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Olistica la genialità di Leonardo da Vinci?

di Zarelli Eduardo - 24/03/2011

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La scienza universale. Arte e natura nel genio di Leonardo; così si intitola l’ultimo libro del famoso fisico Fritjof Capra ed è una rivelazione solo per i sempiterni provinciali nostrani, l’accostamento del genio italico rinascimentale con il paradigma olistico ecologico più evoluto.
Tutto è cominciato circa trentacinque anni fa, quando Capra raggiunse la celebrità internazionale con il suo primo libro, Il Tao della Fisica. Già allora una citazione sul metodo scientifico/empirico di Leonardo - cent’anni prima di Galileo - colpì il fisico austriaco: “Prima farò alcuna esperienza, avanti ch’io più oltre proceda, perché mia intenzione è allegare prima la esperienza e po’ colla ragione dimostrare perché tale esperienza è constretta in tal modo ad operare; e questa è la vera regola come li speculatori delli effetti naturali hanno a procedere”. (Leonardo da Vinci, 1513 ca.)
Leonardo, grazie ad una visione universale della natura, è andato lontano in tutte le scienze, la botanica, la geologia, la dinamica dei fluidi, l’anatomia, con una capacità sistemica che lo rende, di fatto, un precursore dell’ecologia profonda. Personaggio straordinario che si pone a perno di un’epoca di transizione, affascina adulti e bambini con le sue preveggenti macchine sorrette da una logica tanto più coerente quanto creativa e immaginale. Una scienza rigorosa ma al tempo stesso non meccanicistica, una conoscenza operativa riferita a forme organiche, schemi e relazioni profonde. Una scienza appunto di qualità, che include un atteggiamento etico di rispetto per tutte le forme di vita e che coglie la natura come modello e come guida. Si può dire che è un precursore di quello che oggi chiamiamo eco-design o bio-mimesi, in altre parole di una scienza plasmata sulle matrici reali del vivente e di cui la teoria della complessità e la teoria dei sistemi viventi sono oggi debitrici. In fondo è come se Leonardo si ponesse sempre una sola domanda: che cos’è la natura della vita? Cos’è il mistero della vita?
Quando scrive dei flussi d’acqua e delle turbolenze per esempio, è consapevole che l’acqua è la matrice della vita e porta il nutrimento agli esseri. Oggi noi diamo per scontato che le cellule possono esistere solo in un ambiente acquoso, di fluido, così come nella botanica le forme organiche sono modellate dal metabolismo delle piante. C’è sempre lo studio delle forme organiche della vita e dei processi omeostatici che sottostanno a queste forme nella corretta interpretazione della natura di cui siamo parte.
Gli storici d’arte e scienza hanno già scritto che quello di Leonardo è un approccio cognitivo per analogie (pensiero analogico), e hanno sottolineato che questo era abituale nel medioevo e nel rinascimento. La genialità di Leonardo però riconosce similitudini schematiche fra esseri viventi di differenti ambienti. Per esempio fa il paragone tra una forma scheletrica, una gamba di un uomo, una gamba di un animale, e vede similarità che oggi chiamiamo omologie perché derivano da modelli emanazionistici o idealtipici comuni.
Per questo Leonardo è ulteriore ad ogni fissismo, ma al tempo stesso non scade nel determinismo meccanicistico che sarà proprio della rivoluzione scientifica moderna; è fautore di un pensiero dinamico che vede relazioni tra schemi di differenti sistemi viventi, quello che noi contemporanei definiamo paradigma olistico, ove la totalità è superiore alla somma delle singole parti.
Spontaneo quindi richiamare un altro genio in un momento di passaggio, già esplicitamente moderno, come Johann Wolfgang von Göethe, per il quale un organismo è ciò che esso di sé ci manifesta. Ecco quindi l’idea di un essere in continuo mutamento eppure sempre identico a se stesso: “Tutto è nuovo, e pur sempre lo stesso”. Per lui la realtà, nella sua apparenza fenomenica, acquista importanza e valore “cosmici”; per questo dalle singole osservazioni parziali egli deriva le leggi fondamentali risalendo dal fenomeno parziale al fenomeno primordiale (Urphaenomen), come dalla pianta risalirà alla pianta primordiale (Urpflanze).
La metamorfosi si può considerare come il passaggio da una forma all’altra, che ha con la prima un rapporto di interdipendenza, perciò non è possibile considerare la risultante del processo metamorfico, se non come derivata della forma primitiva.
In ogni suo esperimento Göethe ha fatto vibrare la sua concezione “vitalista” della natura insieme con un insistito richiamo al processo formativo nella natura e nell’arte, in maniera che l’uomo ed ogni suo organo non siano mai considerati alla stregua di apparecchiature meccaniche, ma sempre in relazione alla spiritualità della loro funzione.
Possiamo ben dire quindi che in tutta la storia della scienza e della filosofia occidentali, vi è una insita tensione nella conoscenza della natura fra due approcci: lo studio della materia e lo studio della forma. Questi due approcci sono assai diversi. Studiando la materia ci si pone la domanda: “Di cosa è fatta?”; questo conduce alla nozione di ciò che la costituisce, alla misurazione e quantificazione. Studiando la forma ci si pone la domanda: “Qual è il modello?”; e ciò porta a nozioni di relazione e organizzazione, ove la qualità sopravanza la quantità. Oggi che nuova enfasi è posta su complessità, reti, modelli di organizzazione, così come gli attrattori della teoria del caos, i frattali in geometria, le sincronie quantistiche, dimostrano che lo studio della forma sta prendendo nuovamente piede.
La stessa annosa contrapposizione pregiudiziale tra creazionismo ed evoluzionismo è superata, di fatto, ove la vita tende ad autorganizzarsi per forma e funzione nelle diverse circostanze ambientali, smentendo sia il dualismo spirito-materia, che lo scientismo che si affida al caso e alla necessità per relativizzare la manifestazione naturale. Il processo è anzi straordinariamente complesso e altamente ordinato.
Sono buone notizie quindi quelle che vengono da una scienza che non si chiude claustrofobicamente nel riduzionismo e nello specialismo dei saperi, aperta quindi all’irrisolta libertà creativa, perché se la bellezza salverà il mondo - per dirla con Dostoevskij – le forme in natura possono declinare la modernità fuori dall’utilitarismo tecnocratico che ne caratterizza probabilmente il suo epilogo. I modelli lineari e deterministici ereditati da Newton e Darwin si stanno rivelando sempre più inadatti a favorire la comprensione del mondo e di noi stessi: è necessaria una nuova sintesi dell’universo, alla quale, da campi diversi, stanno contribuendo gli studiosi impegnati su fronti apparentemente distanti. Capra, forte della sua formidabile curiosità intellettuale, ha il merito di tendere a una sintesi complessiva, di questa “insensibile” rivoluzione, scorgendo il delinearsi di un nuovo/antico pensiero, che vede nella natura e negli esseri viventi non entità isolate, ma sempre e comunque “sistemi viventi” dove il singolo è in uno stretto rapporto di interdipendenza comunitaria con i suoi simili e il sistema tutto. La somma di queste relazioni, che legano gli universi della psiche, della biologia, della società e della cultura è una rete: la rete della vita.
Ricongiungersi alla trama della vita significa edificare e mantenere comunità sostenibili, in cui possiamo soddisfare i nostri bisogni e le nostre aspirazioni con un segno culturale simbiotico alla natura. In ogni comunità esistono contraddizioni e polarità, che non è possibile risolvere unilateralmente: stabilità e cambiamento, ordine e libertà, tradizione e innovazione. La possibile soluzione di questi conflitti risiede nell’equilibrio dinamico. Nel processo vitale le tensioni all’interno di una totalità sono sintomi della sua vitalità, contribuendo sostanzialmente alla capacità di sopravvivenza e alla dignità di un modello legittimo di civiltà.