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Clonazione umana. Perché no?

di redazione - 06/06/2006

Cade l’ultimo velo. Ovviamente lo scopo è umanitario

Creare bambini clonati geneticamente modificati per prevenire gravi malattie ereditarie”. La proposta, in prima pagina ieri sul Telegraph, arriva da sir Ian Wilmut, “padre” scientifico della pecora Dolly e massimo esperto britannico in materia di clonazione umana e animale. In passato Wilmut si era detto contrario alla clonazione di esseri umani perché “senza giustificazione medica”. La diga ora è saltata e la giustificazione a quella che tecnicamente si può definire una vivisezione è stata in fretta elaborata. Nel suo libro, “After Dolly”, Wilmut auspica l’utilizzo delle tecniche di manipolazione embrionale contro “gli oltraggi del caso”: chiede di produrre in vitro un embrione, “curarlo” da eventuali malattie, clonarlo e impiantarlo nell’utero di una donna. L’orrore utilitaristico è coperto da una vernice aulica (“non un passo in direzione delle tenebre ma verso la luce”).
A superare il Rubicone della clonazione era stato un altro embriologo, Robert Edwards, papà scientifico di Louise Brown, la prima bambina nata in provetta. “Quanti pazienti potrebbero beneficiarne!”, disse un anno fa il medico inglese nel comune adagio umanitaristico. Forte della fama di benefattore delle coppie infertili, Edwards si spinse a suggerire che “dedicarsi alla fecondazione in vitro senza prevenire la nascita di bambini minorati è una posizione indifendibile”. Chiese di provocare parti gemellari allo scopo di conservare uno dei “semiembrioni” come riserva di pezzi di ricambio. Divenne evidente come la fecondazione in vitro non potesse essere separata dal vendicativo anelito al miglioramento genetico, sottofondo del lugubre cortocircuito di Wilmut. Il quale, dopo aver subìto il rinculo dell’affaire coreano, vive di rigenerato sensazionalismo. Di dighe ne sono già saltate molte nella sua carriera. Nel 1997 disse che si sarebbe opposto alla clonazione “anche a scopi terapeutici”. Due anni dopo ottenne il via libera alla clonazione industriale di embrioni, che divennero “grumi di materia invisibile”, puro nulla. Poi chiese di sottoporre i malati neurodegenerativi a esperimenti anche senza certificazione medica. Prima ancora invitò a “stimolare” la malattia nell’embrione da sottoporre a “terapia”. Avevamo imparato a conoscere Edwards, faremo lo stesso con Wilmut. Identico il divorzio fra umanità e linguaggio, ragione e sintassi che alimenta questa rivoluzione genocentrica, misantropa e selettiva che prelude all’eugenetica.