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Alto tradimento?

di Giancarlo Chetoni - 23/05/2011


Premesse e retroscena della guerra di aggressione alla Libia

Se si intende portare alla luce specifica e somma delle complicità politiche e istituzionali che hanno affiancato i poteri forti del Bel Paese per regalarci una nuova guerra di aggressione, questa volta alla Jamahiriya, occorre partire dal 17 Aprile 2008 quando atterra in Sardegna, all’aeroporto di Olbia, l’Ilyushin 96-300 di Vladimir Putin.
Il premier russo arriva da Tripoli dove è stato graditissimo ospite di Gheddafi. Hanno parlato di nuovi, imponenti investimenti della Russia, di assistenza tecnica nell’estrazione di energia fossile, di concessioni petrolifere e dello sfruttamento del giacimento “Elephant“ che si sta rivelando il più gigantesco e promettente dell’intero asset della Libia, potenzialmente capace di rimpolpare da solo, per decine di anni, le già larghe capacità di esportazione di greggio del Colonnello.
L’accordo con Gheddafi prevede anche una consistentissima fornitura di armi, capaci di rendere la Jamahiriya lo Stato militarmente più forte nel continente africano dopo Egitto e Unione Sudafricana e appena qualche spanna sotto l’Algeria di Bouteflika.
La lista comprende batterie di micidiali missili antiaerei-antimissile S-300 Pm 2, gli altrettanto efficaci Thor M1-2 antiarei-anticruise, 30-35 cacciabombardieri Sukhoi-30, un numero non precisato di carri da battaglia T-90 e un “upgrade” per T-72. Per un acquisto, iniziale, di 3.5-4 miliardi di dollari.
Fonti indipendenti accrediteranno la trattativa andata a buon fine anche nei numeri.
Con le sole dotazioni di batterie mobili di S-300 e Thor, Gheddafi avrebbe neutralizzato qualsiasi capacità della “Coalizione dei Volenterosi” di attaccare dall’aria la Jamahiriya e costretto gli USA a porre in campo, per mesi, nel Mediterraneo un grosso e dispendioso dispositivo di forze aereo-navali, mettendo peraltro in conto perdite “non sopportabili” senza ricorrere al meglio della sua tecnologia aerea come gli F-22.
Cacciabombardieri “stealth” che gli USA possiedono in un numero limitato per strikes contro “Stati canaglia” in possesso di centrali o armamento atomico come Iran, Corea del Nord e Pakistan.
Putin, in quell’occasione, assicura a Gheddafi che il pacchetto ordini sarà evaso in un arco di tempo di 4-5 anni.
Per rendere le batterie mobili pienamente operative sia a lungo raggio (120-200 km) che a breve (6- 12 Km), integrate da radar di sorveglianza e di tiro, occorrerà un bel po’ più di tempo. Addestrare dei piloti al combattimento aereo con cacciabombardieri di ultima generazione, oppure a “vedere” e “colpire” jets o missili in avvicinamento, sarà un lavoro duro.
L’addestramento del personale libico è sempre stato laborioso e spesso ha dato, in passato, risultati modesti anche con “istruttori“ italiani impegnati a far familiarizzare gli “utenti” con vettori jet ampiamente meno sofisticati di un Sukhoi-30 e di un Mig-35.
Il salto di professionalità che sarà richiesto alle forze armate libiche non potrà non essere severo.
Rafforzare l’alleanza con la Libia consentirà a Mosca di fare ottimi affari e di rientrare in gioco nel Mediterraneo centro-occidentale.
E’ un progetto che non potrà essere portato a termine.
La presidenza Medvedev cambierà, di fatto, le linee strategiche della politica estera di Putin nel Golfo Persico e nel Mediterraneo. La rimozione dell’ambasciatore Vladimir Chamov e la sua immediata sostituzione con Vitalievich Margelov, che si schiererà dalla parte dei “ribelli” prima della chiusura della sede diplomatica a Tripoli, ne è la prova più evidente. Chamov, con al collo una kefìa, atterrerà a Mosca accusando esplicitamente Medvedev di “volgare tradimento” degli interessi della Russia. Un accusa che, almeno nella Federazione, ha ancora oggi un impatto devastante.
Lavrov lo manterrà in organico al Ministero degli Esteri.
Medvedev rimbrotterà nuovamente Putin per aver dichiarato che… “la guerra alla Libia è una nuova crociata”.
La mancata fornitura degli S-300 all’Iran, che costerà alla Russia 750 milioni di dollari di penale, ha già segnalato delle “dissonanze” nelle stanze del potere moscovite. Il caso Khodorkovsky farà emergere le prime, serie frizioni tra Cremlino e “Casa Bianca”. La Guardia Presidenziale, intanto, si è eclissata. La motivazione addotta dal portavoce di Medvedev parlerà di una stagione estiva particolarmente afosa che ha costretto all’abbandono la scorta, per non compromettere con colpi di sole la salute dei militari di guardia al Cremlino. Si respira aria di smobilitazione anche alla Gazprom. Uscita quasi sicura per Alexei Miller, ebreo di origini tedesche amico di Medvedev.
RIA Novosti filtrerà lo scontro ventilando un accordo, tattico.
Il via libera alla risoluzione ONU 1973 di Russia e Cina, con l’astensione, che effetti geopolitici potrà produrre nel Mediterraneo e in Medio Oriente?
E’ pensabile che tra Mosca e Pechino non ci sia stata consultazione sulla decisione da prendere, dopo la 1970, al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, considerato che fanno parte sia dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai che del BRICS e mantengono stretti rapporti di amicizia?
L’attacco alla Libia sposterà il baricentro dell’”impegno” di USA e NATO dal Centro Asia al Mediterraneo? Aprirà la porta a un maggior onere militare e finanziario di Bruxelles nell’Europa del Sud e nel Mediterraneo, spostandolo da Balcani e Paesi dell’Est?
E’ finalizzato a creare qualche crepa nell’Alleanza Atlantica?
La Russia e la Cina fanno ormai “politica di potenza” e gli Stati nazionali sono solo pedine sulla grande scacchiera planetaria?
Non c’è risposta certa.
Nel quadrante Centro-Orientale c’è, al momento (Aprile 2008), Bashar Al Assad a offrire l’opportunità di un ritorno in forze di Mosca nell’ex “Mare Nostrum“.
I lavori in corso per l’allargamento del porto di Latakia serviranno ad ospitare molte delle unità russe con elevate capacità antinave, antiaeree e antisommergibile messe sotto minaccia di sfratto dalla base di Sebastopoli. L’Ucraina di Juschenko-Timoshenko è in quel momento un Paese ostile alla Federazione Russa.
Mosca si lascia aperta una porta per il ridispiegamento delle sue unità da guerra del Mar Nero nella base navale siriana.
Un attacco aereo di “Gerusalemme“ contro Damasco – per complesse ragioni militari, tattiche e strategiche che in questa sede non possono essere affrontate – con la nuova allocazione diventerebbe, più che impossibile, largamente suicida.
L’attuale attacco militare alla Libia e degli apparati propagandistici di USA, Europa e Qatar alla Siria, rientrano in un piano più vasto di contrasto a un ritorno di influenza della Russia nel Mediterraneo, che per i prossimi venticinque anni punta ad affiancare la penetrazione “commerciale“ della Cina nel continente africano?
La risposta è sì, anche se dietro c’è dell’altro: la necessità di alleggerire le sempre più evidenti criticità geopolitiche e militari di “Israele“ in Medio Oriente.
Dalle colonne d’Ercole al Bosforo, “Gerusalemme“ nell’intera regione non può più contare su un solo Paese “amico“. Il traballante regno hashemita che, peraltro, ha il solo sbocco al mare nel Golfo di Aqaba, è ormai l’ultimo “alleato“, spendibile, ai confini di “Israele“ che ospita una comunità maggioritaria di origine palestinese sempre più influente, agguerrita ed emotivamente sensibile al richiamo per la liberazione di “Al Qods”.
Il progressivo sganciamento dell’Egitto da una stretta collaborazione con lo Stato sionista, le continue, gelidissime prese di distanze del governo Sharaf da Washington, il rapporto ampiamente conflittuale ormai esistente tra Ankara e “Gerusalemme“, la “melina” di Erdogan e Davutoglu con USA e NATO, la nuova collocazione del Libano (governo di coalizione con Hezbollah), la ritrovata amicizia tra Ankara e Damasco, il rafforzarsi del patto politico e militare della Siria con l’Iran, le ampie aperture commerciali di Ankara a Teheran, stanno disegnando un nuovo Medio Oriente. Quello vagheggiato da Bush e dalla Rice è ormai definitivamente morto e sepolto e non risorgerà certo con il cadavere Obama e le sue flagranti, miserabili, barzellette sull’uccisione e sulla sepoltura in mare di Osama, con Twitter o Al Jazeera.
In Waziristan Islamabad, dal canto suo, spara apertamente, con tanto di comunicati delle Forze Armate, contro gli elicotteri USA e NATO e blocca, o fa distruggere da gruppi armati non identificati, i convogli logistici ISAF che arrivano via mare a Karachi per il “governo” di Kabul. Un preludio, inevitabile, allo sgombero della Coalizione dall’Asia centrale.
Nel Golfo Persico il vento della rivolta scuote dalle fondamenta molte delle monarchie cleptocratiche, alla bancarotta, alleate dell’ Occidente.
Torniamo all’Aprile del 2008.
Le forze armate libiche sono “invecchiate“, hanno materiale militare largamente obsoleto dopo anni di sanzioni ONU.
Il leader della Jamahiryia ha già largamente aperto a Pechino e Mosca per controbilanciare l’arrivo a Tripoli dell’ambasciatore di Washington, che si da un gran da fare per strappare vantaggiose concessioni energetiche a favore delle multinazionali a stelle e strisce che operano nel Paese. L’apertura del “rais“ a Bush si è resa necessaria per superare l’embargo decretato dal Palazzo di Vetro alla Libia per “terrorismo“. L’ambasciatore russo a Tripoli Vladimir Chamov sta inoltre facendo un ottimo lavoro. Sua, tra l’altro, l’iniziativa di spacchettare la titolarità di ENI in “Elephant“.
Il 16 Aprile, Gheddafi offrirà a Putin il definitivo via libera per l’ingresso di Gazprom con un 33% nei diritti di sfruttamento dei giacimenti, dopo un accordo preliminare andato a buon fine tra le due società ratificato a Mosca appena quattro giorni prima da Scaroni e A. Miller.

L’aereoporto di Olbia è a un tiro di sputo dalla Costa Smeralda e da Villa Certosa. Vladimir Vladimirovic trascorrerà la notte del 17 Aprile e il giorno successivo nella faraonica residenza del Presidente del Consiglio. Il 19 Aprile, con Berlusconi a Sassari Putin darà vita a una conferenza stampa congiunta.
Un’inviata, arrivata fresca fresca da Mosca, dove lavora per un giornale di opposizione a “Russia Unita“ finanziato dal Dipartimento di Stato USA, rivolgerà una domanda fuori dalle righe a Putin su una sua presunta relazione sentimentale con l’olimpionica kazaka Alina Kabaeva. Nessuno, sul momento, darà troppo peso alla cosa. Il “proprietario” del quotidiano, nella settimana successiva, farà fagotto per Londra.
Il 22 Aprile, l’Economist titolerà in prima pagina: “Berlusconi inadatto a governare“.
Il Cavaliere di Arcore ha molto di peggio da farsi perdonare: la progressiva liquidazione dello Stato sociale, la paralisi dell’apparato amministrativo e la disintegrazione dell’Etica Pubblica attraverso l’uso di un mostruoso quanto sofisticato sistema di “informazione” che determina anche la “legittimità” del consenso elettorale.
Un sistema che sostiene attivamente sia maggioranza che “opposizione” per il mantenimento di un bipolarismo di stampo neolib e neodem, che ricorda da vicino il “partido blanco” e il “partido colorado” delle presidenze caraibiche, per la complementarità delle decisioni politiche e sociali quando si alternano al governo.
Detto che condividemmo allora e condividiamo, a maggior ragione oggi, il giudizio espresso in quell’occasione dal giornale di Sua Maestà, ribadito che Berlusconi è affetto da gravi, ripetuti disturbi della personalità (da Noemi al Bunga Bunga) e manifesta una evidente perdita di contatto con la realtà di un Paese ormai in ginocchio come il nostro, preso atto dell’esistenza di una sua maniacale affettività per le amministrazioni USA e del perdurare di un solidissimo legame con “Gerusalemme“, quella descritta è la semplice cronologia degli avvenimenti che finiranno per coinvolgerlo.
E’ il primo pezzo di strada che si doveva percorrere per arrivare alla individuazione di mandanti ed esecutori, collocati ai vertici istituzionali e politici della Repubblica delle Banane, che hanno intenzionalmente trascinato l’Italia ad aggredire, prima con le menzogne e poi con la guerra, la sovranità della Repubblica Araba Socialista di Libia.
Una guerra destinata a costarci carissimo. Gli effetti di trascinamento, politici, economici e sociali, che produrrà sul Paese non potranno non essere di devastante portata.