerche e alla mancanza di una prospettiva generale, nonché di una sintesi di largo respiro, capace di accogliere e armonizzare i singoli risultati.

Solo a partire da allora, e dai successivi studi di Lavoisier, la chimica si affianca alla matematica e alla fisica come la terza, grande branca della scienza moderna; anche se lo ha fatto, come del resto le sue consorelle, in una prospettiva rigorosamente materialista e meccanicista, escludente, per principio, qualsivoglia prospettiva non materiale dal proprio campo d’indagine.

Date le premesse, era inevitabile che così avvenisse: l’Illuminismo, matrice della scienza moderna, muoveva appunto da una polemica dichiaratamente antimetafisica e antispirituale, riprendendo ed estremizzando una impostazione rigorosamente razionalistica e tendenzialmente riduzionista, che era già presente nella prospettiva dei suoi “padri fondatori”: Francesco Bacone, Galilei, Cartesio, Newton.

È ben questa la ragione per cui le ricerche del medico e filosofo tedesco Franz Anton Mesmer (1834-1815) vennero sostanzialmente rigettate dalla cultura accademica del XVIII secolo e lui stesso accusato di ciarlataneria.

In un certo senso, vi è una corrispondenza fra le teoria del flogisto di Stahl e la teoria del magnetismo animale di Mesmer.

Per quest’ultimo esiste un fluido, da lui stesso chiamato, appunto, magnetismo animale, che si sprigiona direttamente dall’organismo umano e che riempie l’intero universo, fornendo un mezzo di connessione non solo fra uomo e uomo, ma anche fra l’uomo e la terra e fra l’uomo e i corpi celesti. Esso, opportunamente incanalato, è suscettibile di svolgere una potente azione terapeutica nei confronti di numerose malattie; tanto che la malattia stessa, in ultima analisi, deve considerarsi come il risultato di una carenza o di una perdita di magnetismo animale da parte dell’organismo.

Si disse, e si continua a ripetere, che la teoria di Mesmer è il frutto di una curiosa, anacronistica mescolanza di scienze naturali, alchimia ed occultismo; forse sarebbe più giusto vedervi uno degli ultimi tentativi di riportare la scienza moderna, e particolarmente la medicina, nell’alveo del sapere tradizionale, in cui si era mossa per secoli e millenni.

In effetti, si trattava di uno sforzo audace per ricostituire l’unità perduta della scienza antica, nella quale la dimensione materiale e razionale coesisteva con quella spirituale ed esoterica, per ristabilire il legame originario fra l’uomo e il mondo e fra la dimensione fisica e quella spirituale della vita - e, quindi, anche della medicina.

Le scienze dell’Oriente ben lo sapevano e lo sanno tuttora: se, invece dell’espressione “magnetismo animale”, usassimo la parola “prana”, diverrebbe più chiaro quel che vogliano dire?